BENEDETTO XVI. Immagini, ricordi e bilanci del suo pellegrinaggio
«... E dal forte è uscito il dolce»
L’ ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede paragona la visita di papa Benedetto XVI in Terra Santa con quelle di Paolo VI nel 1964 e di Giovanni Paolo II nel 2000. E cita la frase del Libro dei Giudici per spiegare l’attuale rapporto tra Stato ebraico e Roma
di Mordechay Lewy
Benedetto XVI, con il presidente israeliano Shimon Peres, pianta un ulivo nel giardino della residenza presidenziale di Gerusalemme, l’11 maggio 2009 [© Osservatore Romano]
Nel 1964 la visita di Paolo VI fu la chiara espressione di una politica di non riconoscimento. La Nostra aetate non era ancora stata promulgata e lo scopo della visita, al di là dell’atto del pellegrinaggio, fu l’incontro con il patriarca ecumenico greco-ortodosso Athenagoras a Gerusalemme. Il risultato, un anno dopo, fu la rimozione della storica scomunica verso la Chiesa greco-ortodossa. La visita di Giovanni Paolo II nel 2000, d’altro canto, era nel quadro delle celebrazioni del Giubileo. La visita del Papa, preannunciata molto tempo prima, si verificò senza che ci fosse stato un invito formale. Fu come se papa Wojtyla si fosse messo in marcia per proprio conto e solo dopo, bussando alla porta d’Israele, annunciasse: «Sto arrivando, siete in casa?». Il desiderio personale del Papa aveva annullato ogni obiezione da parte dei suoi consiglieri e della Chiesa locale. Il programma includeva non soltanto atti di riconoscimento politico attraverso la visita al presidente d’Israele nella sua residenza ufficiale a Gerusalemme, ma il suo affetto personale verso gli ebrei fu visibile quando lui rimase più a lungo di quanto previsto dal protocollo a Yad Vashem, parlando con gli ebrei di Cracovia che erano sopravvissuti all’Olocausto. Il suo gesto sensazionale di chiedere perdono a Dio davanti al Muro del Pianto configurò in modo indelebile l’impatto che la sua storica visita avrebbe avuto in futuro. Al tempo stesso non tutti in Vaticano erano felici di questo suo gesto che, nelle loro menti, aveva troppe e troppo estese implicazioni teologiche. I primi passi operativi per esaudire il desiderio di papa Benedetto, a lungo coltivato, di seguire le orme del suo predecessore e di realizzare una visita pastorale e un pellegrinaggio in Terra Santa, furono fatti nel novembre del 2008.
Una delle prime richieste del Papa, dopo essere stato così tante volte sollecitato verbalmente ad andare, fu di ricevere un invito formale da parte di tutti i capi di Stato interessati (cioè il re di Giordania, il presidente d’Israele e il presidente dell’Autorità palestinese). Con questi inviti in tasca egli stava dando alla sua visita anche una dimensione politica, essendo stato invitato, appunto, dai suoi colleghi – i capi di Stato. Ciò è servito principalmente come ennesima conferma del costume della Santa Sede di assumere una posizione speciale come attore politico. Anche gesti ulteriori che potevano significare un miglioramento delle relazioni bilaterali con Israele furono presi in considerazione.
Benedetto XVI saluta l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, Gerusalemme, il 12 maggio 2009 [© Osservatore Romano]
Per Israele la visita di Benedetto XVI ha avuto un’importanza storica, e non semplicemente perché essa ha avuto luogo. Israele tiene l’attuale Papa in grande considerazione come vero amico degli ebrei, come pure stima il dialogo tra le fedi che insieme a noi il Papa promuove. Ci sembra che la sua visita abbia ormai dato vita a una tradizione grazie alla quale qualunque pontefice in futuro potrà visitare la Terra Santa e Israele. Il programma di Giovanni Paolo II probabilmente rimarrà come modello per le visite a venire. Ma le dichiarazioni di papa Benedetto durante la sua permanenza alimenteranno le nostre relazioni future per lungo tempo. Le sue chiare parole contro la negazione dell’Olocausto e a favore della lotta all’antisemitismo, ma ancor più il suo impegno al dialogo con il “fratello maggiore” nello spirito della Nostra aetate, noi speriamo raggiungeranno anche le comunità cattoliche nel Terzo mondo.
Così, avendo in mente ciò che è successo nell’ultimo anno, possiamo spiegare lo stato attuale delle nostre relazioni bilaterali con l’indovinello di Sansone tratto dal Libro dei Giudici (14, 14): «… E dal forte è uscito il dolce».