Rubriche
tratto dal n.07/08 - 1999

Lettere al direttore



LA POSTA DEL DIRETTORE


DIBATTITO PARLAMENTARE

Scuole che chiudono

Caro direttore, tra le cronache del dibattito parlamentare sulla parità scolastica non ho letto un dato di cui ho conferma dall’ufficio competente della Cei. Si tratta del numero di scuole cattoliche chiuse negli ultimi dieci anni. Sono circa trecento con una diminuzione di 14mila alunni e con il corollario della perdita del posto di oltre duemila e cinquecento insegnanti.
Non so se abbia ragione il professor Buttiglione nel rigettare lo schema di accordo raggiunto dalla maggioranza governativa; o se debba comunque prevalere il principio del meglio poco che nulla. Tanto più che attendiamo da mezzo secolo la legge in parola.
Iddio illumini i legislatori!

don Mario
Roma, Italia


Un piccolo correttivo alle cifre sopra riportate è dato dalla flessione demografica intervenuta, che non può non risentirsi in ogni tipo di scuola.
Le posizioni sono state confrontate in Senato ed è stato comunque un bene che non si ricadesse nella prassi del rinvio.

G. A.


la decisione del senato

Parità scolastica

Cari amici, i notiziari di ieri sera e i giornali di stamane mi hanno suscitato perplessità. Quel che ha deciso il Senato sulla parità della scuola mi sembra pochino. Dopo tanta attesa è venuto fuori un piccolo topo, forse dal cilindro dei prestigiatori cui stava a cuore più di tutto la salvaguardia della maggioranza.
È giusto che chi si contenta gode, ma non vorrei che invece del godimento si avesse la liquidazione della scuola cattolica. Mi tranquillizza un poco il giudizio del padre Pittau sul Corriere della Sera. Ma non vorrei che pro bono pacis ci si illudesse.

Martino Sestieri
Firenze, Italia


L’emendamento che il liberale onorevole Corbino presentò e riuscì a far approvare dall’Assemblea costituente in tema di scuola non pubblica («senza oneri dello Stato») ha rappresentato per oltre cinquanta anni un macigno impeditivo per qualsiasi intervento a sostegno di istituti d’istruzione extrastatali, dei quali pure tutti – o quasi – riconoscono, oltre che la legittimità, la positiva funzione formativa.
Votai contro l’emendamento Corbino, ma nel resoconto di quella seduta del 1947 si desume con evidenza che non si accettava il sostegno finanziario obbligatorio, ma nulla avrebbe impedito che con legge ordinaria si erogassero contributi. Risulta esplicitamente dalle dichiarazioni dello stesso onorevole Corbino e ancor più dalla dichiarazione di voto dell’iperlaico deputato Tristano Codignola, che si muoveva con una particolare attenzione alle scuole professionali, sulle quali la tradizione cattolica è di antica data, quando lo Stato ignorava le esigenze avvertite invece da don Bosco, dal Murialdo e da altre famiglie religiose.
La contrapposizione ideologico-storica seguita alla breccia di Porta Pia è dura a morire, anche se la tanta acqua passata sotto i ponti del Tevere ha rimosso un certo numero di asperità.
Trascrivo un passo della mia dichiarazione a Palazzo Madama:
«Io ho frequentato la scuola pubblica, i miei figli altrettanto, però forse a maggior ragione sento come sia grave una situazione di crisi quale quella in cui versa la scuola cattolica, che ha visto negli ultimi dieci anni chiudere trecento istituti. Credo che questo non rappresenti un arricchimento per nessuno, né rappresenti un vantaggio per un tipo o l’altro di cultura: è un impoverimento di carattere globale.
Siamo dinanzi a un provvedimento che innova, dobbiamo dirlo: infatti, quelli di noi che hanno vissuto per cinquantatré anni la vita del Parlamento sanno come sia stato impossibile affrontare questo principio, tant’è vero che quando un governo Moro avanzò la proposta di un minimo aiuto alle scuole materne, fu provocata la crisi di quel governo.
Dobbiamo guardare a queste cose con una grande obiettività. Ritengo che avere riconosciuto il principio e avere dato sicuramente un sostegno, anche se in se stesso è un piccolo sostegno, sia importante perché si può invertire la direzione di una crisi globale in questo settore. Parlo ora della scuola cattolica ma vorrei rivolgermi ai colleghi che ancora forse risentono delle posizioni temporaliste e neotemporaliste per evidenziare che viviamo un clima molto diverso, un clima nel quale il papa Paolo VI, a chi faceva delle obiezioni sulla costruzione della moschea e del centro islamico, rispondeva che questo costituiva un arricchimento della civiltà della nostra città.
Quindi, credo che un po’ tutti dobbiamo lasciarci alle spalle questo modo vecchio di concepire la vita anche dal punto di vista culturale.
Poc’anzi ho sentito che bisognerebbe votare in coscienza. Credo che sempre bisogni votare in coscienza, non una volta o l’altra. E in piena coscienza io credo di potere ritenere, proprio alla stregua della sofferta esperienza negativa di molti decenni, che oggi dobbiamo considerarlo, anche come cattolici, un giorno positivo».
Se le decisioni intervenute sono piccole non devono essere svalutate, fermo restando il significato primario di inversione di tendenza. Da cosa nasce cosa.
Sono stati definiti “pannicelli caldi”, ma come soggetto a frequenti emicranie so che in mancanza di meglio anche una borsa d’acqua calda attenua il dolore.

