Rubriche
tratto dal n.04 - 2003


Alba e tramonto socialista


Gaetano Arfè, I socialisti 
del mio secolo, Piero Lacaita 
Editore, Manduria-Bari-Roma 2002, 705 pp., euro 20

Gaetano Arfè, I socialisti del mio secolo, Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma 2002, 705 pp., euro 20

Per la casa editrice Piero Lacaita esce un’importante silloge curata da Donatella Cherubini, nella collana Biblioteca della Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani, che comprende una serie di saggi dedicati a ventisette protagonisti della storia del socialismo italiano dalle sue origini fino ad oggi; si va da Turati a Salvemini, da Morandi a Matteotti, da Treves a Labriola, Rosselli passando per Nenni e Saragat, fino ad arrivare a De Martino e Pertini.
L’autore dei saggi è Gaetano Arfè, storico, pubblicista e politico militante proprio nelle fila del Partito socialista, fino alla rottura con l’allora segretario Bettino Craxi, criticato da Arfè per la sua gestione del Psi eccessivamente personalistica. Il taglio storiografico fornito da Arfè è quello di uno storico che si è formato alla scuola crociana, ma che poi è approdato al pensiero della sinistra libertaria dopo le approfondite letture degli scritti di Gramsci e di Salvemini. Da quest’ultimo mutua la concezione di un meridionalismo concepito in termini solo assistenziali e le posizioni anticomuniste che sotto la segreteria Craxi si facevano sempre più consistenti. L’approccio è appassionato, militante, di chi non teme di prendere posizione su questo o quel personaggio; del resto Arfè non ha mai rinunciato a far sentire la propria voce, anche critica ma sempre libera, nel dibattito politico-culturale degli anni Novanta, fino ad oggi.
Tra i più recenti saggi occorre segnalare quello dedicato a Pietro Nenni, di cui l’autore segnala le contraddizioni, ma, allo stesso tempo, sottolinea le ampie vedute politiche, capaci di andare al di là del contingente. Un personaggio molto al di sopra, moralmente e politicamente, degli attuali esponenti di spicco della sinistra italiana che si chiudono, secondo Arfè, troppo spesso in se stessi, in inutili elucubrazioni teoriche, evitando il contatto con la gente, la necessità del dialogo e del confronto. Oltre che con Nenni, Arfè collaborò soprattutto con Francesco De Martino, il “professore” del socialismo, scomparso nel novembre scorso. Nel giudizio sulla stagione craxiana che De Martino «visse con grande dignità e senza rotture» (E. Macaluso), il “professore” fu severo, da posizioni però sempre di coerenza intellettuale e politica, anche in scelte forse oggi ritenute da qualcuno sbagliate.
Altri tempi, altri uomini, un’altra Italia.
I saggi biografici de I socialisti del mio secolo raccolti in 700 pagine da Arfè, scritti tra il 1958 e il 2001, rappresentano nel complesso un ricco e suggestivo spaccato delle vicende italiane ed europee tra Ottocento e Novecento; un album di famiglia interessante per comprendere, in questo passaggio d’epoca, una stagione politica di storia recente, ormai tramontata, in un significativo confronto con l’oggi, con l’adesso.
Walter Montini





Un divorzio subìto


Gabriella Valli, Dalla parte di Medea, Pagine, Roma 2002, 235 pp., euro 15

Gabriella Valli, Dalla parte di Medea, Pagine, Roma 2002, 235 pp., euro 15

Gabriella Valli ha dato alle stampe la sua storia, una “storia al femminile” sul divorzio da lei subìto. Dalla parte di Medea è il libro pubblicato da Pagine, curato dall’amica Liliana Ceccarelli Licciardi.
Diario intimo e morale di un cammino travagliato, di una fase difficile e complicata, mai accettata, della propria vita familiare; ricognizione emotiva di una situazione personale vissuta con dimensioni anche drammatiche, coi toni di quella drammaticità che definirei teatrale, che si percepisce sulla pelle, la si avverte nel corso della lettura delle oltre 230 pagine del libro.
Una storia che inizia nel 1990; la vicenda tutta personale di una lotta disperata e disperante, condotta sul versante giudiziario, certamente, ma soprattutto spirituale, etico; di una donna contro un uomo che l’ha abbandonata, contro il mondo; la difesa, a tratti impossibile, del matrimonio, lo sforzo di salvaguardarlo come “istituto totalizzante dell’essere”, della sua sacralità, e della famiglia.
La Valli raccoglie con mani tremebonde tutta la corrispondenza, le lettere inviate al marito, ai figli, agli avvocati, ai tribunali, alla psicologa, al giornali, ad amici... addirittura al Papa: ogni lettera è un carico di drammi, di pene, di sconforto.
La lettura del libro non è delle più semplici e serene (già lo si coglie nella drammatica introduzione di Plinio Perilli). Se si volesse rappresentare lo scritto con un’opera d’arte, con un quadro, ben si adatterebbe L’urlo di Munch; la copertina riporta una Figura tra le rocce di Salvador Dalì, la rappresentazione di una donna quasi crocifissa che comunque efficacemente introduce nella riflessione sui contenuti specifici del libro.
Walter Montini




