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LA STORIA DI JOSEPH RATZINGER
tratto dal n. 03 - 2006

Tradizione e libertà: le lezioni del giovane Joseph


I primi anni d’insegnamento del professor Ratzinger nel ricordo dei suoi allievi. «La sala era sempre stracolma. Gli studenti lo adoravano. Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente»


di Gianni Valente


Joseph Ratzinger in una foto 
del 1961, mentre prepara 
la lezione nella biblioteca 
del seminario di Bonn

Joseph Ratzinger in una foto del 1961, mentre prepara la lezione nella biblioteca del seminario di Bonn

«Era l’inizio del semestre invernale 1959-60. Nell’aula 11 dell’Università, piena di studenti, si aprì la porta ed entrò un giovane sacerdote, che a prima vista poteva sembrare il secondo o il terzo vicario di qualche grossa parrocchia di città. Era il nostro ordinario di Teologia fondamentale, e aveva 32 anni». Così l’allora studente Horst Ferdinand, scomparso due anni fa dopo una vita trascorsa tra gli uffici amministrativi del Parlamento federale e le sedi diplomatiche tedesche, appuntava nel suo inedito manoscritto di memorie l’incipit in punta di piedi della carriera universitaria di Joseph Ratzinger. Un’avventura cominciata qualche mese prima, che anche il professore poi diventato Papa descrive nella sua autobiografia come un inizio vibrante di belle promesse: «Il 15 aprile 1959 cominciai le mie lezioni, ormai come professore ordinario di Teologia fondamentale all’Università di Bonn, davanti a un vasto uditorio che accolse con entusiasmo l’accento nuovo che credeva di scorgere in me».
Bonn, in quegli anni, è la capitale quasi per caso della Germania di Adenauer. Nel Paese, amputato che ha lasciato i suoi Länder orientali al di là della cortina di ferro, la rinascita economica e civile procede a ritmi da capogiro. Alle elezioni del ’57 il Partito cristiano-democratico ha superato la soglia della maggioranza assoluta dei consensi. Dopo l’incubo nazista, la Chiesa tedesca offre con legittima fierezza il proprio essenziale contributo al nuovo inizio della nazione. In un clima che potrebbe indurre al trionfalismo, il giovane sacerdote-professore Ratzinger ha da poco raccolto in un articolo scritto nel ’58 per la rivista Hochland le riflessioni suggerite dalle sue brevi ma intense esperienze pastorali vissute qualche anno prima come cappellano nella parrocchia del Preziosissimo Sangue a Bogenhausen, il quartiere altoborghese di Monaco. Definisce un «inganno» statistico il cliché che descrive l’Europa come «un Continente quasi del tutto cristiano». La Chiesa nella modernità postbellica gli appare come «Chiesa dei pagani. Non più, come un tempo, Chiesa di pagani divenuti cristiani, ma Chiesa di pagani che si chiamano ancora cristiani e in verità sono divenuti pagani». Racconta di un nuovo paganesimo «che cresce senza sosta nel cuore della Chiesa e minaccia di demolirla dall’interno».
Bonn è una piccola città che ancora cura le sue ferite di guerra, ma il giovane e brillante professorino bavarese viene dal mondo protetto e familiare del Domberg, l’altura di Frisinga su cui sorgono raccolti uno di fianco all’altro la Cattedrale, il seminario dove si è formato e la Scuola di alti studi teologici dove ha impartito da professore i suoi primi corsi di Teologia dogmatica e fondamentale dal 1958. E la capitale sul Reno dove è stato chiamato a insegnare gli appare come una metropoli pulsante e aperta. Scrive ancora nella sua autobiografia: «Da ogni parte provenivano degli stimoli, tanto più che il Belgio e l’Olanda erano vicini e, tradizionalmente, la Renania è una porta aperta verso la Francia». Per lui è «quasi un sogno» essere stato chiamato alla cattedra inseguita invano anche dal suo maestro Gottlieb Sohngen. E la gratificazione più grande è l’accoglienza da parte degli studenti.

