Rubriche
tratto dal n.07 - 2003


Insegnare, cioè comunicare l’esistente


Massimo Borghesi, Memoria, evento, educazione, Itaca libri, 
Castel Bolognese (Ra) 2002, 
160 pp., euro 11,00

Massimo Borghesi, Memoria, evento, educazione, Itaca libri, Castel Bolognese (Ra) 2002, 160 pp., euro 11,00

«Col signor Bernard le lezioni erano sempre interessanti, per la semplice ragione che lui amava appassionatamente il proprio mestiere. Certo, anche nelle altre classi si insegnavano molte cose, ma un po’ come s’ingozzavano le oche, si presentava un cibo preconfezionato e s’invitavano i ragazzi a inghiottirlo. Nella classe del signor Germain, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione: li si giudicava degni di scoprire il mondo». Così Albert Camus, ne Le Premier Homme, l’ultimo dei suoi romanzi, rimasto incompiuto, rievocava con commozione il proprio maestro elementare.
Con quest’immagine Massimo Borghesi introduce uno dei temi portanti del suo volume, che tenta di delineare «una “educazione possibile” nel contesto dell’insegnamento scolastico odierno»: la necessità di restituire centralità alla figura del maestro, unitamente all’esigenza di riscoprire nel suo significato una “tradizione culturale”.
Negli ultimi decenni, tra i vari tentativi di porre mano a una riforma del sistema scolastico, l’aspetto soggettivo della comunicazione del sapere è stato messo sistematicamente in discussione. Alla figura del “maestro” si è sostituita gradualmente quella del “tecnico-educatore”: «Rispetto al maestro» scrive Borghesi «il “tecnico-educatore” non ha da trasmettere una tradizione, un’immagine d’uomo, ma solo da veicolare, mediante tecniche appropriate, informazioni. Queste, nella loro supposta “neutralità”, prescindono dal rilievo esistenziale, da ogni possibile significato per l’esistenza dell’insegnante e da ogni ipotetica incidenza nella vita dell’allievo. [...] L’autentico maestro, al contrario, non può astrarre dalla comunicazione esistenziale».
I segni di questa tendenza a svuotare la figura centrale del soggetto educatore si sono gradualmente imposti nella scuola italiana: a partire dall’abolizione del maestro unico nella scuola elementare, passando per la moltiplicazione delle discipline operata nelle varie mini-riforme e sperimentazioni poste in essere nella scuola superiore; fino a quella che potrebbe oggi essere definita la “dittatura dei pedagogisti”, che impone alla scuola il mito dell’oggettività della valutazione, l’impero dei test a risposta multipla, la dissoluzione del concetto stesso di “classico” in nome del verbo strutturalista, che decompone, seziona, opera chirugicamente sul testo quasi a prescindere dal suo contenuto. Una rivoluzione silenziosa, che in qualche modo si è già compiuta nel chiuso delle aule scolastiche. Questa rivoluzione emerge oggi nelle nuove tipologie di prova scritta all’esame di maturità; nella trasformazione dei libri di testo, sempre più voluminosi e ipertrofici, che tendono a invadere lo spazio personale destinato al ruolo dell’insegnante; nel loro linguaggio sempre più astratto.
Al contrario, osserva Borghesi, «uno stile di insegnamento non abolisce ma implica la dimensione soggettiva. Il maestro/docente non informa solamente, egli “racconta”. Narra per far “vedere” ciò che gli autori, poeti, storici, filosofi, artisti, scienziati, hanno “visto” prima di lui». L’educatore che opera privilegiando la dimensione “narrativa” si pone dunque come il luogo fisico della comunicazione di eventi, storie, idee, concetti che trovano proprio nella sua mediazione, per nulla “neutrale” o, ancor peggio, “tecnica”, lo spazio in cui prendere vita e farsi esperienza nell’animo dei discenti. Per questo Borghesi rivaluta, a livello educativo, la linea del realismo che caratterizza in modo straordinario la cultura occidentale, fin dalle sue origini (Iliade e Odissea, i grandi tragici greci) come ha mirabilmente messo in luce Erich Auerbach, nel suo ormai classico Mimesis. Tradizione, memoria, apprendimento, scuola assumono allora un senso e una prospettiva, nella affermazione potente, propria di questa linea della cultura occidentale, dell’essere sul nulla, della positività del reale contro la tentazione del nichilismo. Una linea che trova voce nei grandi classici: essi esprimono ed esaltano, infatti, quelle esigenze di felicità, libertà, verità e giustizia, proprie del cuore dell’uomo, e che sono vive in chi insegna come in coloro che apprendono, a patto che non siano espressamente censurate ed escluse dal rapporto tra docente e alunno. Nella sua opera di mediazione tra la tradizione e la viva persona del discepolo, il gesto del maestro «fa segno a un punto della realtà dove la realtà non è ancora, ma che costituisce il punto d’attesa del discepolo. [...] Dalla sua viva voce il discepolo apprende lo stupore originario di fronte al mondo, il miracolo incomprensibile dell’esistenza».
Per altre informazioni consultare il sito www.itacalibri.it o telefonare allo 0546.656188).
Giovanni Ricciardi




