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DANTE NEGLI USA
tratto dal n. 05 - 2006

E quindi uscimmo a riveder le stelle e le strisce


L’interesse per il Sommo Poeta negli Stati Uniti spiegato da una docente della James Madison University della Virginia


di Giuliana Fazzion


Le immagini 
che illustrano questo articolo sono
di Sandow Birk, 
e sono tratte da: Dante, Inferno, 
Chronicle books, 
San Francisco 2004. Immagine dell’Inferno dantesco, particolare

Le immagini che illustrano questo articolo sono di Sandow Birk, e sono tratte da: Dante, Inferno, Chronicle books, San Francisco 2004. Immagine dell’Inferno dantesco, particolare

La presenza di Dante nella cultura americana risale al 1867, quando il poeta Henry Wadsworth Longfellow completò la prima traduzione americana della Divina Commedia. Il poeta Longfellow, nel 1865, fondò un circolo per la traduzione di Dante nella sua casa a Cambridge, nel Massachusetts. Il poeta James Russell Lowell, il dottor Oliver Wendell Holmes, lo studioso di storia George Washington Greene, l’editore James Fields e Charles Norton, professore di storia dell’arte, collaborarono con Longfellow alla prima intera traduzione della Divina Commedia. Il loro gruppo si chiamò “Dante Club” e nel 1881 divenne ufficialmente “The Dante Society of America”, i cui primi tre presidenti furono Longfellow, Lowell, e Charles Elliot Norton. Prima della traduzione di Longfellow, Dante era poco conosciuto negli Usa (nella cultura popolare), dove non si parlava italiano, non si insegnava frequentemente la lingua italiana, non si viaggiava in Europa con assiduità, e quei pochi italiani che c’erano erano sparsi un po’ dovunque.
Come è arrivato Dante in America? Via Inghilterra, dove ai tempi del Rinascimento c’era un grandissimo interesse per la lingua e per la letteratura italiana. Poi questo interesse diminuì con la fine dell’era elisabettiana. Ma riprese negli ultimi anni del Settecento e nei primi dieci anni dell’Ottocento e si concentrò moltissimo nello studio della poesia dantesca. La Divina Commedia fu così tradotta interamente per la prima volta in lingua inglese-britannica. E così attraversò l’oceano e incontrò i suoi primi lettori americani.
Non fu un caso però di “veni, vidi, vici”: Dante, come tutti gli immigrati dal Vecchio Continente, dovette aspettare pazientemente molti anni prima di conquistare un proprio posto nella nuova terra.
Per molti aspetti potrebbe apparire singolare il fatto che l’interesse per Dante abbia, nei modi più diversi, incontrato negli Stati Uniti d’America un fertilissimo terreno di sviluppo. L’immagine dell’America estroversa e un po’ fracassona, diffusa dal cinema e da una certa letteratura, non corrisponde totalmente alla verità. Perché, in realtà, l’America ha dietro di sé componenti complesse, tortuose, e continua a essere attraversata, come scrisse Perry Miller (autore