Un professore speciale
Nell’autobiografia, Ratzinger descrive i primi mesi d’insegnamento a Bonn come «una festa di primo amore». Tutti i suoi allievi di allora ricordano bene il passaparola studentesco che faceva accalcare alle lezioni di quell’enfant prodige teologo. Racconta lo studioso di giudaismo Peter Kuhn, che diverrà assistente del professor Ratzinger negli anni d’insegnamento a Tubinga e Ratisbona: «Io allora ero un ventenne luterano. Frequentavo la Facoltà teologica evangelica, dopo aver seguito a Basilea le lezioni di Karl Barth. Conobbi il bavarese Vinzenz Pfnür, che aveva seguito Ratzinger addirittura da Frisinga. Lui mi disse: guarda che abbiamo un professore interessante, vale la pena di sentirlo. Al primo seminario, pensai subito: quest’uomo non è proprio come gli altri professori cattolici che conosco». Scrive ancora Horst Ferdinand nel suo manoscritto: «Le lezioni erano preparate al millimetro. Lui le teneva parafrasando il testo che aveva preparato con formulazioni che a volte sembravano costruirsi come un mosaico, con una ricchezza d’immagini che mi ricordava Romano Guardini. In alcune lezioni, come nelle pause di un concerto, si sarebbe potuto sentire un ago cadere per terra». Aggiunge il redentorista Viktor Hahn, che diventerà il primo allievo ad “addottorarsi” con Ratzinger: «La sala era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano. Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente».
Cosa appassiona tanto gli studenti, in quelle lezioni esposte con tono piano, concentrato, senza gestualità teatrale? È evidente che quello che il giovane professore dice non è farina del suo sacco. Che non è lui il protagonista. «Non ho mai cercato» spiega lo stesso Ratzinger nel libro-intervista Il sale della terra «di creare un mio sistema, una mia particolare teologia. Se proprio si vuole parlare di specificità, si tratta semplicemente del fatto che mi propongo di pensare insieme con la fede della Chiesa, e ciò significa pensare soprattutto coi grandi pensatori della fede».
Sopra, la Rheinische Friedrich-Wilhelms Universität di Bonn; sotto, la Westfälische Wilhelms Universität di Münster

Sopra, la Rheinische Friedrich-Wilhelms Universität di Bonn; sotto, la Westfälische Wilhelms Universität di Münster

