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ARTE
tratto dal n. 06 - 2003

Il Caravaggio virtuale


In mostra a Napoli decine di tele del Merisi, ricreate con raffinati strumenti digitali. Un’idea utile, a patto di non credere che l’opera virtuale sorprenda più di quella reale


di Carlo Montarsolo


La mostra, dal titolo Tutta l’opera del Caravaggio. Una mostra impossibile, è stata allestita a Castel Sant’Elmo, Napoli. L’esposizione presenta riproduzioni digitali in scala reale di quasi tutta l’opera di Michelangelo Merisi

La mostra, dal titolo Tutta l’opera del Caravaggio. Una mostra impossibile, è stata allestita a Castel Sant’Elmo, Napoli. L’esposizione presenta riproduzioni digitali in scala reale di quasi tutta l’opera di Michelangelo Merisi

Si sono aperte, nella città partenopea, ben due mostre di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. La prima mostra è stata ordinata in Castel Sant’Elmo. Viene presentata come “mostra impossibile” per l’eccezionale numero di sessantaquattro “riproduzioni” di dipinti del Caravaggio, tutte a colori e a grandezza naturale; esse sono realizzate sulla base di procedimenti digitali sofisticatissimi, impensabili fino a qualche anno fa.
«L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità digitale»: così è scritto nel dépliant offerto ai visitatori. In effetti, la rassegna realizza la possibilità di “vedere” quasi tutta l’opera del Caravaggio, in quanto include i principali dipinti certi del maestro. Un evento senza precedenti. Folla costante nel suggestivo ingresso di pietra di tufo bruno e caldo, tipico di Castel Sant’Elmo.
Dal mio punto di vista di pittore, mi sono posto alcune domande che in questa breve nota cercherò di esporre. Confesso che questo cosiddetto «libero esame pittorico», indicato nella prefazione e nei giornali, poco mi convince e molto mi allarma (troppe mostre in Italia, sempre su autori e temi di popolare rinomanza, dalle ripetute rassegne degli impressionisti a questo Caravaggio “virtuale”…).
Se lo scopo è esclusivamente didattico, in specie per i giovani (così distratti dalla facile riproducibilità tecnica di ogni cosa), questa “mostra impossibile” di opere ricreate attraverso raffinati strumenti digitali, può essere divulgativa. Ma è possibile che nell’intento degli organizzatori il “virtuale” (tutto è luce artificiale e colore di insegne luminose e “video walls”) possa interessare come e più del “reale”? La così vistosa e spettacolare sequenza di video colorati “sparati” su chi guarda può veramente contribuire, oltre che alla lettura, anche a capire e ammirare il modo magistrale di disegnare e campire il colore del Caravaggio? Si vorrebbe scoprire, guardando dietro le immagini illuminate da speciali lampade, come siano state realizzate tecnicamente tali “fictions”. Esse non hanno e non possono avere nulla a che fare con l’autenticità e il fascino delle tele dipinte dal maestro del Narciso. Penso a cosa possa servire, oltre alla pura operazione didattica, questa operazione-mostra in Castel Sant’Elmo. Quale significato di concreta e duratura cultura ha questo sfoggio di “virtualismo” rispetto alla realtà avvincente delle opere originali dei grandi pittori di tutti i tempi? Si pensi al Truffatore di Paestum riprodotto digitalmente (per fortuna, essendo dipinto su pietra, rimarrà sempre nella discreta penombra dove figura). Diamine, la differenza fra una tela caravaggesca e la sua rappresentazione digitale è oggettivamente enorme! Dov’è la pasta cromatica compatta e inondata di luce propria (nei toni chiari e nelle ombre, del tutto inimitabili), dipinta dal genio di Caravaggio? Con quell’“umore”, quasi tattile nella stesura delle linee e delle forme, sui nudi, sui panneggi, sulle nature morte? Gli stessi titoli e significati delle opere risultano quasi secondari rispetto alla “resa” veemente e rivoluzionaria nel muovere il pennello e nell’usare le alchimie relative, con una sapienza e padronanza inverosimili. Una “riproduzione” non può assolutamente evidenziare tutto questo.
L’altra mostra, nel museo di Capodimonte, con tre soli capolavori di Caravaggio, inaugura i nuovi ambienti del prestigioso edificio. Vi figurano il Bacchino malato della Galleria Borghese, con la forte impronta caravaggesca nella posa del braccio e della mano e nell’angolazione del capo: si guardi il pallore del volto infantile e i due frutti in primo piano che, così pieni di arcana luce pittorica, esaltano il color bruno e malato della pelle. Il Bacco degli Uffizi, rutilante nella materia colorata, e con quell’orlo rossastro sul bordo della coppa di vino, tenuta in alto come in un’offerta sacrale. Ed infine il Ragazzo morso da un ramarro, della Fondazione Longhi. Qui il volto del fanciullo («morso da una lucertola che usciva dai fiori e dai frutti») ha come una dolorosa smorfia, quasi di raccapriccio. È un primo riflesso emotivo della sfera magica del Caravaggio.
A Capodimonte, anche se con poche opere, la forza e la suggestione del naturalismo caravaggesco prorompono e arricchiscono, in diretta, la sensibilità e l’intelligenza di ognuno di noi. Senza alcun vertice sofisticato di “virtuosismo espositivo”, come in Sant’Elmo.


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