Terrorismo e guerra


Andreotti, Diliberto, Mingone, Rashid, Senese, Terrorismo e guerra, Datanews, Roma 2002, 87 pp., euro 8,00

Andreotti, Diliberto, Mingone, Rashid, Senese, Terrorismo e guerra, Datanews, Roma 2002, 87 pp., euro 8,00

Prima iniziativa pubblica del Centro studi “Politecnico”, una associazione che vuole occupare uno spazio culturale di riflessione e di dialogo, importante per ricostruire un rapporto tra intellettuali e politica, in termini di militanza culturale lontano, dicono i promotori, dagli inevitabili condizionamenti derivanti dalle collocazioni politiche. Il Centro studi è nato attorno a Oliviero Diliberto, già ministro della Giustizia e segretario del Pdci, Giulietto Chiesa, Margherita Hack – che lo presiede –, Manuela Palermi .
La prima uscita pubblica del Centro studi, dunque, ha riguardato il tema Terrorismo e guerra, che è anche il titolo del volumetto di poco più di ottanta pagine che raccoglie gli atti dell’incontro, gli interventi di Giulio Andreotti (“La guerra non risolve i conflitti”) Oliviero Diliberto, Giangiacomo Migone, Ali Rashid, Salvatore Senese e altri magistrati. Un confronto a più voci, condotto in piena guerra in Afghanistan, nel quale è difficile forse trovare un elemento unificante, un filo comune che leghi tutti i contributi offerti, ma è sempre così per i dibattiti che si svolgono a ruota libera e il libro va letto per le sollecitazioni che contiene e per le riflessioni che vuole suscitare.
Andreotti parte innanzitutto dall’equivalenza terrorismo-violenza: «Penso che sarebbe giusto se educassimo noi stessi ed il nostro popolo ad essere non tanto contro il terrorismo, ma contro la violenza. Aiuterebbe a chiarire». E la sua analisi si snoda, in rapida successione, su temi che riguardano la situazione in India, il problema del Medio Oriente, la situazione in Israele, la politica siriana, la questione palestinese, la “questioneche verrà ripresa anche da Migone e dagli altri intervenuti. Migone fu presidente della Commissione esteri del Senato nella precedente legislatura, la XIII: la sua è una analisi realistica della situazione post 11 settembre 2001, con la guerra in Afghanistan sempre sullo sfondo anche se, ammette, il tema è più ampio. Sul versante umanitario già prima dell’11 settembre c’erano due milioni e mezzo di profughi afghani in Pakistan, un altro milione e mezzo in Iran, centinaia di migliaia in Tagikistan e nelle altre Repubbliche ex sovietiche. Ben 5 milioni di persone, prima dell’11 settembre, in Afghanistan vivevano grazie agli aiuti alimentari del World Food Program, l’agenzia delle Nazioni unite per l’alimentazione. Nel dibattito Ali Rashid, primo consigliere della Delegazione palestinese in Italia, si preoccupa delle questioni della legalità del diritto internazionale (i principi del diritto internazionale possono essere accantonati nella guerra al terrorismo?), inquadrando la violazione dei diritti in un preciso quadro geografico e politico di riferimento, ovviamente visto da un preciso punto di vista.
È un libro che si legge velocemente e che aiuta a capire la stagione di guerra che stiamo vivendo e che pare non finire mai.
Walter Montini




Ritorno alla lectio


C. Esposito, G. Maddalena, P. Ponzio, M. Savini (a cura di), Finito infinito, Edizioni di pagina, Milano 2002, 96 pp., euro 6,00

C. Esposito, G. Maddalena, P. Ponzio, M. Savini (a cura di), Finito infinito, Edizioni di pagina, Milano 2002, 96 pp., euro 6,00