Le vie suggerite da Ratzinger agli studenti per assaporare l’avventurosa scoperta della Tradizione sono le stesse che hanno appassionato lui nei suoi studi universitari: la storicità della Rivelazione, sant’Agostino, la natura sacramentale della Chiesa. Basta leggere i titoli dei suoi corsi e dei suoi seminari nei primi anni d’insegnamento. Nel semestre invernale 1959-60 il corso è dedicato a “Natura e realtà della Rivelazione”. Il semestre successivo, il titolo del corso è “La dottrina della Chiesa”. Nel semestre estivo del 1961 toccherà a “Problemi filosofico-religiosi nelle Confessioni di sant’Agostino”…
Se c’è un tratto distintivo delle lezioni di Ratzinger, non ha a che fare nemmeno con un particolare sfoggio di erudizione accademica. Il linguaggio ha una semplicità limpida, che lascia trasparire con immediatezza il cuore delle questioni affrontate, anche le più complesse. Confida Roman Angulanza, uno dei primi studenti dei tempi di Bonn: «Aveva come riformulato il modo di fare lezione. Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, che era una persona intelligente ma non aveva studiato teologia. E se la sorella manifestava il suo gradimento, era per lui il segno che la lezione andava bene». Aggiunge il novantaduenne professor Alfred Läpple, che è stato prefetto di Ratzinger al seminario di Frisinga: «Joseph diceva sempre: mentre fai lezione, il massimo è quando gli studenti lasciano da parte la penna e ti stanno a sentire. Finché continuano a prendere appunti su quello che dici vuol dire che non li hai colpiti. Ma quando lasciano cadere la penna e ti guardano mentre parli, allora vuol dire che forse hai toccato il loro cuore. Lui voleva parlare al cuore degli studenti. Non gli interessava solo aumentare le loro conoscenze. Diceva che le cose importanti del cristianesimo si imparano solo se scaldano il cuore».
Proprio dal gusto di riscoprire la Tradizione leggendo i Padri sgorga nel giovane professore un’apertura totale e duttile davanti alle domande e ai fermenti che rendono vibrante il pensiero teologico di quegli anni. A Bonn ci sono ancora anziani professori formatisi sui canoni del più stretto antimodernismo, che si limitano a proporre schematismi della teologia neoscolastica per evitare ogni guaio con Roma. Lui non appare condizionato da intimidazioni e conformismi accademici. Racconta Hahn: «Mi colpì quando una volta a lezione prese a pretesto un brano dell’Antico Testamento per paragonare l’immagine di Chiesa circolante in quegli anni agli imperi dei Medi e dei Persiani, che credevano di durare per sempre in virtù dell’immutabilità statica delle proprie leggi. Aggiunse con impeto che bisognava difendersi da quell’immagine di Chiesa». Conferma Peter Kuhn: «La maggior parte degli altri professori, al suo confronto, apparivano rigidi e anchilosati, chiusi nei loro schemi, soprattutto verso gli evangelici. Lui affrontava tutte le questioni senza timore. Non aveva paura di spingersi al largo, mentre altri professori non uscivano mai fuori dai binari di una pedissequa autocelebrazione».
La libertà e l’apertura risaltano nel suo rapporto col mondo protestante. Parecchi studenti della Facoltà teologica evangelica – cosa del tutto irrituale in quegli anni – accorrono alle lezioni del giovane professore cattolico, che nel semestre estivo del 1961 svolge il seminario fondamentale sul tema “Chiesa, sacramento e fede nella Confessio augustana e nel semestre invernale ’62-63 dedica il suo corso addirittura al Tractatus de potestate papae di Filippo Melantone. Lo studente di allora Vinzenz Pfnür, quello che aveva seguito Ratzinger da Frisinga a Bonn, si vede assegnare una tesi sulla dottrina della giustificazione in Lutero. E parecchi anni dopo, da professore di Storia della Chiesa, darà il suo contributo all’accordo cattolico-luterano sulla giustificazione sottoscritto ad Augusta il 31 ottobre 1999. Racconta a 30Giorni: «Nel ’61 Ratzinger scrisse per il Lexicon protestante Die Religion in Geschichte und Gegenwart un articolo sul protestantesimo nella prospettiva cattolica. Allora era insolito che a un cattolico fosse chiesto di scrivere per quella pubblicazione. Ratzinger in quell’articolo registrava gli elementi di contrasto con la teologia dialettica ed esistenzialista allora dominante in campo protestante. Ma sottolineava che nonostante la distanza dei due “sistemi”, c’era vicinanza in quello che veniva trasmesso ai fedeli come patrimonio della Chiesa sia da parte cattolica che da parte protestante, ad esempio nella preghiera».

Ratzinger e Schlier divennero amici
La libertà fuori dagli schemi del giovane professore bavarese emerge anche dalla sua affinità elettiva con figure considerate di frontiera dall’establishment teologico di allora. È a Bonn che Ratzinger incontra e comincia a frequentare Heinrich Schlier, il grande esegeta luterano convertitosi al cattolicesimo nel 1953. Spiega Pfnür: «Schlier come allievo di Rudolf Bultmann, era un maestro del metodo esegetico storico-filologico. Riguardo alla domanda sul Gesù “storico”, per Schlier certo è possibile ricostruire tratti decisivi del vissuto di Gesù, ma il Gesù della fede non è accessibile attraverso la ricostruzione dello storico, bensì solo per mezzo dei quattro Vangeli quali uniche interpretazioni legittime. Però l’esistenzialismo teologico di Bultmann rischiava di ridurre la Resurrezione a fenomeno interiore, mentale e psicologico vissuto dai discepoli nell’intimo della propria visione di fede. Mentre per Schlier i Vangeli, così come sono letti e interpretati dalla Chiesa, descrivevano avvenimenti reali, e non visioni interiori prodotte dal sentimento religioso degli apostoli. Fu su questa percezione condivisa che Ratzinger e Schlier divennero amici». Un approccio che assume e valorizza con discernimento critico anche tratti importanti della lezione bultmaniana sul modo di accostarsi alle Sacre Scritture, senza aprioristiche chiusure. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta i due professori animeranno insieme le settimane di studio per giovani teologi organizzate a Bierbronnen, nella Foresta Nera. Schlier sarà anche ospite dei periodici raduni teologici della cerchia degli studenti dottorandi di Ratzinger, inaugurati in forma sistematica a partire dal periodo d’insegnamento a Tubinga. Ma negli anni di Bonn, la simpatia di Ratzinger per il grande esegeta non appare condivisa dal resto del corpo accademico. Dopo la sua conversione al cattolicesimo, che gli preclude la possibilità di insegnare nella Facoltà evangelica, Schlier non trova posto nella Facoltà di Teologia cattolica, e finisce “parcheggiato” in quella di Filosofia, a insegnare Letteratura cristiana antica. Per ascoltarlo accorrono studenti da tutta la Germania, dall’Olanda, dal Belgio. «Ma alcuni professori» ricorda Peter Kuhn «gli erano ostili. Erano invidiosi della vastità del suo orizzonte umano e intellettuale».
Joseph Ratzinger, perito al Concilio 
ecumenico Vaticano II, in una foto  
dell’autunno del 1964