G.A.


Pubblicità

Arditi accostamenti

Cari redattori, ho visto con piacere che anche in Parlamento si è avuta la protesta per la indegna trovata pubblicitaria che ha profanato in una sola volta un valore religioso e un’opera d’arte tra le più belle del patrimonio italiano. Leggo però che solo un senatore ha protestato. Tutti gli altri sono dalla parte dei commercianti di prosciutto? Auguri di buon lavoro.

Massimo Cacciafesta
Roma, Italia


Condivido la reazione sdegnata per questo spot divulgato in anteprima nei giornali dopo l’esibizione nella rassegna di Cannes. Né mi convince una osservazione captata sul tema, che cioè il frequente ricorso nella stampa e nei filmati di pubblicità a soggetti e a temi religiosi indica l’attenzione che si ha per le cose di Dio. Di questo passo anche il bestemmiatore sarebbe apprezzabile perché, imprecando, darebbe importanza e comunque riconoscimento all’esistenza di Dio e dei santi.
Fino ad ora, con i caffè serviti in paradiso o all’inferno non si era passato il limite, questa volta più che sfondato.
Apprezzo pertanto che il senatore Michele Bonatesta abbia usato lo strumento dell’interrogazione per protestare. Ma assicuro il lettore che nessuno degli altri senatori è dalla parte del prosciutto.

G. A.


Livio Labor

Una precisazione dovuta

Gentile senatore, ho letto con qualche ritardo il suo articolo su 30Giorni in ricordo di mio padre e voglio, innanzitutto, ringraziarla per le parole di stima espresse nei suoi confronti.
Le vorrei anche segnalare, però, un errore di interpretazione che, certo in buona fede, ritengo abbia compiuto nella valutazione della lettera che papà le scrisse nell’88 e che lei riporta fedelmente nell’articolo. Quando papà diceva di non aver mai fatto “propaganda” per il divorzio, intendeva dire, come spiega, di non aver mai parlato con favore dell’istituto del divorzio ma di aver testimoniato in ogni occasione la cristiana convinzione dell’unità e indissolubilità del matrimonio. Discorso diverso faceva, invece, sulla legge Fortuna. Quindi la sua campagna, intendeva dire, era in favore della non abrogazione della legge sul divorzio e non in favore dell’istituto del divorzio. Ciò perché era convinto, riprendo sempre le sue parole scritte nella lettera, che «solo la grazia e la preghiera possono saldare l’amore e l’unità della famiglia, che nessuna legge dello Stato può garantire e imporre, in particolare ai non credenti».
Le scrivo questo perché non si pensi che papà fosse nell’88 quanto meno smemorato o “rimbambito” tanto da non ricordare di aver parlato dell’argomento divorzio durante la campagna referendaria. Ai tempi del referendum sul divorzio frequentavo, credo, la seconda media ma, le assicuro, conosco bene il pensiero di papà sull’argomento tanto da permettermi di fornirle questa “interpretazione autentica” che, sono certo, mio padre condivide guardandoci felice da quel bellissimo luogo dove si trova adesso.
Cordiali saluti.