di studi sull’ideologia puritana), dalla «sotterranea corrente» delle tensioni etico-religiose collegate con le sue stesse origini, con la sua stessa nascita. Questa sensibilità per il lato etico-religioso è un dato fondamentale per capire l’America. La quale «nacque come mito religioso e si configurò inizialmente come sogno di una nuova polis al di là dell’oceano, di una nuova Gerusalemme desiderata con intensità quasi agostiniana e con un vigore dinamico e attivistico al tempo stesso. Quel vasto, intatto paesaggio, quello spazio americano era un campo d’avventura e terreno carico di misteriose simbologie». Nonostante tutti gli enormi mutamenti intervenuti e il fatto che milioni di emigrati si siano poi, da ogni parte, riversati nel Nuovo Mondo, alla base resta l’avventura dei gruppi puritani i quali, perseguitati in Inghilterra, attraversarono l’Atlantico a bordo della “Mayflower” nel tardo autunno del 1620 e fondarono nelle vicinanze di Cape Cod la colonia di Plymouth.
I puritani erano zelanti, rigorosi, esasperavano, anche fino al più tetro fanatismo, il principio protestante della coscienza libera, del rapporto diretto e drammatico tra l’uomo e Dio. E soprattutto avevano una sensibilità pronta a infiammarsi per i simboli e le allegorie, inquadravano eventi, persone e natura come in un reticolo, quasi tardomedievale, di segni e figure. Inoltre, come dice uno scrittore parlando della filosofia americana, il carattere della religiosità puritana s’era fin dalle origini sviluppato in una direzione rigorosamente logico-intellettualistica, per cui a intendere Dio stesso non si poteva pervenire, o tentare di pervenire, se non sviluppando «una sorta di disciplina della mente umana».
A una cultura come quella puritana, caratterizzata da un tenace, spesso ossessivo lavorio di scavo interiore (basta ricordare i diari dei puritani) e dalla ricorrente analisi dei temi del peccato e della salvezza, la letteratura italiana veniva così ad apparire, per buona parte, come “piena di profanità”, impregnata di spirito “papista” e “paganeggiante”. Ai puritani più accaniti poteva persino sembrare che nella nostra letteratura si concentrasse tutto ciò da cui l’uomo puritano e “virtuoso” doveva fuggire.
Dante, invece, appariva come l’unico, o quasi l’unico, che potesse essere “recuperato”, per le qualità di energia etica e di fermezza del carattere. D’altra parte, la pubblicistica protestante si era già appropriata, per le sue polemiche antipapiste, di atteggiamenti e squarci danteschi. E un esempio significativo è offerto, proprio in America, dall’eminente teologo e predicatore John Cotton, il quale incluse Dante in una serie di figure a suo giudizio chiamate da Dio a testimoniare in favore di una “prima rinascita” cui sarebbe seguita, a opera del protestantesimo, una completa “resurrezione” del cristianesimo fondato sul “ministero del Vangelo”.