Joseph Ratzinger, perito al Concilio ecumenico Vaticano II, in una foto dell’autunno del 1964

Un’altra amicizia “di frontiera” che segna gli anni di Ratzinger a Bonn è quella con l’indologo Paul Hacker, la cui genialità viene tratteggiata a tinte forti anche nell’autobiografia ratzingeriana. Partito dal luteranesimo, anche Hacker diverrà cattolico, con un percorso fatto anche «di notti intere» trascorse «a dialogare con i Padri o con Lutero, davanti a una o anche a più bottiglie di vino rosso». Ratzinger fa tesoro della sterminata preparazione di Hacker sull’induismo quando deve impostare le lezioni di storia delle religioni che fanno parte del corso di Teologia fondamentale. Proprio sull’induismo, in quegli anni, si concentrano gli interessi di Ratzinger verso il mondo delle religioni. «Qualche studente» ricorda Kuhn «se ne lamentava, scherzandoci sopra. Dicevano: Ratzinger è totalmente immerso nell’induismo, ci parla solo di Bhakti e di Khrisna, non ne possiamo più…». Ma a quegli anni risale anche il primo incontro significativo di Ratzinger con una personalità del mondo ebraico: lo studioso Charles Horowitz, che teneva seminari presso la Facoltà teologica evangelica.