Willy Labor
Roma, Italia


Sono lieto di questa precisazione.

G. A.


i bilanci della malavita

Statistiche dubbie

Cari amici, leggo nei giornali la sintesi di un rapporto dell’Onu sulla situazione mondiale, da cui si desumono dati di sviluppo strabilianti. I collegamenti internet, ad esempio, sono passati in dieci anni da 100mila a 36 milioni. Vi sono però indici di crescita meno positivi: si stima arrivato a 1500 miliardi di dollari il provento annuale della criminalità organizzata, mentre frutterebbe 7 miliardi di dollari lo sfruttamento sessuale delle donne.
Gradirei un vostro commento su questa radioscopia dell’umanità.
Francesco La Rocca
Napoli, Italia


Il rapporto dell’agenzia Onu è stato diffuso dalle agenzie e raccolto nelle parti più sorprendenti. Su alcuni dati nulla da dire, come fotografia. Ma sono leciti dubbi sulla possibilità di cifrare i bilanci della malavita e gli incassi della prostituzione. Mi sembra il metodo più che empirico con cui, a sostegno della legalizzazione dell’aborto, si indicava il totale degli aborti clandestini.
Incontestabile la percentuale di mercato dei film americani (70 per cento nell’Europa e 83 nell’America Latina). In quanto al rapporto apparecchi telefonici-popolazione, fermo restando che sono ai livelli opposti la Cambogia e il Principato di Monaco (uno per cento e novantanove per cento), farei riserva sul valore assoluto della voce. Non dall’Onu ma da altre fonti si apprende che l’Italia avrebbe il numero più alto di telefonini cellulari: uno ogni due cittadini. Qualche ulteriore passo avanti e sarà un indicatore come il codice fiscale.
Comunque, se lei desidera il rapporto dell’Undp può chiederlo all’ufficio dell’Onu di Roma.

G. A.


WTO

Cambiamenti forzati

Caro senatore, anche lei era presente al Collegio Capranica alla conferenza dell’ambasciatore Ruggiero sull’Organizzazione per il commercio internazionale. Fui molto colpito dai successi registrati e specialmente dal significato innovativo della possibilità concreta dei piccoli Paesi ad averla vinta rispetto alla forza dei potenti. Se, come ho letto anche nella stampa, il direttore generale italiano ha fatto così bene perché non lo si è lasciato al suo posto?
Se può, mi tolga questa curiosità.

Antonio Tiburzi


La durata in carica dell’ambasciatore Ruggiero era prevista sin dal suo insediamento. Per rinnovargli il mandato – come sarebbe stato giusto ed utile – occorreva una unanimità di consensi che non esisteva. Ho atteso a rispondere alla lettera per vedere quali fossero le decisioni, dopo tante fumate nere nel ballottaggio tra il candidato thailandese e quello neozelandese. Si è trovata l’intesa, dopo tre mesi di braccio di ferro, con una scelta salomonica: il quinquennio sarà gestito per metà da Mike Moore e per l’altra metà da Supachai Panitchgakdi.
Ci si può domandare se sia ragionevole la regola del consensus, cioè della necessaria unanimità nelle decisioni. Personalmente la reputo positiva, come garanzia effettiva per tutte le parti. Di fronte alle difficoltà riscontrate in altre sedi che hanno lo stesso regime si sta cercando un correttivo: consensus per approssimazione. E si è sperimentata la validità di una adesione di tutti meno uno. È una strada, forse inevitabile, ma molto rischiosa.

G.A.




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