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COPERTINA
tratto dal n. 05 - 2002

CARDINALI. Incontro con l’arcivescovo di Tegucigalpa, Honduras

«Mai come oggi abbiamo bisogno di miracoli»


Parla Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga: la Chiesa di tutti, particolarmente dei poveri. L’America Latina, le sue crisi, le piazze finanziarie internazionali. Le campagna contro la Chiesa statunitense: una persecuzione come ai tempi di Hitler e di Stalin


di Gianni Cardinale


Il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga

Il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga

«Quelli sì che erano bei tempi, quando dirigevo il coro. È proprio vero quello che scrive sant’Agostino: chi canta, prega due volte. Anzi, oserei aggiungere: chi suona e canta bene, prega tre volte!» Parole del cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, uno dei rari porporati ad essersi diplomati in conservatorio. Siamo alla Pontificia Università Salesiana (Ups) e il porporato honduregno, anche lui figlio di don Bosco, dopo aver ricevuto la laurea honoris causa, ha appena ascoltato il coro dell’Ateneo intonare un inno sacro. È visibilmente commosso. E ad alta voce rammenta gli anni in cui, giovanissimo, frequentava l’aspirantato salesiano di Ayagualo, nel Salvador. «Ricordo» racconta davanti ad una platea silenziosa e attenta «che facevamo delle interminabili partite di calcio e poi di corsa andavamo a farci la doccia per essere puntuali in chiesa a recitare i vespri. Ricordo come si cantava bene il salmo “Non nobis Domine, non nobis, sed Nomini Tuo da gloriam…”».
La cerimonia del dottorato onorifico è stata una festa per l’intera comunità salesiana. Vi hanno partecipato numerose personalità ecclesiastiche, tra cui l’arcivescovo salesiano Tarcisio Bertone, segretario dell’ex Sant’Uffizio, e il nuovo rettor maggiore, il messicano Pascual Chávez Villanueva. Presente anche l’ambasciatore dell’Honduras presso la Santa Sede, Alejandro Emilio Valladares Lanza, insieme ai suoi colleghi di Argentina e Colombia.
Poco prima della consegna della laurea honoris causa, nel pomeriggio del 16 maggio, il cardinale Rodríguez Maradiaga, figura di spicco dell’intero episcopato latinoamericano, ha benevolmente accettato di rispondere ad alcune domande di 30Giorni. Poche ore prima si era sobbarcato una conferenza stampa, dove, rispondendo ad esplicite domande dei giornalisti, aveva dichiarato che, se il Papa lo ritenesse necessario, avrebbe il coraggio di dimettersi (curiosamente lo stesso giorno un’agenzia tedesca ha rilanciato dichiarazioni molto simili rilasciate dal cardinale Joseph Ratzinger) e di non scartare la possibilità che in un eventuale conclave possa essere eletto papa un latinoamericano («potrebbe contribuire a far crollare il muro che divide il Nord e il Sud del mondo»). Il porporato latinoamericano ha tenuto comunque a precisare che il suo ragionamento sulle dimissioni pontificie era «puramente teorico» e che attualmente le ipotesi di dimissioni «non sono assolutamente all’ordine del giorno».
Eminenza, com’è andato questo primo Congresso sociale sull’America Latina e l’Unione europea celebrato a Madrid?
OSCAR ANDRÉS RODRÍGUEZ MARADIAGA: È stato un appuntamento molto positivo, nato dall’iniziativa del Comece (Commissione dei vescovi europei) che voleva aprire un dialogo istituzionale col Celam (Consiglio episcopale latinoamericano). Si è pensato che una buona occasione poteva essere il vertice dei capi di Stato e di governo di Unione europea, America Latina e Caraibi in programma a Madrid il 17 e 18 maggio. E così alcuni giorni prima (il 13 e 14) insieme alla Conferenza episcopale spagnola si è tenuto questo Congresso dal titolo significativo: “America Latina e Unione europea: uniti per il bene comune universale. Il contributo della Chiesa”. Vi hanno partecipato 150 tra cardinali, vescovi, religiosi e laici latinoamericani. Alla fine è stata stilata una lettera aperta indirizzata al premier spagnolo José Maria Aznar in qualità di presidente di turno dell’Ue. Nella lettera sono messe in evidenza alcune conclusioni del Congresso. Soprattutto quella di dare priorità alla dimensione sociale dello sviluppo economico mettendo in campo strategie di lotta alla povertà e di creazione di posti di lavoro degni e di salario giusto.
Si è trattato di un primo incontro di questo tipo?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Esattamente. Noi lo aspettavamo da tempo, ma, comprensibilmente, dopo la caduta del muro di Berlino l’episcopato europeo era più concentrato verso l’Est, l’antico Est. Speriamo che questo tipo di contatti si intensifichino e abbiano una ricaduta positiva anche in campo politico.
