«Passerò il mio Cielo a fare del bene sulla terra»
Si celebra il centenario di uno dei miracoli più singolari di santa Teresa di Lisieux: quello con cui, nel 1910, risolse i gravi problemi economici del Carmelo di Gallipoli e confermò alla Chiesa la bontà della sua “piccola via”, aprendo la strada alla sua beatificazione
di Giovanni Ricciardi
Gallipoli in una foto dei primi del Novecento
Dieci anni più tardi, il testo francese di Storia di un’anima, l’autobiografia di Teresa, era già sul tavolo di papa Pio X. Da qualche tempo ne era stata pubblicata anche una traduzione non ufficiale in italiano che finì nelle mani di suor Maria Ravizza, una religiosa approdata a Lecce nel 1905 per dirigere un collegio femminile affidato alla sua Congregazione, le suore Marcelline.
Fu lei, nel 1908, a parlare per la prima volta con la priora del Carmelo di Gallipoli di questa carmelitana di Lisieux morta pochi anni prima in odore di santità. Madre Maria Carmela del Cuore di Gesù aveva la stessa età di Teresa e tanti problemi da affrontare per quella comunità che già allora cominciava a presentire una crisi economica diffusa in tutta Italia e che portò il monastero, l’anno seguente, a un passo dalla rovina. La priora chiese in prestito Storia di un’anima, ne fu fortemente impressionata e la fece conoscere alle consorelle.
Trecento lire erano una grossa cifra nel 1910. A tanto ammontava il debito accumulato dal monastero, che le suore non riuscivano a colmare coi lavori di ricamo e la preparazione delle ostie per la diocesi. Al principio dell’anno madre Maria Carmela, certa che la piccola Teresa l’avrebbe ascoltata, decise di celebrare un triduo alla Santissima Trinità per chiedere, con l’intercessione di suor Teresa di Gesù Bambino, una soluzione ai gravi problemi di sussistenza del monastero. «La confidenza compie miracoli», aveva scritto una volta Teresa alla sorella Celina, invitandola a pregare sempre, senza stancarsi. E così, la risposta alle preghiere di madre Maria Carmela non si fece attendere.
Nella notte fra il 15 e il 16 gennaio, la priora sognò una giovane carmelitana che le sorrideva e la invitava a recarsi con lei nella stanza della ruota, dove si trovava la cassetta con il foglio del debito: «Senti», le disse, «il Signore si serve dei Celesti come dei terrestri, queste sono cinquecento lire con le quali pagherai il debito di comunità». La priora protestò che il debito era di trecento lire, ma lei replicò: «Vuol dire che le altre resteranno in più, intanto tu non puoi tenerle in cella, vieni con me». Pensando di sognare la Santa Vergine, madre Maria Carmela la chiamò con quel nome, ma si sentì rispondere: «No, figlia mia, non sono la nostra Santa Madre, sono invece la serva di Dio suor Teresa di Lisieux». Così Teresa anticipava, attribuendosi quel titolo, l’apertura del processo di beatificazione che si andava preparando e che fu inaugurato il 12 agosto di quello stesso anno. Al mattino dopo, nella cassetta furono effettivamente trovate, tra lo stupore di tutta la comunità, cinquecento lire nuove di zecca.
Madre Maria Carmela si affrettò a scrivere a Lisieux una lettera (vedi box) in cui descriveva il miracolo nei dettagli e che riempì di commozione madre Agnese di Gesù, soprattutto per un particolare cui la priora di Gallipoli non aveva annesso tutta la sua importanza: nel sogno, dopo aver consegnato il denaro, Teresa si era mossa per andarsene; la priora l’aveva fermata dicendo: «Aspettate, potreste sbagliare la via!», ma Teresa le aveva risposto: «No, no, figlia mia, la mia via è sicura, né l’ho sbagliata!».