Paolo e Francesca

Paolo e Francesca

Tra l’Illuminismo e il Preromanticismo
Ma nel Settecento e nel periodo preromantico, il puritanesimo andava ormai assorbendo altri filoni culturali e, con gli influssi esercitati dalla nuova fisica newtoniana, da Locke e dal moto illuministico in generale, si andava sempre più stringendo “il rapporto fra Dio e la ragione”. Durante tutto il Settecento l’intellettualismo teologico e l’attivismo puritano s’andavano fondendo con posizioni d’illuminismo moderato e con concetti come libertà e salvezza sempre più accentuati in senso politico-costituzionale. Nei riguardi della letteratura e dell’immagine stessa dell’Italia restava però prevalente l’atteggiamento di diffidenza-deferenza. Si associava all’immagine dell’Italia l’evocazione di smodate passioni, di fascinosi e insieme rovinosi allettamenti espressi in una “lingua elegante”. Dante appare, invece, come in una sua zona di severa e solitaria grandezza: che viene ancora di più sottolineata col diffondersi delle prime tensioni e inquietudini preromantiche, del gusto dell’eccelso e del sublime. Non c’è da stupirsi che la prima traduzione apparsa in America di un brano dantesco sia quella del celeberrimo episodio del conte Ugolino, episodio orrido e patetico, pubblicato nella rivista New York Magazine nel 1791. L’autore era William Dunlap, scrittore, pittore, attivissimo e avventuroso impresario teatrale, regista e operatore culturale.
Nel 1843, Thomas W. Parsons pubblicò a Boston la prima traduzione americana di una buona parte della Divina Commedia (i primi 10 canti dell’Inferno). Dobbiamo dire che a quel tempo, quando scrivevano su Dante, i critici e gli scrittori si basavano sul modello inglese. Però nei circoli intellettuali americani c’era un desiderio talmente grande di indipendenza dall’influenza inglese che diede una nuova vitalità alla cultura nazionale. Questi intellettuali americani attuarono la loro ribellione importando nuove correnti d’arte e di pensiero da letterature del continente europeo. E lì, in prima linea, primeggiando su tutti, c’era Dante, al quale tali intellettuali si erano rivolti per trovare la bellezza di nuovi mondi e nuovi orizzonti di pensiero e d’arte. Gli eressero un monumento vicino a quelli di Shakespeare e Milton, e divenne per loro quasi il simbolo di una cultura cosmopolita da seguire come ideale di un futuro imminente. Questo movimento portò molti studenti e studiosi americani a viaggiare in Europa, soprattutto a Firenze, Roma, Venezia e Parigi. Grazie a una crescente conoscenza, si arrivò a considerare la letteratura italiana superiore a quella francese. In un articolo pubblicato nel 1817 nella rivista letteraria North American Review, si diceva che la lingua italiana molto più della francese si adattava ampiamente a ogni tipo di composizione; aveva più dignità e forza, un’ampia facilità d’espressione, un’immensa dolcezza e armonia. Le due riviste letterarie North American Review, tra il 1815 e il 1850, anno della sua chiusura, e American Quarterly Review, nei suoi dieci anni di vita, pubblicarono più saggi, articoli e annotazioni sulla letteratura, sull’arte e sulla storia italiane di quanti ne dedicarono alla cultura di altri Paesi europei come la Francia e la Germania. Già nel 1822, traduzioni inglesi-britanniche di Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso erano state ristampate in America. E nel 1850, 103 testi italiani (alcune ristampe di traduzioni già uscite in Inghilterra e nuove versioni fatte in America) arrivarono nelle tipografie americane. Questo periodo corrisponde al Romanticismo, quando l’America incontrò per la prima volta il Medioevo. E la miglior guida per conoscere il vero mondo medievale fu la Divina Commedia, che diede agli americani il quadro completo di quel periodo storico, la chiave per entrare nella poesia e nell’arte, nella filosofia e nella teologia, nel pensiero religioso e politico medievale. Ma Dante e il suo mondo non si offrono facilmente alle menti impreparate. Nel canto I dell’Inferno, Dante dice che «lungo studio» e «grande amore» sono il prezzo da pagare se si vuole “penetrare” il segreto della sua arte e l’essenza dello spirito medievale, di cui la Divina Commedia è la più alta espressione. Dovranno passare molti anni di duro lavoro e perseveranza prima che Dante e il Medioevo conquistino il posto che occupano oggi nella cultura americana.