Gli anni del Concilio
In quegli anni, nella Facoltà di Teologia della capitale tedesca molte cattedre sono tenute da professori di prestigio. C’è il grande storico della Chiesa Hubert Jedin, che secondo alcuni studenti di allora sarebbe stato il patrocinatore della chiamata di Ratzinger a Bonn. C’è lo storico dei dogmi Theodor Klauser, la star della Facoltà, sempre elegante, che gira in città con la sua Mercedes fiammante (Ratzinger usa i mezzi pubblici o va a piedi, lo si riconosce da lontano per il suo immancabile basco, che lui stesso chiama con ironia «il mio elmo della prontezza»); c’è l’altro dogmatico bavarese Johann Auer, che Ratzinger incontrerà di nuovo come collega negli anni di insegnamento a Ratisbona. Intorno al professore inizia a formarsi anche un piccolo cenacolo di studenti: Pfnür, Angulanza e pochi altri. La domenica, Ratzinger li invita a pranzo nella sua villetta sulla Wurzerstrasse di Bad Godesberg, dove si è trasferito dopo aver lasciato l’iniziale sistemazione presso il convitto teologico Albertinum. Con lui vive la sorella Maria, che è anche una brava cuoca. Qualche volta anche Auer partecipa a questi convivi bavaresi.
A Bonn Ratzinger arruola anche il suo primo assistente: Werner Böckenförde, scomparso due anni fa. Un munsteriano dalla personalità forte che a volte dà l’impressione di voler “dirigere” il suo professore. Spiega Angulanza: «Böckenförde stimava Ratzinger come teologo, ma era più interessato ai processi e ai fatti di tipo politico-ecclesiastico, che giudicava in maniera molto critica. Il rapporto tra i due era formalmente corretto, ma non familiare».
L’atmosfera dinamica e serena in cui si svolge il lavoro a Bonn è però destinata a sfiorire. Le centinaia di studenti che affollano le lezioni del professore trentenne suscitano invidie da parte di vecchi professori come Johannes Botterweck (Antico Testamento) e Theodor Schäfer (Nuovo Testamento). Ricorda ancora Angulanza: «Non saprei giudicare Schäfer, perché non frequentai mai le sue aride lezioni, dove si limitava a citare in maniera pedissequa il suo Compendio all’introduzione del Nuovo Testamento. Botterweck a noi studenti appariva pieno di sé, presuntuoso e polemico». Le invidie accademiche crescono quando Giovanni XXIII indice il Concilio Vaticano II, e il cardinale di Colonia Joseph Frings, dopo aver sentito una conferenza del giovane docente bavarese sulla teologia del Concilio, lo sceglie come proprio consulente teologico in vista della partecipazione alle assise conciliari. Frings e il suo segretario Hubert Luthe – futuro vescovo di Essen e compagno di studi di Ratzinger all’Università di Monaco – inviano al loro collaboratore gli schemata dei documenti approntati dalla Commissione preparatoria per avere il suo parere. Ratzinger, a quanto racconta lui stesso nell’autobiografia, ricava da essi «un’impressione di rigidità e di scarsa apertura, di un eccessivo legame con la teologia neoscolastica, di un pensiero troppo professorale e poco pastorale». È Ratzinger che scrive la famosa conferenza letta da Frings a Genova il 19 novembre 1961 su “Il Concilio Vaticano II davanti al pensiero moderno”, che riassume le attese di riforma suscitate dall’imminente assemblea ecclesiale in buona parte degli episcopati europei. Quando inizia il Concilio, Frings porta con sé a Roma il suo consulente, ottiene per lui la nomina ufficiale a teologo del Concilio. Si farà aiutare da lui nella stesura degli interventi che rappresentano le ragioni dell’ala riformista dell’assemblea conciliare. E fornirà al suo collaboratore la chance per diventare uno dei protagonisti nel “dietro le quinte” del Concilio. Ma a Bonn la valorizzazione del talento teologico trentacinquenne non è gradita a tutti. E l’aria diventa pesante.
Ratzinger, professore di Teologia dogmatica alla Scuola di Alti studi filosofico-teologici di Frisinga, nel 1959

Ratzinger, professore di Teologia dogmatica alla Scuola di Alti studi filosofico-teologici di Frisinga, nel 1959