La cassetta dove sono state deposte le cinquecento lire
Suor Teresa di Gesù Bambino aveva in questo modo confermato la sua “piccola via”, che ora poteva essere seguita senza incertezze. E così madre Agnese rispose alla priora di Gallipoli il 4 marzo del 1910: «Mia reverenda e buona madre, immaginate con quale gioia noi abbiamo ricevuto la vostra relazione così interessante. Teresa ci aveva detto quando era quaggiù: “Se la mia via di fiducia e di amore è sospetta, vi prometto di non lasciarvi nell’errore. Io ritornerò per avvisarvi e, se questa via è sicura, anche voi lo saprete”. Ed ecco che proprio a voi, madre carissima in Gesù, quest’angelo viene a dire come stiano le cose: “La mia via è sicura e non mi sono sbagliata”. Forse non avete dato che un senso letterale a questa frase, ma qui le cose stanno diversamente. Ciò che ammiro, ancora, è che Teresa sia venuta a dirci ciò proprio nel momento in cui ci si occupa della sua causa, dove si sta studiando la sua “via”. Oh, madre mia, fin dalla sua morte la mia piccola Teresa ha fatto molti miracoli, ma nessuno mi ha colpito come quest’ultimo».
Anche per questo al miracolo di Gallipoli fu riservata una speciale sessione del processo di beatificazione. La santa, negli ultimi anni di vita, soprattutto nel cosiddetto “manoscritto B”, aveva condensato la dottrina della sua “piccola via”, che per la sua limpida semplicità le avrebbe meritato, un secolo dopo, il titolo di dottore della Chiesa. Di questo argomento aveva spesso parlato anche con una giovane novizia a lei particolarmente cara, suor Maria della Trinità, che depose anch’essa al processo. Anche lei aveva ricevuto la promessa di essere avvisata dal Cielo sulla bontà degli insegnamenti ricevuti: «Una volta, suor Teresa mi chiese se avrei abbandonato, dopo la sua morte, la piccola via di fiducia e di amore. “Certamente no!” le dissi: “Ci credo così fermamente che mi sembra che, se il Papa mi dicesse che vi siete ingannata, non potrei crederlo”. “Oh”, soggiunse lei vivacemente: “bisognerebbe credere al Papa prima di tutto, ma non abbiate paura che lui venga a dirti di cambiare via; non gli lascerei il tempo, perché se, arrivando in Cielo, venissi a sapere che ti ho indotta in errore, otterrei dal buon Dio il permesso di venire immediatamente ad avvertirti”».
Richiesta di chiarire il contenuto di questi insegnamenti, suor Maria della Trinità spiegò: «Ciò che suor Teresa chiamava la sua “piccola via d’infanzia spirituale” era il continuo argomento delle nostre conversazioni. “I privilegi di Gesù sono per i più piccoli”, mi ripeteva. Era inesauribile sulla fiducia, l’abbandono, la semplicità, la rettitudine, l’umiltà del bambino piccolo, e me lo proponeva sempre come modello. Un giorno, in cui le manifestavo il mio desiderio di avere più forza ed energia per praticare la virtù, lei riprese: “E se il buon Dio ti vuole debole e impotente come un bambino, credi di avere meno merito? Accetta dunque di vacillare a ogni passo, persino di cadere, di portare la tua croce debolmente, ama la tua impotenza; la tua anima ne ricaverà più profitto che se, trasportata dalla grazia, compi con slancio azioni eroiche, le quali riempirebbero il tuo animo di soddisfazione personale e di orgoglio”. Un’altra volta, in cui mi rattristavo ancora per i miei cedimenti, mi disse: “Eccovi ancora uscita dalla piccola via! Una pena che abbatte e scoraggia viene dall’amor proprio; una pena soprannaturale ridona coraggio, dà un nuovo slancio per il bene; si è felici di sentirsi deboli e miseri, perché più lo si riconosce umilmente, aspettando tutto gratuitamente dal buon Dio senza nessun merito da parte nostra, più il buon Dio si abbassa verso di noi, per colmarci dei suoi doni con generosità”».
Nel mese di maggio, madre Carmela rivide in sogno la piccola Teresa che la rassicurò sul rinnovarsi del miracolo e le promise che avrebbe trovato nella cassettina un nuovo biglietto da cinquanta lire. Invece, ne furono rinvenuti addirittura tre. Infine, in agosto, comparvero altre cento lire. In quello stesso mese si apriva a Lisieux il processo di beatificazione.
Per chiarire tanti accadimenti misteriosi, giunse a Gallipoli il vicepostulatore della causa, monsignor de Teil. Il racconto di madre Carmela si mantenne conforme alla precedente relazione inviata alla priora di Lisieux.
