Rubriche
tratto dal n.03 - 1999


Ammazzare Togliatti?


Massimo Caprara, Togliatti, il Komintern e il gatto selvatico, Milano, Edizioni Bietti, 1999

Massimo Caprara, Togliatti, il Komintern e il gatto selvatico, Milano, Edizioni Bietti, 1999

Dell’ultimo libro di Massimo Caprara (Togliatti, il Komintern e il gatto selvatico) ha avuto una certa eco la “notizia” che Pio XII avrebbe ricevuto nella primavera 1945 l’onorevole Togliatti, in una udienza riservatissima preparata in un colloquio tra monsignor Montini e l’importante dirigente comunista Eugenio Reale. Caprara sarebbe riuscito a rintracciare il “compagno” fatto venire a Roma come autista straordinario del segretario del Pci, che avrebbe condotto Togliatti in Vaticano. Si chiama Umberto Fusaroli Casadei ed abita a Bertinoro, in provincia di Forlì. Avrebbe dichiarato – e qui la rivelazione è molto più clamorosa della notizia dell’udienza – che le istruzioni ricevute dal partito erano, nell’ipotesi che il misterioso contatto del segretario fosse con il luogotenente del Regno (Umberto di Savoia, ndr), di sparare a Togliatti. Ma chi aveva l’autorità di condannare a morte il numero uno del proprio partito? Fusaroli sosterrebbe che avesse deciso la direzione centrale, insospettita dal possibilismo togliattiano che aveva fatto superare l’intransigenza antimonarchica e condotto alla partecipazione nel governo Badoglio, rinviando alla fine della guerra la resa dei conti con Casa Savoia.
Il racconto fusaroliano è articolato: imbarco a mezza strada di don Giuseppe (presumibilmente De Luca), arrivo nella Città del Vaticano accolti da un monsignore che l’uomo avrebbe riconosciuto dalle fotografie come Montini quando divenne arcivescovo di Milano. Entrati i tre nel Palazzo Apostolico, l’autista attese nel cortile, ma nel frattempo, attraverso un non meglio precisato mezzo di comunicazione, contattò Giorgio (Amendola?) il quale volle essere rassicurato solo che non fosse della partita anche il principe Umberto.
Tre ore dopo Togliatti e don Giuseppe riemersero riprendendo posto in macchina. Il Migliore era furente e invano il prete cercava di calmarlo. Gli sarebbe stato chiesto di impedire l’insurrezione armata del Nord. A detta dell’attento autista straordinario Togliatti aveva commentato con questa frase: «Sembrava un vincitore onnipotente che si rivolga a un vinto, ad un alleato subalterno. Proprio lui (il Papa) mandante e responsabile insieme al Re del fascismo».
Nel riferire il tutto, Caprara è prudente, dicendo solo di essere rimasto intrigato dalla rivelazione.
Che dire dell’udienza?
A me sembra poco verosimile, data la vicinanza a De Gasperi e la frequentazione del presidente con monsignor Montini, che di tale evento non avessi avuto nemmeno un cenno di notizia. La vedova di Eugenio Reale, da me sentita, nulla sa; e mi è parsa più che dubbiosa. Ho chiesto in Vaticano, ricevendo dal cardinale segretario di Stato questa risposta:
«Illustre senatore,
mi do premura di dare riscontro alla Sua stimata lettera del 10 marzo corrente, con la quale Ella chiede notizie circa una asserita udienza concessa da Pio XII all’On. Togliatti all’indomani della liberazione (marzo 1945).
Al riguardo mi pregio significare alla Signoria Vostra che non si è mancato di svolgere accurate ricerche negli Archivi di questa Segreteria di Stato, senza tuttavia trovare alcuna traccia in merito a tale udienza.
Auspicando ogni bene, profitto nella circostanza per rinnovare i sensi della mia alta considerazione.
Cordialmente, card. Sodano».
Salvo maggiori verifiche si può continuare a non credere all’udienza. Tanto più che la storia dell’ordine di mattare Togliatti se avesse visto il luogotenente, accresce molto la perplessità.
Ma lo stesso Caprara, uomo di stretta fiducia e quotidiana collaborazione con Togliatti, avrebbe dovuto attendere proprio il 1998 per conoscere questo evento dal periferico compagno di Bertinoro?