Qual è la situazione attuale del continente latinoamericano? Le cronache ci aggiornano quotidianamente sulla situazione economica in Argentina e anche altrove la situazione non sembra molto florida…
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Questa crisi economica e sociale è la minaccia più grossa alle nostre democrazie. Oltre alla corruzione interna e internazionale che caratterizza purtroppo buona parte delle élites politiche latinoamericane, una delle cause di questa situazione va ricercata anche nella politica protezionistica imposta da Stati Uniti ed Europa che danneggia enormemente molti Paesi latinoamericani che potrebbero trarre profitto dai propri prodotti. Oppure dal sistema dei prezzi stabilito dalle piazze finanziare internazionali, come New York e Londra, in modo iniquo. Il mio Paese ad esempio, aveva come primo prodotto di esportazione il caffè, il cui prezzo internazionale è calato a meno della metà, riducendo sul lastrico migliaia di contadini. A questo va aggiunto il progressivo indebitamento dei Paesi che rischiano ormai di essere strangolati finanziariamente, soprattutto se i responsabili degli organismi finanziari internazionali ragionano come freddi tecnocrati…
Lei, già da presidente del Celam e anche ora, ha avuto modo di dialogare con i vertici di questo mondo finanziario internazionale, come la Banca mondiale e il Fondo monetario…
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Questo dialogo continua. Recentemente sono stato invitato ad un seminario organizzato dal Fondo monetario internazionale. Ho tenuto una conferenza sull’etica e l’economia. Il nuovo direttore generale dell’Fmi, il tedesco Horst Köhler, ha una mentalità aperta, sembra comprendere che nei meccanismi finanziari internazionali c’è qualcosa che non va, che bisogna cambiare. Mi ha confidato, ad esempio, che con il denaro che il governo Usa versa come sussidi ai propri agricoltori per la produzione dello zucchero si potrebbe comprare tutta la produzione mondiale dello stesso zucchero e avanzerebbero anche dei soldi. Credo che questi organismi internazionali debbano impegnarsi per una maggiore equità nel commercio internazionale. Forse alcuni Paesi dovrebbero rinunciare ad un po’ del proprio benessere, ma sicuramente ne guadagnerebbe la pace mondiale.
Quale può essere la parola della Chiesa in questo contesto?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Sarà sempre quello che Paolo VI ben diceva tanti anni fa: lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Ma quelle parole di papa Montini ormai sembrano dimenticate. Il mondo non le ha ascoltate…
La cosiddetta “opzione preferenziale per i poveri” è una delle caratteristiche peculiari della Chiesa latinoamericana. Lo ha ricordato lo stesso Pontefice proprio nel suo discorso ai vescovi dell’Honduras ricevuti in visita ad limina lo scorso dicembre.
RODRÍGUEZ MARADIAGA: E questa opzione non è passata di moda. Anzi, nell’odierno contesto mondiale è diventata più importante, più attuale. La povertà invece di diminuire è aumentata. La cosiddetta “globalizzazione economica” non ha affatto ridotto il solco esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Anzi, lo ha aggravato. Ha provocato ovunque vittime (disoccupazione, emigrazione, Paesi indebitati ed esclusi dal mercato globale, dal sapere, dalle tecnologie e dagli aiuti). Basti pensare che il 17 per cento della popolazione possiede l’83 per cento delle ricchezze del pianeta…
Il suo sembra un giudizio totalmente negativo sulla globalizzazione...
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Una globalizzazione che si riduce ai soli aspetti economici è una globalizzazione mutilata, che non tiene conto della situazione di povertà in cui vivono molti esseri umani. È necessaria invece una globalizzazione della solidarietà, una globalizzazione che porti più pace, più giustizia al mondo. Non può essere giusta, ad esempio, una globalizzazione dei mercati che apra le frontiere alle merci, mentre allo stesso tempo le chiude alle persone. I Paesi ricchi devono capire che chi emigra non lo fa per diletto ma perché è costretto, non ha scelta. Chi va a guadagnarsi da vivere in un Paese lontano non ruba l’impiego ad un locale, ma svolge lavori che nessuno vuol fare e spesso è sottopagato…
Come giudica i movimenti antiglobal e noglobal diffusi un po’ in tutto il mondo, con componenti anche di matrice cattolica?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Le critiche, quando sono giuste, vanno benissimo. La violenza no. Quando si sceglie la violenza si perde tutta la credibilità. Io penso che il dialogo sia molto importante. Le idee si possono contrastare con le idee, nel dialogo. Ho l’impressione che dietro questi movimenti ci possano essere anche dei tentativi di riciclare brandelli di ideologia marxista, di recuperare un prodotto scaduto della storia…