Come menzionato in precedenza, la prima traduzione americana di un brano dantesco (l’episodio del conte Ugolino) fu pubblicata nel 1791.
Una delle prime traduzioni che raggiunsero l’America fu quella dell’autore inglese Henry Cary che tradusse l’Inferno nel 1805 e l’intera Divina Commedia nel 1814.
Ma anche traduzioni buone come quella di Cary non sono in grado di offrire una conoscenza profonda dell’arte del grande poeta se non si è in grado di comprendere la lingua in cui la sua Commedia è stata scritta.
Il primo insegnante ufficiale di italiano negli Stati Uniti di cui siamo a conoscenza fu Carlo Bellini, a cui, nel 1779, grazie all’aiuto del suo amico Filippo Mazzei e con la raccomandazione del presidente Thomas Jefferson, fu conferita la cattedra nella facoltà di Lingue dell’Università “William & Mary”. Ne approfittò per iniziare corsi su Dante. Lasciò la cattedra nel 1803.
In una ancora piccola New York veniva a stabilirsi, nel 1805, Lorenzo Da Ponte (1749-1838), l’avventuroso letterato veneto che, bandito da Venezia, si era recato prima a Dresda e poi a Vienna, alla corte dell’imperatore Giuseppe II, dove aveva approntato, per Mozart, i libretti delle Nozze di Figaro, di Così fan tutte e del Don Giovanni. Fra amori e intrighi lasciò Vienna e andò a Londra. Sposò un’inglese e poi si stabilì in America. Là fu il primo ad aprire una scuola privata in cui l’italiano veniva insegnato finalmente da un professore competente. Da Ponte nel 1807 fondò l’Accademia di Manhattan, dove lui e sua moglie insegnavano latino, francese e italiano ai giovani. In quello stesso anno pubblicò a New York una piccola autobiografia in italiano alla quale aggiunse in appendice le traduzioni dell’episodio del conte Ugolino e di alcune parti dell’Inferno. Questo libro, che Da Ponte aveva messo insieme per le sue classi, è importante perché fu il primo testo in italiano a essere stampato in America. Adorava Dante e appena i suoi studenti incominciavano a saper usare i verbi, gli aggettivi e i sostantivi, gli faceva leggere la Divina Commedia e li spingeva a imparare versi a memoria. Fu chiamato a insegnare italiano al Columbia College, e anche lì trovò il modo di introdurre argomenti danteschi. Mentre Da Ponte insegnava a New York, a Boston si stabiliva un giovane siciliano, Pietro D’Alessandro, poeta romantico in esilio politico, che si guadagnava da vivere dando lezioni d’italiano; più tardi si unì a lui un altro siciliano, Pietro Bachi, con una preparazione culturale eccellente che lo porterà a insegnare italiano ad Harvard dove sarà il primo professore d’italiano, divenendo poi assistente di George Ticknor. Quest’ultimo, professore di Lingue e letterature straniere, nel 1831 dedicò a Dante un primo specifico corso di lezioni. Ticknor lascerà Harvard nel 1835 e il suo successore alla cattedra di Lingue e letterature straniere sarà Henry Wadsworth Longfellow. Longfellow, da allora, comincerà a insegnare Dante piuttosto intensamente e continuerà a insegnarlo per vent’anni, per tutto il periodo, cioè, in cui insegnò ad Harvard. Nell’inverno del 1838 Longfellow lesse il Purgatorio alla sua classe di Harvard e lo commentò. E proprio in relazione a questo corso cominciò a tradurre dei versi del Purgatorio in inglese. Longfellow cominciò la traduzione sistematica del Purgatorio nel 1843, ma fu un lento processo, anche perché nei dieci anni che seguirono si dedicò a lavori originali. La terminò nel 1853. Dopo un’altra lunga pausa, dovuta alla tragica morte della moglie, ritornò alla traduzione della Divina Commedia nel 1861. Questa volta lavorò con tenacia e nel 1863 completò l’Inferno. La Divina Commedia veniva completamente tradotta nel 1867.
Ci sono state traduzioni migliori, come quelle di Cary e di Wright, ma erano traduzioni inglesi. La traduzione di Longfellow era un tributo dell’America al genio dell’immortale fiorentino.
Alle porte della città di Dite