Finito infinito è un agile testo scritto a otto mani da quattro giovani studiosi di filosofia Costantino Esposito, Giovanni Maddalena, Paolo Ponzio e Massimiliano Savini che, come recita il sottotitolo Letture di filosofia, hanno voluto raccogliere testi sul tema di Tommaso d’Aquino, Nicola Cusano, Giordano Bruno, Cartesio, Pascal, Kant, Hegel, Leopardi, Nietzsche, Charles S. Peirce, Bertrand Russell, Wittgenstein e Heidegger. Naturalmente il volumetto non pretende essere esaustivo né quanto al tema né quanto alla trattazione che di esso hanno fatto gli autori presi in considerazione. Pur tuttavia, essendo i testi ordinati secondo un originale percorso e altrettanto originali accostamenti, ne risulta una lettura stimolante. Il testo inoltre risulta affidabile dal punto di vista scientifico, come si dice, perché le fonti sono presentate scrupolosamente, e spesso ritradotte, e poi perché di ogni autore vengono offerte una scheda e una bibliografia, essenziale ma aggiornata, nella seconda parte intitolata “Profili”.
Proprio a partire da questo piccolo testo ci si potrebbe chiedere se al momento, per dire qualcosa di interessante, ci sia strada diversa da quella scelta dagli autori – «a dire il vero non molto usuale», purtroppo, come si legge nella Prefazione – di glossare dei testi autorevoli con scrupolo e senza pedanteria. A nostro avviso oggi non servono né selezioni o compilazioni rese sempre più facili dalle risorse dell’informatica, ma che risultano spesso troppo vaste senza per questo complete (a quel punto tanto vale la pubblicazione integrale delle fonti, magari ben tradotte e commentate: cosa rara); né la pretesa di dire qualcosa di nuovo a prescindere dal riferimento a testi classici e autorevoli, cosa che si risolve spesso in puri e semplici giochi di parole che non fanno fare passi avanti alla scienza, ma affaticano semplicemente studenti e studiosi alle prese con bibliografie sempre più ampie e non necessarie.
Serve la lectio, cioè saper leggere e commentare un testo. Ricordiamoci che un tempo il passaggio obbligato per diventare maestri era commentare adeguatamente tutti lo stesso Libro delle Sentenze di Pier Lombardo.
Lorenzo Cappelletti




Accenni di poesia attenta alle cose


Alessio Brandolini, Divisori orientali, Manni, Lecce 2002, 72 pp., euro 8,00

Alessio Brandolini, Divisori orientali, Manni, Lecce 2002, 72 pp., euro 8,00

Può succedere, percorrendo una strada in Grecia, di incrociare grossi camion con la scritta “metaforà” sul telone. Niente di strano: “metaforà” in neogreco significa “trasporti”. I mezzi pesanti, allora, sono gli unici deputati.
Dotato di peso e di corpo è il mondo che permea la poesia di Alessio Brandolini. Un mondo visitato in un viaggio lungo tutta la raccolta, accompagnato dalle immagini rese visibili e concrete dalla parola poetica. O meglio: prima della parola poetica, se non addirittura nonostante essa. La mente cerca di interpretare, di far proprie, di possedere («ora t’immagino/ a infrangere le stelle/ con un vecchio cannocchiale/ appartenuto a Galilei», p. 25). Reso virtuale il reale, alleggerito, come può fare un metafora, o l’occhiata veloce del sightseeing, l’impatto è meno duro. Divisori orientali è la storia di un impatto, che diventa schianto come un grave in caduta libera quando la poesia si sorprende ad accorgersi che tutto ha un peso. Dal reale alla metafora e ritorno, anche a rischio di urtare gli spigoli, e anche ogni gesto impercettibile si carica, in caduta, di responsabilità.
Si potrebbero fare tanti riferimenti. La parola poetica irrimediabilmente occidentale di Brandolini è in qualche modo perfettamente inscritta in una tradizione tutta italiana. Quella di Giorgio Caproni, intanto: treni, valigie, incontri, fino ad arrivare a quella Stabilità della fuga (p. 36) che ripercorre la Prudenza della guida caproniana, nei temi nella struttura e nel lessico, quasi proponendosene epilogo, dopo quaranta anni. Spunta talvolta il nome di Italo Calvino, ed è l’emblema del viaggio da non percorrere: quello che desidererebbe togliere peso a quei visibilia che nella poesia di Brandolini sono in un certo modo la garanzia dell’oggettività contro Orfeo («Le divinità / dovrebbero farla finita / di giocare a nascondino» p. 42). E, forse più di tutti, quello di Eugenio Montale, con la bellissima scoperta del “tu”.
Alessio Brandolini, vincitore del premio “Alfonso Gatto - Opera prima” 2003, è, sembrerebbe, un avveduto lettore di poesia italiana. Sensibile ed accorto nel maneggiare registri stilistici («Lo stendi tu il verbale?», p. 28), la sua voce lascia eco come raramente accade; perfettamente – ma in modo originale – inscritta in una letteratura sempre più attenta alle cose, al peso, alla realtà.
Cristiana Lardo