Il Pontificio Consiglio della giustizia e della pace è in procinto di pubblicare un compendio della dottrina sociale della Chiesa...
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Si tratta di una risposta ad una richiesta concreta formulato dal Sinodo d’America. Arriva in un momento in cui è più che mai necessario che la dottrina sociale della Chiesa sia chiarita e diffusa per illuminare le azioni politiche dei governanti di questo mondo. Mi auguro che questo manuale possa ribadire ancora una volta l’“opzione preferenziale per i poveri” della Chiesa, opzione che è stata esplicitata dall’episcopato latinoamericano fin dall’assemblea generale del Celam di Medellín…
Negli ultimi decenni per risollevare le economie latinoamericane sono state imposte politiche di stampo neoliberista. Che effetto hanno avuto?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Per alcuni, ahimé anche in campo cattolico, queste dottrine neoliberiste equivalgono alla “parola di Dio”. Sono state assunte acriticamente e si è pensato che applicandone tutte le ricette si arrivasse al benessere economico. Il risultato è stato drammaticamente negativo. Prendiamo ad esempio le cosiddette privatizzazioni, ritenute necessarie da questi “sacerdoti” neoliberisti. Cosa hanno prodotto in realtà? In Argentina si è privatizzato tutto il privatizzabile ma il denaro incassato… è sparito. In Perù, dei nove miliardi di dollari che dovevano confluire nelle casse dello Stato sono arrivati solo novecento milioni, un decimo del previsto… Certo, si sono migliorati alcuni indicatori macroeconomici, ma si è trattato di progressi relativi perché sappiamo che quegli indicatori sono fissati artificialmente e non hanno alcun rapporto reale con la situazione concreta della maggioranza della popolazione. In generale credo che i sistemi possano essere buoni fino a quando non si assolutizzano, non diventano delle divinità. Allora perdono la loro caratteristica di strumenti, per arrivare ad essere degli idoli cui sacrificare le vite della povera gente. Il neoliberismo deve essere relativizzato, e il criterio massimo di ogni politica economica deve essere la difesa di ogni essere umano e la protezione delle classi più povere.
Un quotidiano, riassumendo le conclusioni del Congresso di Madrid, ha titolato: La Chiesa chiede più mercato per il Sud America
RODRÍGUEZ MARADIAGA: È necessario che l’America Latina possa vendere di più, esportare di più i propri prodotti. Però anche il mercato non è la soluzione a tutti i problemi, ma uno strumento. Quando il mercato viene divinizzato, diventa una schiavitù. È vero poi che attualmente si parla tanto di trattati di libero commercio. Ma il commercio non è poi così libero. O meglio è libero per i potenti, mentre i più deboli non possono commercializzare i propri prodotti e sono costretti a ridursi a meri consumatori.
A giugno si celebra a Roma la Conferenza internazionale della Fao. Quali sono i suoi auspici?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: La Fao dovrebbe essere coraggiosa, fare un passo in avanti. Si pagano gli agricoltori per non produrre o per distruggere il proprio raccolto, in modo da tenere alti i prezzi. Questo vuol dire che ci sarebbe la possibilità di produrre a sufficienza per tutti. E che quindi ci sarebbe la possibilità di alleviare la fame nel mondo. E alleviando la fame, comincia il progresso, comincia la pace. Perché il capitale dei poveri è la salute. E chi da bambino non ha avuto una nutrizione adeguata, da adulto può sembrare normale ma in realtà non ha avuto uno sviluppo mentale sufficiente. Forse potrebbe sembrare una ricetta un po’ semplicistica ma bisognerebbe cominciare a pagare chi produce prodotti agricoli non per distruggerli, ma per distribuirli a chi sta morendo di fame…
È di questi giorni il viaggio di Jimmy Carter a Cuba. Lei che è sempre stato attento a quello che succede a Cuba, come valuta la prima visita da settant’anni a questa parte di un ex presidente Usa a L’Avana?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Anche se qualcuno non sarà d’accordo, credo che le parole pronunciate dal Santo Padre durante la storica visita a Cuba del ’98, «che il mondo si apra a Cuba e Cuba si apra al mondo», siano sempre valide. Con gli estremismi che induriscono le rispettive posizioni non si arriva da nessuna parte. Tutto quello che si fa per continuare il dialogo, per aprire porte, è una cosa buona. La democrazia non arriva per dichiarazioni, né arriva per pressioni o embarghi; può arrivare attraverso il dialogo. Ed è per questo che ritengo positivo che Carter sia stato lì, che abbia potuto smentire le voci allarmistiche di una supposta produzione di armi batteriologiche da parte del governo cubano, e che abbia potuto liberamente parlare agli studenti dell’isola e agli esponenti dell’opposizione…