Intanto, il vescovo di Nardò, Nicola Giannattasio, venne a conoscenza della prodigiosa somma rinvenuta dalla priora. Sapeva anche che le carmelitane, desiderose di abbellire la povera chiesa del monastero, avevano cominciato di nuovo a invocare la loro piccola sorella di Lisieux per ottenere la somma necessaria, circa trecento lire. Così, per testimoniare la sua devozione verso Teresa e festeggiare il primo anniversario del miracolo, con l’inizio dell’anno nuovo pensò di dare in offerta al Carmelo una somma equivalente a quella che era stata trovata nel gennaio precedente. Prese una banconota da cinquecento lire e la mise in una busta. Vi inserì anche uno dei suoi biglietti da visita, sul quale scrisse: «In memoriam, LA MIA VIA È SICURA, IO NON MI SONO SBAGLIATA, suor Teresa di Gesù Bambino a suor Maria Carmela, Gallipoli,16 gennaio 1910. Orate pro me quotidie ut Deus misereatur mei». Su questa busta, lasciata aperta, riscrisse «In memoriam». La busta fu poi messa dentro un’altra più grande, che venne chiusa con un sigillo di ceralacca, con le sue insegne episcopali. Al posto dell’indirizzo, il vescovo scrisse questa raccomandazione: «Da riporsi nella solita cassettina e da aprirsi dalla madre priora, suor Maria Carmela del Cuore di Gesù, il 16 gennaio 1911». Fece recapitare la busta al Carmelo e, qualche giorno dopo, in occasione dell’anniversario, vi si recò lui stesso per predicare gli esercizi spirituali.
Appena giunto, seppe subito che la busta era intatta e si trovava sempre nella cassettina dove era stata depositata, secondo il suo desiderio. Madre Carmela, invitata dal vescovo, andò a prendere la busta, tolse il sigillo di ceralacca, l’aprì e la passò a monsignor Giannattasio, che rimase sorpreso di trovarvi quattro nuovi biglietti di banca: due da cento lire e altri due da cinquanta, per un totale di trecento. Il vescovo pensò che il suo biglietto fosse stato cambiato con altri di taglia minore, ma rimase stupito nel vedere che la banconota da cinquecento lire era ancora al suo posto, nella busta più piccola. Non se ne capacitava. La priora allora concluse: «Questo denaro è vostro, contatelo. Se ci sono trecento lire in più, non sarebbe quello che la comunità ha chiesto con tanta fiducia a suor Teresa?».
Non fa meraviglia, a pensarci bene, che Teresa sia stata commossa proprio da una richiesta fatta con quella “tanta fiducia”, che è propria del bambino, e che rappresenta il cuore stesso della sua “piccola via”. E poi, anche Teresa sapeva quanto fosse penosa la condizione di chi non può pagare i propri debiti. Nell’ultima fase della malattia, aveva appreso con dispiacere di essere stata dispensata anche dall’Ufficio dei morti che ogni carmelitana deve recitare per le consorelle defunte in tutti i monasteri del mondo. E a madre Agnese aveva detto: «Non posso appoggiarmi a nulla, su nessuna opera mia, per aver fiducia. Così avrei ben voluto poter dire a me stessa: sono in pari con tutti i miei Uffici dei morti. Ma questa povertà è stata per me una vera luce, una vera grazia. Ho pensato che in tutta la mia vita non ho potuto riscattare un solo debito mio verso il Signore, ma che questo era per me una vera ricchezza e una forza se l’accettavo. Allora ho fatto questa preghiera: “Dio mio, ve ne supplico, soddisfate al debito che ho verso le anime del Purgatorio, ma fatelo da Dio, cioè infinitamente meglio che se io avessi detto i miei Uffici dei morti”. Mi sono ricordata con grande dolcezza di quelle parole del Cantico di san Giovanni della Croce: “E ogni debito paga!”. Avevo sempre applicato questo all’amore. Sento che una tale grazia non si può rendere! Si trova una pace così grande d’essere integralmente povere, di contare soltanto su Dio misericordioso».
A questo amore, a questa povertà, a questa pace Teresa aveva aggiunto, dal Cielo, una carità sovrabbondante e concretissima.