L’Italia svenduta


Gianluigi Da Rold (a cura di),  L’Italia svenduta, intervista con Lorenzo Necci,  Bietti, Milano 2002, 156 pp., euro 16

Gianluigi Da Rold (a cura di), L’Italia svenduta, intervista con Lorenzo Necci, Bietti, Milano 2002, 156 pp., euro 16

In una lunga intervista, curata dal giornalista Gianluigi Da Rold, Lorenzo Necci delinea un quadro inusuale, inedito, dell’ultimo decennio, 1992-2002, i dieci anni che hanno cambiato la storia del nostro Paese; ne fa una lettura originale e non conosciuta (o non detta), contribuendo così a ricostruire, in spirito di verità, una parte della recente storia d’Italia.
Lorenzo Necci è stato uno dei più importanti manager di Stato: presidente di Enichem e di Enimont, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato e della Tav; presidente onorario delle Ferrovie mondiali. Rientrato nella imprenditoria privata, oggi si occupa di logistica e di trasporti.
L’Italia svenduta (edito nella collana Documenti Bietti per la storia) è un libro-intervista che si legge velocemente: ti prende, ti porta ad una riflessione e ad un confronto con gli avvenimenti di quegli anni, spesso giunti al lettore intossicati o vissuti disinformati. Una ricostruzione dei fatti non partigiana, con aspetti inediti e risvolti poco conosciuti e poco visibili; un’analisi lucida, a tratti impietosa; una lunga cavalcata su fatti e avvenimenti italiani, condotta su diversi piani, dal versante dell’economia sociale a quello della finanza, della grande industria, nel contesto del fenomeno giudiziario di mani pulite che liquidava o inceneriva, a torto e a ragione e con sospetta velocità, buona parte della classe dirigente nazionale e dell’industria del Paese «senza che ci fosse un disegno alternativo, una classe dirigente nuova e migliore, una politica in grado di prendere in mano un Paese volutamente portato allo sbando prima dell’ingresso in Europa» (p.19).
Grande manager accusato e assolto per ben quaranta volte in quaranta procedimenti diversi, Necci ricostruisce uno spaccato inedito della nostra storia. Ad un certo punto, all’intervistatore che, citando due libri scritti da Necci nel 1991 e nel 1994 nei quali tratteggiava le linee strategiche della nuova Italia in Europa, chiede se non siano stati in un certo qual senso, dei libri premonitori Necci risponde (p.68): «In quei libri venivano indicate sostanzialmente quattro emergenze per un’Italia del 2000. L’emergenza morale, quella istituzionale, quella infrastrutturale e quella della competitività. Nessuno se ne è dato carico mentre le forze che avevano capito il nuovo corso della storia portavano a compimento, a un costo molto basso, il nuovo disegno di conquista del Paese e della sua economia. La resistenza è stata uguale a zero, mentre lo zelo nell’aiutare i vincitori è stato eccezionale. I magistrati sono entrati nel sistema con grande facilità, perché il problema morale era vero e molti fornivano le informazioni». E ancora: «Se oggi riscrivesse quei libri» chiede Da Rold «che cosa cambierebbe?». Risposta di Necci: «Nulla. Solo le date. Balladour, già presidente del Consiglio francese, ebbe a dire a quell’epoca: “Gli italiani, nella loro follia moralizzatrice, stanno tagliando le loro querce più grandi”».
La storia un giorno dirà chi ha avuto ragione.
In appendice al libro, la “memoria difensiva” di Necci, l’“esposto circa le anomalie e le palesi illegittimità dell’indagine a cui è stato sottoposto” (pp.73-108), un documento storico di rilevante importanza per la comprensione da parte dell’opinione pubblica italiana degli avvenimenti descritti nell’intervista.
Una seconda appendice, pure interessante, riguarda le “Linee di un programma di governo all’interno del governo di programma. Ovvero, come consentire alcune realizzazioni visibili nel settore economico e sociale del Paese” (pp. 111-148): una sorta di “decalogo per una politica industriale italiana” nel nuovo contesto europeo e internazionale.
Walter Montini