La Chiesa cattolica degli Stati Uniti è sconvolta dal drammatico problema dei preti pedofili. Qual è la sua impressione?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: È un argomento doloroso strumentalizzato dai mass media. Quando si mischiano denaro, politica e giustizia, la giustizia diventa ingiusta. Noi tutti sappiamo che Ted Turner è apertamente anticattolico, ed è lui il padrone non soltanto della Cnn ma anche di Time Warner. Per non parlare degli altri quotidiani, come il New York Times, il Washington Post e il Boston Globe, che si sono resi protagonisti di quella che non esito a definire una persecuzione contro la Chiesa. Mi fa molto pensare il fatto che in un momento in cui tutta l’attenzione dei mass media era focalizzata su quanto succedeva in Medio Oriente, con le tante ingiustizie che si sono fatte al popolo palestinese, stampa e tv Usa si sono ossessivamente fermati su scandali sessuali che sono accaduti quaranta anni fa, trenta anni fa. Perché? Penso anche per questi motivi: qual è la Chiesa che più volte ha ricevuto Arafat e più volte ha ribadito la necessità della creazione di uno Stato palestinese? Qual è la Chiesa che non accetta che Gerusalemme sia la capitale indivisibile dello Stato di Israele ma che deve essere la capitale delle tre grandi religioni monoteiste? Qual è la Chiesa che si oppone all’aborto, all’eutanasia, alla pena di morte? Qual è la Chiesa che non accetta progetti di famiglia che non sono conformi al piano di Dio? È la Chiesa cattolica. È l’unica che, diciamo così, ostacola una politica disumanizzante. Solo così mi spiego questo accanimento contro la Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Un accanimento che mi ricorda i tempi di Nerone, Diocleziano e, più recentemente, di Stalin e Hitler.
Penso comunque che la Chiesa uscirà purificata da questa persecuzione; se ci sono delle colpe si deve riconoscerle, si deve chiedere perdono. Se ci sono sacerdoti, o anche vescovi, che si sono macchiati di gravi colpe devono essere puniti con le opportune censure canoniche e, se necessario, devono affrontare anche la giustizia civile.
Ma senza cacce alle streghe, anche all’interno della Chiesa. Noi vescovi non dobbiamo dimenticare che siamo pastori misericordiosi e non agenti dell’Fbi o della Cia. Dobbiamo sempre chiederci come si comporterebbe Gesù in queste situazioni. La pedofilia è una malattia ed è giusto che chi ha questa malattia debba lasciare il sacerdozio. Ma le accuse devono essere sempre provate con un giusto processo. E poi senza modalità persecutorie da parte delle autorità civili, come invece sta succedendo. Quello che si sta facendo, per esempio, al cardinale Bernard Francis Law è uno scandalo…
Lei è amico dell’arcivescovo di Boston?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Sì, e lo conosco bene. È un uomo che ha fatto tanto bene a tutti noi in America Latina, che adesso soffriamo per lui e soffriamo per l’ingiustizia di quella che viene definita giustizia. Ho sentito che la giudice che sta conducendo il processo è quella che sostiene tutti i movimenti femministi. Così è successo che, nonostante i processi negli Stati Uniti durino a lungo, il cardinale Law è stato subito interrogato con modalità che ricordano i tempi bui dei processi staliniani agli ecclesiastici dell’Europa orientale. E poi i verbali di questi interrogatori sono stati subito fatti circolare via internet e pubblicati con grande enfasi da tutti i principali quotidiani. Non sono d’accordo con questa giustizia-spettacolo. Questa non è giustizia, ripeto, questa è persecuzione.
Un’ultima domanda. Nei mesi scorsi lei ha affrontato un lungo viaggio in aereo per stare appena un paio di giorni nell’Urbe. Lo scorso 14 aprile ha partecipato infatti alla cerimonia di beatificazione di suor María Romero. Perché questo sacrificio particolare?
RODRÍGUEZ MARADIAGA: Perché suor María Romero è una beata centroamericana, perché è un segno di come la gente semplice e umile può arrivare anche alla santità. E soprattutto perché ha fatto tanti miracoli, alcuni dei quali li ho potuti constatare personalmente. Ed è per questo che non ho voluto mancare a quella celebrazione. Mai come in questo periodo forse abbiamo bisogno di miracoli.

