Recensioni
La globalizzazione è un fatto

Jesús Villagrasa, IGlobalizzazione. Un mondo migliore?/I, Logos, Roma 2003, 166 pp., euro 10,00
La globalizzazione ha prodotto una novità culturale che la Chiesa, esperta in umanità, si sforza di discernere e stimare. Benché abbracci aspetti economici e politici, i suoi aspetti culturali ed etici costituiscono per la comunità cristiana motivo di speciale interesse e attenzione. La dottrina sociale della Chiesa, iniziata con la Rerum novarum e continuata con la Quadragesimo anno, ha visto poi la Populorum progressio e la Pacem in terris che, a distanza di quaranta anni, si rivela ancora di grande attualità; per non citare i più recenti documenti sociali di Giovanni Paolo II sui quali l’autore insiste molto nel corso della sua disamina.
È il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio a introdurre l’argomento ripercorrendo le teorie economiche sviluppatesi nei secoli scorsi, e non solo nel nostro Paese, con l’invito ad «un pensiero forte ma aperto, in grado di ricondurre ad unità le mutevoli e contingenti situazioni», ad attrezzarsi per affrontare le sfide che la globalizzazione pone e impone in politica: il fenomeno va dunque governato. La sua è, ancora una volta, una lezione di economia politica che cerca di far luce sui cambiamenti epocali che stiamo vivendo e che dobbiamo guidare per cogliere i vantaggi delle tendenze, inarrestabili, in atto.
Walter Montini
Tornando alla legge truffa