Alle porte della città di Dite

James Russell Lowell (1819-1891) eredita il posto di Longfellow nel 1855. Non è famoso per aver tradotto la Divina Commedia, ma è ricordato per aver scritto un saggio molto importante su Dante. Ad Harvard era popolare per il suo corso sul Sommo Poeta. Nel 1877 divenne ministro degli Affari esteri e fu mandato in Spagna. Lasciò il posto di insegnante all’altro collega e amico, Charles Norton.
Norton (1827-1908), editore, professore di storia dell’arte e grande amico e ammiratore di Longfellow, diventò il nuovo insegnante di Dante ad Harvard. La sua passione per l’Alighieri lo portò a capire intimamente il grande poeta e il suo mondo. La sua grande sensibilità verso la bellezza artistica, il suo entusiasmo, che riusciva a comunicare agli altri, gli procurarono molti amici e ammiratori, non solo in America ma anche in Inghilterra e in Italia, e il suo nome diventò familiare ai dantisti europei.
Norton lavorò molto alla fondazione della “Dante Society” a Cambridge. Nel mese di febbraio del 1881, ci fu una riunione a casa di Longfellow dove si era già formato, nel 1865, il circolo per la traduzione di Dante. Là si decise di formare la Società di cui Longfellow fu eletto presidente. Ma due mesi dopo, nel maggio 1882, Longfellow, morì e la presidenza passò a Lowell. Nel 1891, alla morte di Lowell, la presidenza della società passò a Norton che la tenne fino alla sua morte nel 1908.
Nel 1887 la “Dante Society” di Cambridge istituì un premio da consegnarsi ogni anno «a studenti o recenti laureati di Harvard per il miglior saggio su soggetti danteschi». Questa tradizione esiste ancora oggi.
Le aspirazioni americane di imparare tutto ciò che riguardava l’Italia, la sua arte, la sua letteratura, come abbiamo detto erano derivate dall’Inghilterra. Ma dal 1830 in poi, gli americani cominciarono a viaggiare e a scoprire l’Italia. Anche nei consolati americani delle più grandi città italiane non c’era un granché da fare, e quindi i consoli passavano il tempo a imparare la lingua, la letteratura, l’arte, la storia e tutte queste esperienze venivano raccolte in libri, diari, che poi il pubblico americano leggeva con grande interesse.
Da questa parte dell’oceano c’era un altro fenomeno che contribuì all’arricchimento della conoscenza della nostra letteratura negli Stati Uniti. Nell’epoca postnapoleonica, il fallimento di diversi moti rivoluzionari spinse molti italiani di una certa cultura a cercare asilo negli Stati Uniti e una volta lì sopravvivevano insegnando la lingua e la letteratura italiana. Fu attraverso questi canali che il popolo americano conobbe l’Italia, ne apprezzò le bellezze naturali e artistiche e ne imparò la grande storia.
Firenze e Roma erano città irresistibili per gli americani. Giovani artisti americani giungevano a Firenze e alcuni vi restavano per il resto della loro vita. Il nome di Firenze era immancabilmente associato a Dante e coloro che studiavano seriamente la Divina Commedia erano convinti che non potevano capirla se non visitavano Firenze.
In tutto l’Ottocento costantemente appaiono saggi su Dante in riviste letterarie americane. Non fanno, però, nessun riferimento all’allegoria o al simbolismo, ma alla storia della sua città, alla romantica vicenda del suo amore, alle sue avventure politiche, al suo esilio.
L’interesse per Dante subì una grande spinta nel periodo tra il 1880 e il 1890, che corrisponde a un momento di grande avanzamento nella cultura generale degli Stati Uniti. Ciò si nota dal gran numero di pubblicazioni su Dante prodotte in questi dieci anni. Ma due cose in particolare sono molto importanti: una è che queste pubblicazioni vengono da centri come Chicago, St. Louis, St. Paul e Denver, e anche dal Sud e dal Far West; l’altra è il contributo delle scrittrici americane, che hanno sempre avuto un posto importante nella locale storia culturale, ma questa volta collaborano in modo assai rilevante alla fortuna del poeta fiorentino. E questo perché prima di tutti gli altri studiosi esse affrontano la filosofia di Dante. Merita di essere ricordata la scrittrice Susan E. Blow, i cui articoli furono raccolti e pubblicati in un libro intitolato A Study on Dante. Questo libro rappresenta il primo tentativo fatto da un dantista americano di analizzare la struttura della Divina Commedia con il proposito di scoprire in dettaglio il significato filosofico e spirituale della sua allegoria.
Con l’avvicinarsi della fine dell’Ottocento e l’esaurirsi del Romanticismo, e con la vita americana influenzata dalle scoperte scientifiche, cambiamenti avvennero anche in letteratura e nelle arti. La nuova tendenza era il Realismo, e Dante, l’eroe del Romanticismo, sembrava dover perdere inevitabilmente la sua grande forza di attrazione tra il vasto pubblico. Invece lo studio del poeta fiorentino guadagnò in intensità e profondità nei circoli intellettuali e negli istituti universitari di tutto il Paese. Nuovi libri, scritti non più da dilettanti, ma da studiosi di grande reputazione, trovarono un pubblico entusiasta tra le classi intellettuali. Quindi, nonostante i cambiamenti nelle idee e nel gusto, Dante rimase sul suo alto piedistallo americano sul quale era stato posto dai tre grandi di Cambridge e dai loro successori.