una immagine del cardianale Rodríguez Maradiaga

una immagine del cardianale Rodríguez Maradiaga


Breve biografia del primo cardinale dell’Honduras
Tra Tegucigalpa e Roma


Il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga è il primo porporato dell’Honduras. Salesiano, compirà 60 anni a fine dicembre. Ordinato sacerdote nel ’70, è stato nominato ausiliare di Tegucigalpa nel ’78 e promosso arcivescovo nella stessa sede metropolitana nel ’93. Giovanni Paolo II gli ha conferito la berretta cardinalizia nel concistoro del 21 febbraio 2001.
Ha una formazione poliedrica. Oltre ad una licenza in filosofia (Istituto don Rua del Salvador, 1965) e in teologia morale (Accademia Alfonsiana, 1974), ha conseguito il titolo di maestro de educacíon media in fisica, matematica e scienze naturali, e vanta anche un diploma di psicologia clinica e psicoterapia, conseguito a Innsbruck nel ’75.
Appassionato di musica, ha frequentato da giovane il conservatorio e ha completato gli studi di armonia e composizione in Guatemala e negli Stati Uniti. I suoi strumenti prediletti sono il sassofono, il pianoforte, l’organo e anche la fisarmonica. Gli piacciono tutti i generi musicali: la classica, naturalmente, ma anche il jazz e la bossa nova. Da giovane ha poi conseguito il brevetto da pilota areonautico.
È poliglotta. Oltre al natìo spagnolo, conosce e parla molto bene l’italiano, il francese, il tedesco, il portoghese e l’inglese. Legge inoltre il latino e il greco che ha imparato durante la sua formazione sacerdotale.
È molto conosciuto e apprezzato dai confratelli vescovi del Nuovo Mondo. Per vent’anni ha svolto la sua missione anche nel Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), fino ad esserne eletto presidente nel quadriennio ’95-99.
Nella Curia romana è membro della Congregazione per il clero, del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, di quello delle comunicazioni e della Pontificia Commissione per l’America Latina.


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