Maria Serena Piretti, ILa legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica/I, Il Mulino, Bologna 2003, 254 pp., euro 18,00
Quegli anni tormentati e difficili vengono ora ricostruiti attraverso una forte analisi storica da Maria Serena Piretti, docente di Storia contemporanea all’Università di Bologna, in un’opera recentemente edita da il Mulino, col titolo La legge truffa. I fatti sono noti. Nel 1953 fu votata in Parlamento, in un clima di rissa, lanci di calamai, accuse verbali, schiaffi e pugni e con l’ostruzionismo della sinistra (l’autrice descrive bene quel clima), una legge che attribuiva un sovrappiù di seggi (15%) al partito o al polo che avesse raggiunto la maggioranza non già relativa, ma assoluta, vale a dire il 50% più uno. Non era dunque un sistema maggioritario, ma un proporzionale corretto. La legge passò in Parlamento ma fu bocciata dagli elettori. L’8 giugno 1953 la lista apparentata alla Dc e alcuni partiti minori (Pli, Pri, Psdi) ebbe 13.488.813 voti, pari al 49,85%; le altre ne ebbero 13.598.788: una differenza davvero minima, di soli 110.000 voti (moltissime le schede nulle e contestate). Sarebbe interessante aprire un capitolo sui sospetti che si riversarono sull’esito delle votazioni, soprattutto riferiti al picco di schede annullate; cerca di farlo Maria Serena Piretti nel cap.V, “Lo svuotamento delle urne” (pp.175-219) con dovizia di particolari, alcuni inediti, e con un’attenta analisi dei dati elettorali. Resta la decisione di De Gasperi e Scelba di non contestare i risultati; non se ne fece nulla, e la legge fu semplicemente abrogata. Quel risultato finì per sancire la crisi dell’equilibrio centrista voluto da Alcide De Gasperi e dai suoi alleati “laici”. La sconfitta della legge scatenò gli oppositori di De Gasperi, da Mattei a Fanfani, da La Pira a Lazzati, da Gui a Moro…, col risultato di accentuare la ingovernabilità del Paese: la II legislatura ebbe ben sei diversi governi… (È di aiuto, per la comprensione del periodo e del fatto, la mostra internazionale in corso al Vittoriano, fino a fine anno, dall’indovinato titolo «Alcide De Gasperi, un europeo venuto dal futuro», curata dalla Fondazione intitolata allo statista trentino).
Oggi, a distanza di mezzo secolo, con una certa freddezza e con maggior distacco, è possibile una riflessione critica più argomentata e documentata su quel momento. E queste pagine del nuovo libro della Piretti, esperta di Storia dei sistemi elettorali, offrono indubbiamente materiale utile ad una riflessione anche sulla “ingegneria elettorale” della presente stagione politica, stagione certamente diversa da quella del ’53, ma che, mutatis mutandis, pare presentare caratteri e dimensioni di altrettanta complessità.
Walter Montini
Storia della malaria in Italia
Un bell’acquarello in copertina del pittore Onorato Calandi, che rappresenta il Tevere in piena, invita a consultare i due volumi editi dagli Archivi di Stato di Roma: Fonti per la storia della malaria in Italia. Sono i risultati di varie ricerche di archivio, preziose per gli addetti ai lavori in quanto storicizzano un problema, un argomento; interessanti per i profani che, attraverso queste pagine, prendono coscienza dell’impegno profuso dallo Stato per debellare nel secolo scorso una epidemia pericolosa e preoccupante.
Il saggio introduttivo, di 89 pagine, rilegge la legislazione sulla malaria attuata dal Parlamento italiano dall’unificazione (a partire dal 1878) all’avvento del fascismo e oltre (cfr. la legge 851 del 22 giugno 1933, “Coordinamento e integrazione delle norme dirette a diminuire le cause della malaria”); è di Maura Piccialuti, come suo è il coordinamento dell’intero lavoro. Contributi di contenuto storico istituzionale e archivistico, come si diceva, raccolti in oltre ottocento pagine, ricostruiscono puntualmente e con rigore documentario la storia della malaria in Italia partendo dagli interventi dello Stato italiano nei diversi campi e con strumenti differenziati, ingegneristici o sanitari, agronomici o medici, in una realtà sociale difficile, talvolta drammatica; la sezione finale riporta tavole, planimetrie, fotografie d’epoca e documenti storici riferiti alla materia.
È impossibile dar conto del repertorio pubblicato, desunto da preziosissime e inconfutabili fonti del Ministero dell’Agricoltura (1848-1914), dell’Interno – Direzione generale della sanità pubblica – (1867-1934), del Ministero dell’Agricoltura e foreste – Direzione generale bonifica e colonizzazione- (1900-1960); e ancora: dell’Istituto superiore della sanità (1934-1978), dell’Opera nazionale per i combattenti (1918-1978), dell’Istituto di Malariologia “Ettore Marchiafava” (1927-1971), dell’Istituto interprovinciale antimalarico per le Venezie (1927-1973).
Oggi quei tempi della malaria sono lontani, anche se non lontane sono le preoccupazioni per l’insorgere di altri pericoli e insidie per la salute pubblica. La consultazione dei due volumi non è dunque inutile, anche in questi tempi; anzi, può essere di preziosa utilità e insegnamento.
Walter Montini
Il saggio introduttivo, di 89 pagine, rilegge la legislazione sulla malaria attuata dal Parlamento italiano dall’unificazione (a partire dal 1878) all’avvento del fascismo e oltre (cfr. la legge 851 del 22 giugno 1933, “Coordinamento e integrazione delle norme dirette a diminuire le cause della malaria”); è di Maura Piccialuti, come suo è il coordinamento dell’intero lavoro. Contributi di contenuto storico istituzionale e archivistico, come si diceva, raccolti in oltre ottocento pagine, ricostruiscono puntualmente e con rigore documentario la storia della malaria in Italia partendo dagli interventi dello Stato italiano nei diversi campi e con strumenti differenziati, ingegneristici o sanitari, agronomici o medici, in una realtà sociale difficile, talvolta drammatica; la sezione finale riporta tavole, planimetrie, fotografie d’epoca e documenti storici riferiti alla materia.
È impossibile dar conto del repertorio pubblicato, desunto da preziosissime e inconfutabili fonti del Ministero dell’Agricoltura (1848-1914), dell’Interno – Direzione generale della sanità pubblica – (1867-1934), del Ministero dell’Agricoltura e foreste – Direzione generale bonifica e colonizzazione- (1900-1960); e ancora: dell’Istituto superiore della sanità (1934-1978), dell’Opera nazionale per i combattenti (1918-1978), dell’Istituto di Malariologia “Ettore Marchiafava” (1927-1971), dell’Istituto interprovinciale antimalarico per le Venezie (1927-1973).
Oggi quei tempi della malaria sono lontani, anche se non lontane sono le preoccupazioni per l’insorgere di altri pericoli e insidie per la salute pubblica. La consultazione dei due volumi non è dunque inutile, anche in questi tempi; anzi, può essere di preziosa utilità e insegnamento.
Walter Montini
Il diario di un laico cattolico

Alberto Marvelli, IDiario e lettere. La spiritualità di un laico cattolico/I, San Paolo, Torino 1998, 188 pp., euro 11,36
Il giovanissimo Marvelli, già ingegnere, aveva diretto, nell’immediato dopoguerra, la prima ricostruzione di una Rimini praticamente rasa al suolo dai bombardamenti alleati. Durante la guerra aveva reso il suo servizio agli sfollati, ai feriti, ai moribondi, senza risparmiare un minuto del suo tempo. Dopo l’8 settembre era riuscito a farsi assumere come tecnico dal comando tedesco, e da quella posizione privilegiata collaborava con le formazioni partigiane passando loro informazioni riservate. La formazione di Alberto era passata attraverso l’esperienza dell’Azione cattolica degli anni Trenta e della Fuci di Giovanni Battista Montini, che avrebbe dato vita a una generazione di cattolici per certi aspetti irripetibile nella storia recente della Chiesa italiana. Il libro edito da san Paolo, pubblicando gli scritti di Marvelli, cioè il diario e la corrispondenza, porta alla luce la radice profonda di questa vita così operosa: l’amore all’eucaristia, la contemplazione di Cristo crocifisso, il rosario quotidiano. Di questa intimità con Dio brillano le scarne pagine di un diario scritto senza continuità, ma accuratamente meditato. Insieme alle lettere, il diario di Marvelli traccia le tappe fondamentali di un itinerario interiore che si rifletteva, oltre che nell’agire quotidiano, in un sorriso «di una limpidezza che io chiamerei da bambini», come ebbe a dire Benigno Zaccagnini, che lo aveva conosciuto nella Fuci e lo aveva chiamato a collaborare nella Dc.
Giovanni Ricciardi
In viaggio per Lourdes