Il Minotauro

Il Minotauro

Il Novecento
Nel Novecento, Dante “is still alive and well”. La “Dante Society”, dal 1954 si è trasformata nella società per azioni “Dante Society of America Inc.”, e il suo Annual Report è ormai divenuto uno dei più importanti strumenti di consultazione: vi si dà conto della bibliografia degli studi danteschi, vi si pubblicano saggi, note, relazioni spesso di notevole interesse. La Società ha presso la Harvard University una ricca biblioteca di letteratura dantesca che è, in America, seconda solo a quella che la Cornell University venne a ereditare dallo studioso e bibliofilo Daniel Willard Fiske. La Società svolge anche attività promozionali, e gestisce un “Dante Prize” destinato a tesi di laurea e ricerche su argomenti danteschi.
Il dantismo americano è ormai arrivato a dare contributi notevolissimi. Per esempio, il numero di poeti del ventesimo secolo influenzati da Dante è rilevante. Qualche anno fa uscì un libro dal titolo The Poets’ Dante, una raccolta di saggi scritti da famosi poeti del Novecento. I curatori, Peter Hawkins (professore di Studi religiosi all’Università di Boston) e Rachel Jacoff (professoressa di Letteratura comparata e di Studi italiani al Wellesley College), raccontano nell’introduzione che, come la maggior parte dei lettori di Dante, loro erano venuti in contatto con il Sommo Poeta attraverso Ezra Pound e Thomas S. Eliot. Nei loro studi a livello di master nella facoltà d’Inglese, l’italiano divenne la lingua da imparare per studiare Dante. Per loro Dante era veramente “l’altissimo poeta”, e proprio per questo leggevano in particolare James Merrill, Gjertrud Schnackenberg, Charles Wright, Seamus Heaney, poeti che avevano un’affinità con Dante e nei confronti del quale si sentivano indebitati per l’ispirazione che ne avevano ricevuto. Da qui l’idea di mettere insieme saggi scritti da poeti contemporanei che raccontano come hanno “incontrato” Dante per la prima volta, cosa li ha attirati verso di lui, cosa li ha tenuti a distanza dal poeta, e se i suoi scritti abbiano avuto diretta influenza sui loro propri lavori. Ci sono saggi di Ezra Pound, Thomas S. Eliot, Osip Mandelstam, Robert Duncan, Howard Nemerov, Seamus Heaney, Jacqueline Osherow, Robert Pinsky, Rosanna Warren, Daniel Halpern, Mark Doty, il bellissimo saggio di Jorge Luis Borges, e altri.

Traduzioni americane della Divina Commedia
Attualmente ci sono più traduzioni di Dante in inglese che in qualsiasi altra lingua, e gli Stati Uniti producono più traduzioni di Dante che ogni altro Paese. Il poeta Eliot, nel 1929, disse che Dante e Shakespeare si dividono il mondo moderno tra loro: la metà del mondo che “appartiene” a Dante aumenta ogni anno. Nel 1989, circa sessant’anni dopo Eliot, lo scrittore Stuart McDougal disse che l’impatto di Dante sui maggiori scrittori del mondo moderno ha superato di gran lunga quello di Shakespeare. Dante, infatti, ha compiuto il crossover. È “emigrato” dal campo letterario, culturale e accademico verso il mondo esterno e ha avuto un impatto sia sul pubblico istruito che su quello non istruito.
Il Novecento è il periodo delle grandi traduzioni. E per questo è iniziato nel Novecento un dibattito che in un certo senso continua ancora oggi: traduzione in prosa o poesia? Alcuni sono contrari alla traduzione inglese usando la terza rima, e queste sono le ragioni: 1) l’inglese è povero di rime; 2) questo “far la terza rima” non si presta alla lingua; 3) il verso in inglese non si adatta alla costante formazione della rima.
Traduttore traditore. Ogni traduttore di Dante sa quanto ciò sia vero. Dicendo questo si riconosce con umiltà l’estrema difficoltà di rendere giustizia a Dante, considerato da Byron «il più intraducibile dei poeti». Infatti ogni traduttore riconosce che, cercando di conservare certi aspetti della poesia, altri vengono perduti nella traduzione. E molti di questi traduttori sono d’accordo con Dorothy Sayers secondo cui il più grande complimento che la loro traduzione possa ricevere è quello di spingere, di invogliare i lettori a leggere Dante nella lingua originale.
Che cosa ci si aspetta da una traduzione? Che comunichi il sentimento e il senso del lavoro originale. Nel caso della Divina Commedia l’opinione è divisa tra coloro che affermano che lo spirito e il senso di quest’opera si comunica meglio al lettore attraverso una traduzione in versi e coloro che invece preferiscono una traduzione in prosa. Molti critici sono d’accordo comunque che sia la traduzione in prosa sia quella in versi presentano ognuna i propri vantaggi. Quella in prosa comunica meglio il senso letterale, mentre quella in versi può comunicare il senso del movimento e del ritmo della poesia dantesca. Nell’insegnamento del capolavoro dantesco negli Stati Uniti vengono usate edizioni dual language, nelle quali il testo originale è nella pagina a sinistra e la traduzione in quella a destra. Il poeta Thomas S. Eliot e altri hanno affermato di aver imparato a leggere l’italiano con queste edizioni.

