Rubriche
tratto dal n.07/08 - 1999


Un vivacissimo novantenne


Diego de Castro, 
Memorie di un novantenne. Trieste e l’Istria, Trieste, 
Mgs Press, 1999

Diego de Castro, Memorie di un novantenne. Trieste e l’Istria, Trieste, Mgs Press, 1999

Sulle vicende postbelliche dell’Istria e di Trieste il professor Diego de Castro ha già pubblicato saggi di grande importanza, che tra l’altro rettificarono imprecisioni di scrittori esteri come il Duroselle. Nelle Memorie di un novantenne l’autore torna con nuovi particolari sulla missione che ebbe da De Gasperi e che condusse con una grande abilità superando le diffidenze delle autorità alleate. Ma non è questa la parte più interessante del libro.
Affascinante e puntuale è la ricostruzione della sua infanzia e adolescenza in un’Istria imperiale dove le autorità non eccepivano se un professore del liceo iscriveva in blocco tutti i suoi alunni al Partito nazionalista italiano. Anche la convivenza pacifica con la popolazione di etnia slovena è descritta in modo molto suggestivo con parole molto dure contro la legislazione razziale fascista. De Castro – classe 1907 – non era forse in grado subito dopo Vittorio Veneto di valutare tutti gli aspetti del “passaggio” ma ricorda bene come nei circoli italianissimi si esprimesse delusione e stizza per i primi errori della gestione italiana. Accenna al riguardo al cambio sfavorevole tra corona austriaca e lira, che fino a quel momento erano quotate internazionalmente alla pari. Di qui l’amara espressione raccolta dal giovanetto: «Ci hanno redento al quaranta per cento».




Il coraggio del cardinale


Giacomo Biffi, Risorgimento, Stato laico e identità nazionale, Casale Monferrato (Al), Edizioni Piemme, 1999

Giacomo Biffi, Risorgimento, Stato laico e identità nazionale, Casale Monferrato (Al), Edizioni Piemme, 1999

Sui rapporti tra Stati e nazioni esistono intere biblioteche, ma soltanto un personaggio di straordinaria eminenza intellettuale come il cardinale Giacomo Biffi poteva affrontare in senso critico il tema del Risorgimento o meglio l’abituale presentazione laicista del secolo decimonono. Riaffermata la tesi che la fine del “potere temporale” sia stata una liberazione per la Chiesa, l’autore sottolinea che le leggi persecutorie torinesi colpirono il cattolicesimo come tale e non erano connesse con il problema dello Stato Pontificio, allora non all’ordine del giorno.
Prescindendo dalla cristianità, anzi negandola, come carattere distintivo della nazione italiana si è impoverito tutto.
Nessuno nega la positività di alcuni riflessi della Rivoluzione francese, ma attraverso la comparazione tra il Settecento e l’Ottocento l’apporto italiano all’arte, alla letteratura, alla musica, alle scienze è in netta diminuzione.
L’unità nazionale compiuta attraverso una progressiva annessione al Regno del Piemonte soppresse la vivacità di molti che avevano vissuto stagioni di grande fervore culturale. Con arguzia si annota che se si fosse voluta compiere una operazione diversa dall’annessione il re avrebbe dovuto chiamarsi Vittorio I e non Vittorio Emanuele II.
Né si tratta di una impostazione clericale. Tutt’altro. Perché nessuno si confonda viene riportata una frase di Francesco Crispi: «Il cattolicesimo, oltre la potente e mirabile gerarchia che tiene stretti i fedeli attorno al Capo, ha, ai fini della sua missione, l’educazione, l’insegnamento, la beneficenza, l’apostolato. Che abbiamo fatto noi, in trentaquattro anni, nel Regno d’Italia, per fare cittadini e soldati, uomini e patrioti?».
Sono lieto che il cardinale, svolgendo la sua tesi, abbia citato una espressione contenuta nelle modifiche al Concordato lateranense (1984): «I princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano».
Con una felice sintesi, l’arcivescovo di Bologna indica cinque cardini per una speranza: il primato dell’uomo sulle cose, il principio di solidarietà, la sussidiarietà, la laicità dello Stato e la libertà effettiva delle persone e delle aggregazioni.
Conclude, infine, sull’apporto specifico dei cristiani nella costruzione della nuova Europa.
Può darsi – anzi è probabile – che qualcuno non gradisca questo coraggioso invito alla riflessione. Non credo che il cardinale se ne preoccuperà più di tanto.




Le analisi di Volcic


Demetrio Volcic, Est. Andata e ritorni nei Paesi ex comunisti, Milano, Mondadori, 1998

Demetrio Volcic, Est. Andata e ritorni nei Paesi ex comunisti, Milano, Mondadori, 1998

Senza nulla togliere all’importanza del mandato senatoriale (ora è stato anche eletto parlamentare europeo) Demetrio Volcic deve la sua popolarità ai molti anni di corrispondente dall’estero della Rai con messaggi sempre densi di informazioni ma di una insolita comprensibilità e chiarezza.
È uscita ora una raccolta di impressioni raccolte tornando nei Paesi ex comunisti che ebbe modo di conoscere durante l’impero sovietico. Si legge con grande interesse.
Particolarmente toccante è il tentativo di far luce a Praga sulla “defenestrazione” del ministro Masaryk, che nel febbraio 1948 commosse il mondo e dette l’allarme sul pericolo stalinista in Europa.
Qualche superstite ancora parla di suicidio, ma per i più – con elementi precisi – non v’è dubbio sull’assassinio di Stato. Poche ore prima – si apprende – l’ambasciata inglese aveva offerto al turbatissimo personaggio l’asilo politico. Forse fu questa la causa immediata dell’esecuzione per il dubbio – fondato – che la collaborazione con il governo golpista non durasse a lungo. Era più... prudente farlo fuori prima ancora della presentazione formale del governo all’Assemblea.


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