Perché credo
Lo scopo di questo ponderoso libro-intervista è con tutta evidenza quello di accendere i riflettori sulla fonte, sul “fatto” della conversione di Messori, su cosa abbia mutato quel giovane virgulto del vigneto doc (torinese) del laicismo italiano in un pugnace e ostinato defensor della cattolicità
di Tommaso Ricci
Vittorio Messori con Andrea Tornielli, Perché credo. Una vita per rendere ragione della fede, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2008, 434 pp., euro 20,00
Vittorio Messori è un figlio auspicato eppure anomalo del Concilio. Nel senso che è un fedele laico che si dà da fare nel suo ambito professionale (di giornalista e scrittore) senza chiedere permessi o benedizioni previe al ceto ecclesiastico, si muove sotto la propria responsabilità personale, pratica con fervore la tanto declamata “autonomia” del laicato dalle sottane della gerarchia. Ma la coltiva a tal punto da essersi reso immune da quella forma patologica di clericalismo laico che ha affumicato la Chiesa postconciliare, conferendole una vivacità solo apparente e inoculandole in realtà il virus della mondanizzazione. Certo in questo il laicato non operò in solitaria, il furor theologorum fu altrettanto devastante (la Conferenza episcopale francese introdusse nei testi canonici la memoria liturgica di Karl Marx, il 27 marzo!, cfr. p. 98 del libro). Viceversa, il laico Messori non ha mai avuto problemi a dissentire dall’establishment ecclesiastico quando ha ritenuto ciò doveroso, cioè non per affermare idee e ideologie à la page, bensì per difendere i diritti della fede, della Chiesa e soprattutto della ragione.
Come è potuto sfuggire Messori alle seduzioni intellettuali sessantottine rivestite di paramenti sacri? Semplice, lui era agnostico, veniva da una famiglia modenese non cattolica e tendenzialmente di mangiapreti; quanto alla carne, era vitalmente immerso nei suoi piaceri e per quel che atteneva allo spirito era sottilmente pervaso da quella nausea esistenziale à la Sartre che “si portava” allora. Uno scettico, libertino, individualista incrollabile. Della Chiesa non conosceva né si interessava punto. Pii discorsi ed esortazioni solidaristiche non lo avrebbero mai smosso dalle sue convinzioni e dal suo stile di vita. Solo un incontro diretto, a tu per tu, inatteso (nel senso di non cercato consapevolmente, perché in realtà ogni uomo attende) poteva interessarlo. E a lui, consumatore indefesso di libri, solitario per temperamento, il Signore si fece incontro attraverso un piccolo polveroso Vangelo uscito misteriosamente da un armadio di casa. Nulla di più, nulla di meno. Un fatto banale, senza glamour miracolistico, che arriva al lettore non prima di pagina 178. E non già perché il valido e tenacissimo intervistatore Tornielli non gli abbia chiesto in precedenza cos’era accaduto, no, glielo chiede varie volte, ma Messori come in un duello estenuante schiva l’assalto divagando, ora appellandosi al pudore, ora diffondendosi sulle premesse, ora soffermandosi sulle conseguenze. Mai, si badi, rispondendo a vuoto, anzi sempre introducendo particolari, circostanze e riflessioni interessanti, ma rivelando, e infine confessando, la sua incapacità a utilizzare le parole per descrivere l’evento che gli ha mutato radicalmente la vita (vengono in mente i soavi e acuti versi: «nec lingua valet dicere, nec littera exprimere…»).
Questo – come detto all’inizio – è un particolare che colpisce in un libro che si intitola Perché credo; però a ben riflettere, e anche a rileggere le pagine del Vangelo sull’incontro dei primi apostoli con Gesù, l’aura soprannaturale non connota affatto il momento “x” nella vita dei credenti, la piccola chiavetta d’accensione che mette in moto i motori più possenti. E infatti, man mano che la vita scorre e lo sguardo all’indietro si allunga, il “perché credo” di ciascuno coincide sempre più con il “per chi credo” (“attraverso chi credo”, “grazie a chi credo”), cioè quei quotidiani volti, a quelle semplici persone (in passato i genitori, ora spesso altri) che ci hanno messo in contatto e inserito nella bimillenaria trama di grazia chiamata cristianesimo.
Due postille finali. Ci siamo soffermati su un piccolo grande aspetto che peraltro si ridimensiona alla seconda lettura, ma il libro è anche molto, molto altro. Gli incontri, i ricordi, i pensieri, i giudizi, spesso urticanti, di Vittorio Messori, sono quelli di un appassionato uomo di cultura (fatto non irrilevante) e contengono stimoli inesauribili. Davvero utili per respirare un po’ d’aria catholica d’alta quota.
Di questa sapienza duramente coltivata e messa a disposizione di tutti attraverso i suoi molti libri (a partire dal primo, indimenticato Ipotesi su Gesù) chi scrive è un longevo ammiratore, che parimenti confessa di non esser riuscito ad apprezzare quelle cinque parole poste in quarta di copertina, sopra la foto dell’autore: «Un cristiano, non un cretino», una replica diretta a recenti pamphlet che sbeffeggiano i cristiani e che forse non meritano tanta importanza. Avranno pur venduto molto, ma che noia! So già cosa risponderebbe Messori: Caro mio, questa è l’apologetica, questo è il mio lavoro!