Sulle tracce dei trofei degli apostoli Pietro e Paolo


Romarcheologica. Guida alle antichità della città eterna, “Le chiese paleocristiane di Roma”, 
Elio de Rosa editore, marzo 2003, 128 pp. , euro 10,28

Romarcheologica. Guida alle antichità della città eterna, “Le chiese paleocristiane di Roma”, Elio de Rosa editore, marzo 2003, 128 pp. , euro 10,28

La rivista Romarcheologica propone, nel numero di marzo 2003, ancora disponibile in libreria un viaggio nella Roma cristiana dei primi secoli, descrivendo e illustrando, dall’età apostolica fino all’Alto medioevo, l’incidenza del cristianesimo nello spazio urbano e suburbano della Città eterna. Dalle domus ecclesiae, le case private in cui si riunivano le prime comunità cristiane dell’Urbe nei tre secoli delle persecuzioni, alle monumentali basiliche costantiniane, dentro e fuori le Mura, fino agli interventi edilizi successivi alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il lettore potrà seguire le fasi di quello sviluppo in virtù del quale la capitale “pagana” si è progressivamente trasformata nella Roma cristiana, spazio sacro per eccellenza, caratterizzato dal culto dei martiri e soprattutto dalla presenza dei trofei degli Apostoli Pietro e Paolo.
Nella prima parte, curata da Mariangela Marinone (Università La Sapienza di Roma), la ricostruzione storica di questo lento e graduale passaggio tiene conto delle nuove acquisizioni archeologiche emerse dagli scavi e dagli studi degli ultimi vent’anni – come sottolinea nell’introduzione la direttrice scientifica del numero, Margherita Cecchelli, ordinario di Archeologia cristiana presso la medesima Università – e per questa ragione «la rende molto utile anche per i numerosi “addetti ai lavori”».
La seconda sezione è organizzata in otto itinerari, relativi ad altrettante zone della città (Celio e dintorni, Esquilino-Viminale, Quirinale, Campo Marzio, Palatino, Aventino, Trastevere, Suburbio), che presentano e descrivono, dal punto di vista storico-archeologico e architettonico, i luoghi di culto cristiano ubicati dentro e fuori della città e sorti tra il IV ed il VII secolo dopo Cristo. Alla realizzazione degli itinerari, cui ha collaborato anche il Cnr, hanno contribuito numerosi archeologi e ricercatori, riuscendo nell’intento di coniugare chiarezza espositiva e rigore scientifico. Completa il quadro un ricco e curato repertorio iconografico e una serie di piantine, schede didattiche e indicazioni bibliografiche che arricchiscono il testo e lo rendono accessibile anche alla fruizione di un pubblico non specialistico.
Giovanni Ricciardi




L’equivoco non aiuta l’autentico


Pontificio Consiglio per la famiglia (a cura di), Lexicon, Edb, Bologna 2003, 867 pp., euro 60,00

Pontificio Consiglio per la famiglia (a cura di), Lexicon, Edb, Bologna 2003, 867 pp., euro 60,00