Una storia di ordinaria santità


Marco Invernizzi, Il beato Contardo Ferrini (1859-1902): il rigore della ricerca, il coraggio 
della fede, Piemme, Casale Monferrato 2002 ,157 pp., 
euro 9,90

Marco Invernizzi, Il beato Contardo Ferrini (1859-1902): il rigore della ricerca, il coraggio della fede, Piemme, Casale Monferrato 2002 ,157 pp., euro 9,90

«Quanti scrivono le vite dei santi» ebbe a dire san Leopoldo Mandic «di solito scrivono una grande bugia. Bisognerebbe che scrivessero tutto di loro: le ripugnanze, le difficoltà, le lotte sostenute per mantenersi virtuosi; anche le cadute, i difetti commessi». In altre parole, raccontare la santità non è facile, senza cadere negli stereotipi di un’agiografia di maniera, che finisce per non cogliere l’umanità dei santi, facendone a volte degli esseri “strani”, lontani dalla vita, immersi in un’aura di gloria fin dai primi passi compiuti su questa terra. Ma nel caso del beato Contardo Ferrini la difficoltà può apparire diametralmente opposta. La vita di questo professore universitario di diritto bizantino (1859-1902) non presenta tratti straordinari: «Ha vissuto attraverso i suoi doveri di stato un’esistenza come tanti altri suoi colleghi» osserva Marco Invernizzi, autore del volume a lui dedicato ed edito da Piemme. Il libro segue così il percorso di una vita che si dipana attraverso lo studio, la carriera accademica, le amicizie e l’allegria delle passeggiate in montagna, la preghiera e la comunione quotidiana – fatto piuttosto raro nella seconda metà dell’Ottocento – i tratti ordinari di una spiritualità comune, vissuta in profondità, ma senza clamori o avvenimenti eccezionali. Un’esistenza molto lontana dalle vicende e dalle opere di santi come don Bosco o Giuseppe Benedetto Cottolengo, che pure vissero nella stessa epoca. Né si può dire che abbia sofferto aperta ostilità a motivo della sua fede: se non fosse per l’incomprensione e lo scherno di cui fu oggetto da parte di alcuni compagni di collegio che non capivano un giovane troppo devoto e schivo per la sua età. La via stessa del celibato come stato di vita all’interno del Terz’ordine francescano fu per Ferrini una consacrazione personale, non legata alla scelta di una particolare forma d’apostolato. Che anzi, uno dei tratti del suo carattere fu quello di rendere la sua testimonianza cristiana più con l’esempio che con la parola. Lo statista liberale Vittorio Emanuele Orlando, che visse con Ferrini a Messina per un certo tempo, a partire dal 1887, quando la loro carriera accademica era agli inizi, così testimoniò al processo di beatificazione: «Egli con me evitava ogni forma diretta di ciò che chiamerei proselitismo religioso. In altri termini egli non faceva pesare nei rapporti quasi fraterni che ci univano, le diversità del nostro costume in rapporto alle pratiche religiose: ma sono fermamente e profondamente convinto che a ciò fosse indotto da questa sola ragione, che cioè vi sono dei casi in cui ogni tentativo di quel genere non è destinato a produrre effetti benefici». Non fu dunque un “predicatore”; conciliatorista dal punto di vista politico, non condivideva la posizione di quei cattolici intransigenti che rifiutavano ogni forma di compromesso con il neonato Regno d’Italia. Eletto tra i cattolici moderati alle elezioni comunali a Milano, nel 1899, rimase in politica fino al 1902, l’anno stesso in cui morì, nel giro di pochi giorni, per aver contratto il tifo bevendo a una fonte inquinata. Alla morte, che lo sorprese all’età di 43 anni, la sua fama di santità si diffuse spontaneamente, avvalorata anche dalla testimonianza di autorevoli personalità del mondo laico, come il già citato Vittorio Emanuele Orlando. «Se vogliamo capire Ferrini e la sua santità» scrive ancora Invernizzi «dobbiamo guardare non alle sue opere, ma alla sua anima, non intorno a lui, ma in lui […]. Se la santità consiste essenzialmente nel lasciare trasparire Cristo attraverso la propria vita, Contardo Ferrini c’è riuscito benissimo. Le numerose testimonianze raccolte nel processo canonico esprimono tutte la stessa impressione, quella di trovarsi di fronte a un santo, tale non per le sue azioni o realizzazioni, ma per ciò a cui rimandava, per quell’Altro che attraverso di lui si faceva presente».
Giovanni Ricciardi




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