Felice Moscone, I“La santità è tutto”. Monsignor Alessandro Rastelli: una vita per l’Oftal/I, Oftal, Trino Vercellese 2003, 160 pp., s.i.p.
La sua Opera celebra ora il settantesimo anno di vita, ricordando il proprio fondatore con questa pubblicazione di Felice Moscone, vicario della diocesi di Vercelli. Il testo ripercorre il cammino umano e spirituale del sacerdote, attraverso i primi passi dell’opera, che egli incominciò in solitudine e senza aiuti finanziari, fino al considerevole sviluppo degli anni Trenta e alla vigorosa ripresa successiva alla parentesi bellica.
Giovanni Ricciardi
De Nicola tra le strade di Napoli e nei palazzi del potere

Gabriele Benincasa, IL’importanza di chiamarsi Enrico e altri aneddoti su Enrico De Nicola/I, Edizioni di Gabriele e Mariateresa Benincasa, Roma 2003, 213 pp. , euro 16,00
Sull’uomo di stato e sulla dirittura morale del primo presidente della Repubblica italiana è stato scritto molto. Il grazioso volume di Gabriele Benincasa ha voluto invece fissare per iscritto una lunga tradizione aneddotica che ha sempre accompagnato il personaggio. Il libro, pieno di gradevoli e gustosi episodi ambientati nelle realtà più diverse, ci permette di seguire De Nicola nelle occasioni più varie della sua vita pubblica e privata, tra le strade di Napoli o nei palazzi del potere, alle prese con giornalisti invadenti o vigili troppo zelanti.
Benincasa è riuscito così a raccontare l’umanità e i complessi aspetti del carattere di De Nicola. Amava essere onorato e faceva mostra di non gradire l’onore dovuto; avvisava le autorità di non scomodarsi a riceverlo all’arrivo in una stazione e si risentiva se veniva preso alla lettera. S’inalberava con le autorità locali, troppo ossequiose nei suoi riguardi, per aver voluto allargare la stradina di Torre del Greco dove era la sua villa, quando fu nominato presidente della Repubblica; ma minacciava di lasciare per sempre il paese campano perché un ladruncolo aveva osato rubargli le ruote dell’auto privata, salvo poi perdonarlo di fronte alla supplica accorata della madre. L’umanità di Enrico De Nicola è tutta in questa compenetrazione profonda con il popolo e con lo stato di cui si sentiva servitore, ma da cui esigeva rispetto e ossequio.
«Este es un encantador». La definizione, lapidaria e suggestiva, viene dalla bocca della mitica Evita Peron, giunta in visita di Stato durante la presidenza De Nicola. A questa storica visita è legato uno dei più gustosi episodi raccolti dall’autore.
A far gli onori di casa, essendo De Nicola celibe, fu chiamata Laura Terracini, che era però compagna, non moglie del presidente dell’Assemblea Costituente. All’uscita del Menzognero, giornale satirico romano, che il giorno dopo titolò: Scandalo a Palazzo Giustiniani, De Nicola perse le staffe e convocò d’urgenza un giovane sottosegretario alla Presidenza, Giulio Andreotti, cui intimò il sequestro del “fogliaccio” invocando, ricorda lo stesso Andreotti nella prefazione al libro, un antiquato articolo 2 della legge di Pubblica sicurezza.
«Andreotti» racconta Benincasa «tentò in tutte le maniere di dissuadere De Nicola dal provvedimento richiesto che, sottolineava, invece di tacitarla, avrebbe finito col dare maggiore risalto alla cosa e, non ultimo, sarebbe stato un gesto poco elegante verso la compagna di Terracini. Andato a vuoto ogni tentativo di convincimento, Andreotti dovette, suo malgrado, rivolgersi al prefetto di Roma al quale suggerì, in via riservatissima, di disporre un sequestro simbolico, limitato a qualche copia soltanto del foglio incriminato. Il prefetto operò nei termini convenuti e con tutte le cautele possibili, avendo anche cura di recapitare di persona al capo dello Stato il primo e ultimo verbale di sequestro. E De Nicola si acquietò».
Giovanni Ricciardi