Monsignor Rosmini
Forse per parlare di Rosmini e della sua attualità nella Chiesa contemporanea, l’analogia più appropriata è con i Padri dei primi secoli, nei quali l’acutezza e la vastità di interessi speculativi si sposavano con l’ardore evangelico dei pastori d’anime
di Francesco Cossiga

Rosmini a vent’anni in un ritratto di Giuseppe Craffonara
Tuttavia, avendo avvicinato Rosmini in stagioni diverse della mia vita, ed essendone stato in un certo modo contagiato, cercherò di evidenziare alcuni aspetti che mi sembrano farne un autentico profeta, al quale toccò la sorte di tanti come lui, dalla vista lunga, non capito, e addirittura perseguitato in vita e anche dopo la morte.
Quando si vuole raccogliere in un solo sguardo sintetico l’intera testimonianza di vita e di pensiero di Rosmini, diventa difficile trovare paragoni adeguati con altri santi. La storia moderna e contemporanea ci offre sì figure che siano eminenti in qualche campo del pensiero e dell’azione, ma nessuna che li abbia sviluppati con la larghezza, profondità e completezza di Rosmini. Nella storia medievale possiamo accostarlo a santi come Bernardo, Anselmo, Bonaventura, Tommaso. Ma forse è più appropriata l’analogia con i Padri dei primi secoli della Chiesa, nei quali l’acutezza e la vastità di interessi speculativi si sposavano con l’ardore evangelico dei pastori d’anime, intelletto, cuore e azione, scienza e santità portate ai limiti delle capacità umane: Origene, Agostino, Ambrogio.
Rivelativa, anzitutto, è la profondità dei principi da cui Rosmini parte, ogni volta che intenda dar vita a qualcosa. C’è in lui sempre la tendenza a trovare – in filosofia, in teologia, in morale, in politica, nel diritto, perfino nella fondazione della sua Società della Carità – una base rocciosa ed estesa, capace di sostenere con coerenza tutti gli sviluppi necessari che da quel seme potrebbero prendere vita.
Ad esempio, tutta la sua filosofia poggia sull’idea semplice ma universalissima dell’essere, l’antropologia sulla dignità della persona umana, il diritto sulla solidità della giustizia, la teologia sul lume naturale della ragione che viene completato dal lume soprannaturale della grazia, la morale sul dovere di riconoscere praticamente l’essere, la teosofia sul nesso primordiale tra unità e molteplicità dell’essere, il matrimonio sulla pienezza e complementarità della dilezione reciproca, l’Istituto della Carità sull’esigenza battesimale di coltivare in sé e con gli altri l’amore che viene da Dio e che è Dio stesso, la Chiesa sullo sviluppo e completamento della società del genere umano con Dio stesso.
Forte di queste condizioni di partenza, Rosmini sviluppa in circa trent’anni un pensiero enciclopedico impressionante, quasi una «summa totius cristianitatis» (il paragone è di Michele Federico Sciacca), un ricco deposito di cultura umana e cristiana racchiuso in circa cento grossi volumi. È la sua eredità preziosa, che egli costruisce pazientemente, seguendo gli impulsi della Provvidenza, e che lascia ai contemporanei e ai posteri come contributo del suo passaggio sulla terra, icona del suo amore per l’uomo e per la società. Se si volesse trovare una definizione che più si attagli a Rosmini, potremmo dire che egli è il dottore della carità universale, doctor universalis caritatis.
Il fine per cui egli scrive gli era stato rivelato da papa Pio VIII in una memorabile visita fattagli nel 1829, a 32 anni: condurre gli uomini alla religione mediante la ragione. Era in sostanza il bisogno dei tempi, che presto si farà più palese e oggi acquista un sapore “profetico” per i nostri tempi. Siamo infatti in un momento in cui gli uomini cominciano in modo preoccupante ad allontanarsi da Dio in nome della ragione, persuasi di poter foggiarsi la vita senza avere bisogno della religione. Lo strappo della ragione dalla fede si fa sempre più largo, come confida Rosmini a un amico: «Gli uomini sono andati lontano, e noi dobbiamo andare lontano per riagganciarli».
Anche l’aspetto di vita pubblica di Rosmini oggi può essere più pacificamente giudicato, fino ad arrivare a considerare realmente pacificato il contenzioso tra la nazione italiana e la Chiesa apertosi dopo il 1848, e conclusosi effettivamente oggi solo con la beatificazione di Antonio Rosmini
In conclusione, la figura di Rosmini oggi può
venire come aiuto provvidenziale a recuperare l’uomo intero e a
disporlo, così unificato, ad aprirsi alla comunione con Dio. Il
mondo occidentale è venuto operando, all’interno
dell’uomo, una progressiva lacerazione. Prima lo ha allontanato da
Dio, spegnendo il cielo interiore del soprannaturale. Poi ne ha mortificato
la ragione, chiedendogli il sacrificium
intellectus (nichilismo), infine ne ha
svuotato la volontà (inconsistenza dei valori etici). Tutta
l’opera di Rosmini invece è tesa a riaccendere
all’interno dell’uomo il cielo del soprannaturale e la
comunione col Dio unitrinitario. L’uomo poi che si presenta davanti a
Dio non è una porzione di uomo, ma la persona tutta intera, che non
sacrifica né i sensi, né l’intelletto, né la
volontà.
Un capitolo che solo un teologo potrebbe svolgere è l’influenza che Antonio Rosmini indubbiamente esercitò sul Concilio Vaticano II insieme a John Henry Newman.
In questo senso anche l’aspetto di vita pubblica di Rosmini oggi può essere più pacificamente giudicato, fino ad arrivare a considerare realmente pacificato il contenzioso tra la nazione italiana e la Chiesa apertosi dopo il 1848, e conclusosi effettivamente oggi solo con la beatificazione di Antonio Rosmini.