Porta la data dell’8 dicembre 2002, festa dell’Immacolata Concezione, e la firma del cardinale Alfonso López Trujillo, ma è appena uscito, per le Edizioni Dehoniane di Bologna (Edb), il Lexicon, a cura del Pontificio Consiglio per la famiglia. Missione del volume, di quasi 900 pagine, è di illuminare riguardo ad alcuni termini ed espressioni ambigue o equivoche, di difficile comprensione: Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche è il sottotitolo del volume.
Un campo delicatissimo quello della famiglia, della vita e della dimensione etica che le abbraccia, dove i termini, le parole legate al concetto, hanno una loro precisa significanza: in questo senso il Lexicon è un formidabile sussidio per una informazione corretta e precisa.
Spesso alcune espressioni seducono nella loro ambiguità, traggono in inganno, e non ci si rende conto di questo; la stessa opinione pubblica, a causa di un’informazione che spesso altera il significato dei termini, viene manipolata e la confusione dei termini stessi, spesso con freddo calcolo, va a toccare e invadere anche la sfera dei “diritti”. E l’equivocità cresce: «Per non offendere l’orecchio, si sostituiscono espressioni alternative, per esempio, interruzione di gravidanza per esprimere l’aborto, l’eutanasia per significare un mal morire, la pillola del giorno dopo per esprimere un abortivo» (p. 7). E si potrebbero fare tanti altri esempi di evoluzione semantica in cui, evocando esigenze di modernità, l’omicidio si chiama morte indotta, l’infanticidio aborto terapeutico e l’adulterio diviene una semplice avventura extramatrimoniale.
Studiosi italiani e stranieri di riconosciuti competenza e prestigio, oltre che di grande spessore culturale e scientifico, hanno lavorato attorno a 78 espressioni proprie della “causa” della vita e della famiglia, raccolte nel volume attraverso la ricerca approfondita della verità, in perfetta consonanza e continuo riferimento al magistero del Papa e della Chiesa.
In un momento di relativismo etico riguardo alla equivocità e alla verità nel linguaggio è ancora valido il pensiero di Heidegger: l’equivocità non aiuta l’autenticità. Senza la ricerca della verità, l’universo della libertà è contaminato e posto in grave pericolo. Non esiste libertà senza verità.
Walter Montini




Un modello italiano di Welfare


Istituto Luigi Sturzo (a cura di), Fanfani e la casa,  Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2002, 442 pp., euro 26,00

Istituto Luigi Sturzo (a cura di), Fanfani e la casa, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2002, 442 pp., euro 26,00

In occasione della presentazione del volume Amintore Fanfani e la sua terra avvenuta mesi fa all’Istituto Luigi Sturzo, Franco Nobili ricordò l’attenzione e la sensibilità dello statista italiano verso i problemi della povera gente. Fanfani fu tra gli “inventori” e i realizzatori del progresso italiano dal dopoguerra in poi: la capacità di sfornare continuamente idee e l’altrettanto straordinaria capacità di saperle tradurre in opere concrete nel tracciato del pensiero sociale e del solidarismo cristiano maturato, specialmente in Italia, dai cattolici impegnati in politica, ci porta ad un lunghissimo elenco di opere, consacrate dalla storia, che recano il suo nome. Il ricordo di Fanfani resta legato in modo indelebile anche al “piano Ina-Casa” che venne allora percepito, nella comprensione popolare, come “le case Fanfani”.
Opportunamente Rubbettino pubblica oggi, in collaborazione con l’Istituto Luigi Sturzo, un’interessante ricerca, Fanfani e la casa. Gli anni Cinquanta e il modello italiano di Welfare state. Il piano Ina-Casa: ricostruzione storica di un’iniziativa, nuova nel suo genere, che fu operativa dal 1948 al 1962 e che, al suo nascere, suscitò uno dei dibattiti più vivi del dopoguerra, in Parlamento, nell’opinione pubblica e nello stesso partito di maggioranza. Nel clima arroventato del dopo- elezioni del ’48, c’erano paure e sospetti verso tutte le iniziative e i programmi che implicassero l’intervento dello Stato. Il piano, fermamente sostenuto da De Gasperi che lo voleva approvato «senza ritardi e complicazioni», portava il titolo “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia”, col duplice scopo, dunque, di costruire case per i lavoratori ma anche di concorrere all’incremento dell’occupazione operaia, attraverso una formula tecnica originale per il Paese. E l’obiettivo venne centrato (cfr. il saggio di Nino Novacco, pp. 283-291)
Tutta la storia del dibattito che si animò attorno al progetto viene ripercorsa nei contributi che compongono la prima parte del libro, “Storia dell’iniziativa”, a partire da quello di Francesco Malgeri fino ad arrivare all’analisi vera e propria del piano, “Storia del progetto”, che occupa la seconda sezione del volume. Secondo Corrado Beguinot, coordinatore della ricerca, il piano Fanfani non ha solo prodotto posti di lavoro per un numero considerevole di maestranze impiegate nell’edilizia e nel suo vasto indotto, né ha esclusivamente reso possibile la costruzione di un rilevantissimo numero di alloggi ma, favorendo la ricerca e la sperimentazione sul tema della casa, ha costituito l’occasione per affermare professionalmente un’intera generazione di giovani architetti e ingegneri, contribuendo a scrivere un’importante pagina della storia recente della nostra società.
Walter Montini


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