Giulio Andreotti




Fallimento kolossal


Emilio Lonero, Il cinema di Stato in Italia: storia di un fallimento, Roma, Aracne Editrice, 1998

Emilio Lonero, Il cinema di Stato in Italia: storia di un fallimento, Roma, Aracne Editrice, 1998

Il volume edito recentemente dalla Aracne Editrice col titolo Il cinema di Stato in Italia: storia di un fallimento, autore Emilio Lonero, potrebbe sembrare destinato ai soliti “addetti ai lavori”. A costoro le 292 pagine che lo compongono potrebbero significare una appassionata difesa di chi si ritiene colpito da ingiustizie o, peggio, una vendetta postuma e, ancora, una autocelebrazione.
Si tratta invece di un’opera di lettura interessante per i continui riferimenti a personaggi e a fatti resi celebri dal cinema, un vero e proprio recupero della memoria di cui il pubblico è ghiotto. Il racconto è poi reso con stile piacevolissimo, con un raro sense of humour che da solo serve ad allontanare ogni sospetto di vittimismo.
Il periodo in esame va dal 1960 al 1973, anni densi di avvenimenti tra i più caratterizzanti della grande avventura del cinema italiano. Vi furono realizzate opere di grande prestigio, anche internazionale, come La ciociara, Rocco e i suoi fratelli, Divorzio all’italiana, Cronaca familiare, L’eclisse, Otto e mezzo, Il Vangelo secondo Matteo, La battaglia di Algeri, Dramma della gelosia, Pane e cioccolata e tantissime altre; una folta schiera di registi assicurò un alto livello artistico da Visconti a Germi, da Olmi a Rosi, da Bertolucci a Zurlini, da Lizzani ad Antonioni, da Pietrangeli a Risi, da Pontecorvo a Zeffirelli, da Scola a Brusati, da Comencini a Zampa per nominarne solo alcuni.
Con le loro interpretazioni, grandi attori come Totò, Sordi, Gassman, Tognazzi, Mastroianni, Manfredi… illustrarono in maniera spesso satirica il costume italiano di quegli anni. Prosperò contemporaneamente un cinema commerciale basato sulla comicità facile e corriva, e sui generi che servirono a diffondere in molti mercati mondiali la nostra cinematografia: i western all’italiana, i cosiddetti peplum, tratti dalla mitologia e dalla storia antica, gli horror…
In questo periodo d’oro si scatenano tuttavia le conseguenze di battaglie politiche e ideologiche, e anche dei personalismi a cui il progettato cinema di Stato, nato per integrare con la qualità quello privato, fornì la compiacente palestra. Emilio Lonero fu contrastato – e poi benemerito – direttore della XXI Mostra d’arte cinematografica di Venezia e quindi direttore generale dell’Ente cinema, intorno al quale si scatenarono gli appetiti dei cineasti e dei partiti.
Lonero ha avuto il merito di aver sollevato il velo su questo mondo brulicante di meschinità, di gelosie e di faziosità, mentre il cinema italiano sviluppava indipendentemente la sua grandezza in qualità e quantità.
Attraverso la sua sapida prosa, trascorre la trama degli intrighi propri delle vicende umane anche nei loro momenti felici, che fanno di questo libro una commedia con molti personaggi, intorno a un quesito che sembrerebbe limitato a Cinema di Stato, sì o no?
A ragione Berenice (Iolena Baldini), nota giornalista di Paese Sera e autrice di numerosi romanzi, ha scritto: «… il libro di Emilio Lonero mi ha rivelato una parte del mondo interno del cinema che tutti dovrebbero conoscere, perché il cinema è qualcosa che ci appartiene da quando è diventato lo spettacolo più popolare del XX secolo…».
Il valore istruttivo del libro, infine, assume particolare rilievo e attualità oggi che gli interventi dello Stato nella produzione cinematografica nazionale sembrano assicurare l’opulenza ma non sempre la qualità e il consenso del pubblico.

Turi Vasile


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