Invidia clericorum
Della cerchia dei dottorandi di Ratzinger fanno parte due studenti ortodossi, Damaskinos Papandréou e Stylianos Harkianakis, oggi ambedue metropoliti del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Ma il Consiglio di Facoltà respinge la richiesta dei due di addottorarsi presso la Facoltà cattolica. Durante una trasferta di Ratzinger a Roma per il Concilio, i voti delle prove di alcuni suoi allievi vengono abbassati dai suoi detrattori. Anche la tesi dello studente Johannes Dörmann sulle nuove acquisizioni circa l’evoluzionismo introdotte dagli studi di Johann Jacob Bachofen (il primo a teorizzare l’esistenza di un matriarcato originario primitivo) viene osteggiata con l’argomento che non si tratta di un lavoro teologico. Ratzinger ripensa al dramma da lui vissuto per il suo esame di abilitazione, quando il professore di Teologia dogmatica Michael Schmaus, suo correlatore, aveva tentato di bocciare la sua tesi su san Bonaventura, tacciandola di modernismo. E capisce che è ora di cambiare aria.
Nel 1962 si libera la cattedra di Teologia dogmatica alla prestigiosa Università di Münster: il grande teologo dogmatico Hermann Volk, nominato vescovo di Magonza, chiede che a succedergli sia chiamato Joseph Ratzinger. Ricorda Viktor Hahn: «Il professore dapprima rifiutò quella chiamata: non voleva lasciare Bonn, anche per non allontanarsi da Colonia dove era iniziata la collaborazione con Frings. Ma quattro mesi dopo tornò sulla sua decisione e accettò. Di certo le ostilità intorno a lui erano cresciute con la sua nomina a perito del Concilio. Chiesi al professor Jedin se erano stati gli altri professori a scaricarlo. Mi rispose: lei potrebbe non avere torto». Botterweck, nelle chiacchiere tra colleghi, si vanterà di averlo «fatto scappare» da Bonn.
A Münster Ratzinger si insedia con la sorella Maria in una villetta sul viale Annette von Droste Hülshoff, vicino al lago artificiale Aasee. Al piano di sopra troveranno alloggio due suoi studenti, i “fedelissimi” Pfnür e Angulanza, che all’Università lo assistono come collaboratori scientifici. Di mattina presto celebra messa nella cappella di una casa di cura vicino casa, e poi va in Facoltà in bicicletta. Racconta Peter Kuhn: «Münster è una città di pianura, non è lontana dall’Olanda, lì tutti si muovevano in bici, come del resto fanno in molti anche oggi. Dissi a Pfnür di comprarne una per il nostro professore, ma lui è un tipo parsimonioso e ne trovò una usata, così malmessa che ancora oggi lo prendo in giro, dicendo che per colpa di quella bicicletta anche adesso al Papa fanno male le ginocchia…». A Münster si allarga il giro di allievi che chiedono di addottorarsi con lui. Con i più intimi continua la tradizione dei pranzetti bavaresi. Qualche volta il drappello di teologi col loro professore si ritrovano a mangiare a una locanda sul lago che sembra tagliata su misura per loro: si chiama Zum Himmelreich, Al Regno dei Cieli.
La Basilica di San Pietro durante il Concilio ecumenico Vaticano II