Le traduzioni più usate nelle università americane
John D. Sinclair (prosa) (dual language). Questa è ancora l’edizione più popolare. Sinclair scelse la prosa per raggiungere il suo scopo che era quello di combinare una traduzione letterale, o quasi, del testo italiano con una buona forma della lingua inglese.
Questa traduzione è rinomata per essere accurata ed espressa in un inglese elegante. Note esplicative, considerate da molti professori “un piccolo gioiello”, sono poste alla fine di ogni canto. Esse contengono il riassunto del canto, nel quale l’autore tratta la parte storica, le qualità estetiche e fornisce elementi di critica. Sempre alla fine di ogni canto ci sono delle brevi note numerate che richiamano alcune voci dal testo.
Charles S. Singleton (prosa) (dual language). È una traduzione chiara e accurata. Ogni cantica è in due volumi; uno contiene il testo e la traduzione e l’altro i commenti di teologia e mitologia, analisi linguistica, storica e biografica. Mancano i riassunti dei canti.
L’ascesa di Gerione

L’ascesa di Gerione

John Ciardi (poesia). Popolare, ma ha anche suscitato controversie. Ciardi ha usato dummy o “terza rima difettosa” per usare un inglese idiomatico e allo stesso tempo per comunicare le sensazioni del poema. La critica gli contesta l’uso di alcune “licenze poetiche” non necessarie.
Mark Musa (Inferno) (poesia). La sua versione è usata molto nei college. Ha scelto una forma poetica senza rima per ottenere una traduzione accurata.
L’Università di Harvard usa la traduzione di Jean e Robert Hollander per l’insegnamento dell’Inferno e del Purgatorio, e quella di Mandelbaum per il Paradiso.

Conclusione
Nell’estate del 1999, la rubrica “Bookend” del New York Times fu dedicata interamente al creatore di fumetti Seymour Chwast, che scelse per quell’edizione il mondo della Divina Commedia. La pagina fu intitolata: La Divina Commedia di Dante: Il Diagramma. Quella divertente rappresentazione dei tre regni offrì al lettore domenicale della rubrica dedicata alla rivista dei libri una visione schematica della Commedia dantesca. Una domanda da porsi è: perché il fumetto era lì, senza spiegazioni particolari, e in uno dei giornali più famosi e forse più venduti al mondo? E perché il New York Times presumeva che un normale lettore conoscesse il poema?
Il fatto è che Dante è conosciuto non solo da coloro che hanno letto il poema almeno una volta, ma anche da un numero ancora più grande di persone che non ne ha mai letto nemmeno una pagina. Dante è una figura popolare della cultura contemporanea americana. Per esempio, diversi film americani – Clerks (1994), Seven (1995), Dante’s Peak (1997) – fanno allusioni e prendono spunti dal poema. Addirittura c’è un complesso rock che ha scelto di chiamarsi “Divine Comedy” con l’intento di essere facilmente ricordato. Gli Stati Uniti hanno tanti ristoranti e bar chiamati “Dante’s Inferno”. Quest’ultima espressione è comunemente usata da giornalisti per descrivere situazioni sociali e politiche particolarmente critiche.
Come si è visto, la fortuna di Dante non è mai tramontata in settecento anni, e non tramonterà mai perché il suo messaggio è universale e sempre attuale.


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