La Basilica di San Pietro durante il Concilio ecumenico Vaticano II

Il clima che Ratzinger trova in Facoltà è cordiale e stimolante. «Quella di Münster» ricorda Pfnür «era una Facoltà in ascesa, che offriva spazi e possibilità finanziarie superiori rispetto a Bonn. E la teologia dogmatica era il campo d’azione più adatto al professor Ratzinger, dove era meglio valorizzata la sua preparazione patristica e scritturale». I filoni “classici” dell’insegnamento ratzingeriano vengono riproposti alla luce di quanto sta avvenendo al Concilio in corso a Roma. Nel 1963 i suoi corsi sono dedicati all’Introduzione alla dogmatica e alla dottrina sull’Eucaristia. Il seminario si concentra sul tema “Scrittura e Tradizione”. Nel ’64 e nel ’65 i seminari vertono sulla costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II. Nel semestre invernale ’65-66 uno dei corsi di Teologia dogmatica consiste in una retrospettiva del Concilio appena concluso, mentre il seminario prende le mosse dalla costituzione conciliare Dei Verbum sulla Rivelazione.
Coi colleghi non ci sono problemi. A Filosofia insegna Joseph Pieper. A Teologia c’è il combattivo Erwin Iserloh, noto per il suo carattere da bastian contrario. In quegli anni si aggiungono al corpo docente altre giovani promesse della teologia tedesca come Walter Kasper e Johannes Baptist Metz, iniziatore della teologia politica, con cui Ratzinger polemizzerà negli anni a venire. Ma nel tempo di Münster nessuno sembra soffrire la preferenza che gli studenti gli riservano. Racconta ancora Pfnür: «Gli iscritti al corso erano circa 350, ma alle lezioni prendevano parte una media di 600 uditori. Venivano a sentire Ratzinger anche gli studenti di altre Facoltà, come Filosofia e Giurisprudenza. Stampammo le dispense del corso di Ecclesiologia sulla centralità dell’Eucaristia, e ne vendemmo 850 copie». Ironizza Kuhn: «A Münster Pfnür aveva messo su una piccola stamperia. Si ciclostilavano le lezioni, e poi se ne spedivano pacchi interi per tutta la Germania, ai fan di Ratzinger sparsi nelle altre Facoltà teologiche».
Alla fama crescente del professor Ratzinger contribuisce la sua intensa partecipazione al Concilio. Scrive pareri per il suo cardinale, viene incaricato della stesura di schemi di documento alternativi rispetto a quelli preparati dalla Curia romana. Frequenta e collabora con tutti i grandi teologi del Concilio: Yves Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Gérard Philips, Karl Rahner. «A noi studenti» ricorda Pfnür «raccontava che a impressionarlo in particolar modo erano i teologi e i vescovi latinoamericani». Quando torna in Germania alla fine delle sessioni romane, offre resoconti pubblici dei lavori conciliari in affollatissime conferenze. Occasioni di riflessione in cui il giudizio di Ratzinger si smarca anche dal neotrionfalismo progressista e dall’eccitazione polemica che già sembra contagiare altri teologi “riformisti” del Concilio. «Ogni volta che tornavo da Roma» racconta nella sua autobiografia «trovavo nella Chiesa e tra i teologi uno stato d’animo sempre più agitato. Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione». Spiega oggi Pfnür: «I primi indizi del caos li registrava non tanto in Facoltà, quanto nelle parrocchie. I parroci cominciavano a cambiare la liturgia a proprio piacimento, e su questo lui diede da subito giudizi molto critici».
«Joseph diceva sempre: mentre fai lezione, il massimo è quando gli studenti lasciano da parte la penna e ti stanno a sentire. Finché continuano a prendere appunti su quello che dici vuol dire che non li hai colpiti. Ma quando lasciano cadere la penna e ti guardano mentre parli, allora vuol dire che forse hai toccato il loro cuore. Lui voleva parlare al cuore degli studenti. Non gli interessava solo aumentare le loro conoscenze. Diceva che le cose importanti del cristianesimo si imparano solo se scaldano il cuore» <br>(Alfred Läpple)
In Facoltà le cose continuano ad andare per il verso giusto. Ratzinger gode della stima unanime di colleghi e studenti. Hahn racconta a 30Giorni un episodio emblematico: «Un giorno trovai l’aula piena: tutti volevano assistere a una disputatio pubblica tra il professor Metz e il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, che criticava la sua teologia politica. Metz chiese a Ratzinger di coordinare il dibattito. Il nostro professore, tra un intervento e l’altro dei due contendenti, sintetizzava il loro pensiero con una ricchezza espositiva che rendeva chiari e interessanti anche i passaggi più oscuri dei due. Alla fine la platea applaudì con rispetto sia Metz che von Balthasar. Ma l’applauso più lungo ed entusiasta lo riservò all’arbitro».
I corsi affollati, i colleghi che lo stimano, i rapporti intessuti con vescovi e teologi di tutto il mondo… Cosa spinge Ratzinger a lasciare Münster?

La “chiamata” di Küng
Il professore di fama ormai mondiale non è di quelli che schiavizzano sé stessi e passano sopra ai propri cari per seguire l’idolo della carriera accademico-ecclesiastica. La sorella Maria, che gli sta a fianco con dedizione quasi materna, non è riuscita ad ambientarsi nella bella cittadina westfalica. Per lei il posto più bello di Münster è la stazione, da dove partono tanti treni per la Baviera. Racconta Hahn: «Qualche anno dopo, quando gli chiesi il perché della sua partenza, mi confermò che a Münster la sorella non era felice. Lei gli aveva dedicato la vita, e lui non poteva non tener conto della sua nostalgia». Così, quando nel ’66 arriva una chiamata per la seconda cattedra di Teologia dogmatica dalla Facoltà di Teologia cattolica di Tubinga, Ratzinger non ci pensa troppo sopra. Nel primo viaggio verso la città sveva ad accompagnarlo c’è il solito Pfnür, che si prenderà cura del trasloco. Ad accoglierli c’è un teologo che Ratzinger conosce dal ’57 e che ha incontrato anche al Concilio. Uno che lo stima e che è intervenuto sui suoi colleghi di Facoltà pur di averlo a Tubinga. Li invita a pranzo e si mostra pieno di premure e di cordialità verso il nuovo acquisto della Facoltà tubinghese. Il suo nome è Hans Küng.
continua…

(ha collaborato Pierluca Azzaro)


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