LUIGI GIUSSANI
tratto dal n. 11 - 2000

Un luogo


Appunti da una conversazione con i “Memores domini”


Appunti da una conversazione con i “Memores Domini”


Buonasera.
Buonasera. Paola!

INNO: Christe cunctorum, strofe 8-91.
Il bicchiere della birra è vuoto.

Sì, è un po’ vuoto; è molto vuoto!
Franci, alla tua salute.

Facciamo l’introduzione a Il tempo e il tempio.
Perché avete scelto l’introduzione?

Perché volevamo cominciare dall’inizio!
Benissimo!

Io volevo capire perché lei insiste così tanto sul fatto che il metodo è la creazione del tempio.
Per favore, aiutiamoci a rispondere. Chi si sente di rispondere? È la domanda da cui dipende tutto, perciò è una domanda essenziale.

Perché, se l’uomo vive nel presente, doveva essere un metodo nel presente, un’esperienza.
Perché deve venire Lui perché possiamo incontrarlo.
Perché deve venire Lui?

Perché se no rimarrebbe astratto.
Sono le ragioni di queste vostre risposte che occorre tenere presenti per capire quel che manca.
Un affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, a Padova: la Natività

Un affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, a Padova: la Natività

Questa domanda è, come dire, un po’ eccessiva, nel senso che obbliga a riveder da capo tutte le pagine che avete letto. È la domanda fondamentale. Ma è dalla risposta a questa domanda che si capisce che incidenza determinante tale risposta ha per la vita del Gruppo Adulto, per il metodo dei Memores Domini, per il come concepiscono la fede, la dinamica della fede, la dinamica della speranza e la dinamica della carità i Memores Domini. È per la risposta a questa domanda che noi siamo distinti, in questo momento, da qualsiasi altra flessione del cristianesimo nel mondo intero. Uno si domanda: per che cosa siamo distinti, per che cosa? Siamo distinti per il gusto di esser distinti, di farci valere? Per che cosa?

Per il metodo.
Eh, certo, per il metodo! La domanda è proprio in che consista questo metodo. Riprendi la domanda, ridi’ la domanda.

Perché lei insiste tanto a ridire che il metodo è la creazione del tempio?
Anche la parola tempio l’avete usata senza accorgervi di quel che dicevate. Questo è naturale, perché se è una meditazione che fissa i contorni e i contenuti di una cosa, è dopo una adeguata meditazione che contorni e fattori della cosa emergono. Su questo insisto per ridire che Il tempo e il tempio è il testo più da meditare fra tutti i nostri testi, perché è il riassunto della posizione che noi abbiamo come natura del cristianesimo – natura nel senso attivo, generativo – e come natura della moralità (e, quindi, del valore dell’uomo): la prima stabilisce il valore di Dio e il resto stabilisce il valore dell’uomo. Quando sarà il valore dell’uomo? Quando l’uomo ha capito e ha accettato e, con l’aiuto di Dio, iniziato a vivere il metodo di Dio.
Adesso ridite le vostre risposte, quelle di prima.

Ho detto che doveva venire Lui perché noi potessimo incontrarlo.
Per poter essere incontrato doveva venire Lui, non muoverci noi (il contrario è muoverci noi). Non è un muoversi dell’uomo che può fare incontrare Dio, se è mistero. Inversamente, è il muoversi dell’uomo che incontra Dio, se Dio non è mistero, ma è alla portata dell’uomo, è commensurabile all’uomo.
O Dio è commensurabile all’uomo o Dio è incommensurabile con l’uomo. Se è incommensurabile, per incontrarlo – cioè in qualche modo per conoscerlo, in qualche modo per saperlo, in qualche modo per riscontrarlo – è Lui che si deve muovere. Ma l’uomo dorme, intanto? Tu cos’avevi risposto?
Perché deve essere un’esperienza presente.
Se è mistero, è solo Lui che può muoversi perché l’uomo lo incontri. Non può essere incontrato se non nella modalità, secondo la modalità che Lui stabilisce.
Sta’ attenta, Valeria, a capir bene qui; è molto bello, ma bisogna capirlo bene. È bello perché è evidente: non c’è nessuna possibilità di scardinare quel che diremo, se uno guarda bene (neanche la Cecca nei suoi peggiori momenti).
Per incontrarlo l’uomo deve muoversi. Non in qualunque modo può muoversi, ma secondo la modalità con cui il Mistero ha creduto opportuno farsi incontrare dall’uomo (tutte cose che dovreste già sapere da tanti anni, eh!). Allora, state attenti: fondamentalmente, come poteva farsi incontrare?
Primo, poteva farsi incontrare dall’uomo come colui che ha creato il mondo, il Mistero che ha creato il mondo. Perciò farsi incontrare dall’uomo come il più lontano passato o – per esser più comprensivi – come un passato, un grande passato. Ma, in questo caso, come sarà questo passato? È qui, è là, è questo, è quello? Tutto dipende dalla tua interpretazione o dalla mia interpretazione, che può essere opposta alla tua, capisci? In questo caso il Mistero si sarebbe fatto incontro all’uomo, rassegnato alla interpretazione che l’uomo stesso avrebbe di un passato. E tot capita tot sententiae, cioè tante teste, tanti pareri. Trecentocinquanta noi ne abbiamo visti sfilare davanti a tutti2. Erano 350 interpretazioni, no?
Oppure, secondo, il Mistero poteva decidere di farsi incontro all’uomo venendo dal futuro. Ma anche il futuro, da che parte? A destra, a sinistra, a est, a ovest? Tante sensibilità, tanti sentimenti, altrettante attese, forme d’attesa.
Ma la forma dell’attesa introduce un’attività diversa dalla prima: scavare nel passato, interpretare il passato è diverso che immaginare l’avvenire, è diverso che scandagliare il futuro. Nel primo caso l’uomo sembrerebbe più oggettivo: è una posizione più oggettiva. Nel secondo caso è una condizione più poetica, fantasiosa, da una parte, e presuntuosa, dall’altra.
Ma ciò che unirebbe le prime risposte alle seconde sarebbe – ed è la cosa determinante – l’ermeneutica, l’interpretazione, quell’attività umana che si chiama interpretazione del passato o interpretazione del futuro attraverso i segni.
Flo, capisci o non capisci? Lo sapresti dire anche agli scozzesi?! E quando la Giovannina andrà in America? Senza sapere questi aspetti, senza esplicitare questi aspetti come si fa a parlare del metodo di Dio con una qualsiasi probabilità di essere ascoltati?
Ma, terzo, il Mistero ha superato da destra e da sinistra tutti, e si rivela all’uomo in un presente. Mentre il passato sono cumuli di detriti e il futuro un cumulo di sogni e d’immaginazione, il presente no. Il presente come si chiama? Avvenimento. È un avvenimento. Anche qui: puoi vederlo sulla destra, sulla sinistra, dietro; e l’interpretazione sembra non potersi evitare. Di fronte a un avvenimento, tanti interpretano in modi diversi, no? Allora di qui appare il muso di Stalin, dall’altra parte appare il volto di Hitler, di fronte appare il volto di Churchill e dietro appare il volto di Roosevelt; come sulle montagne si vedono le nubi oppure le pietre della montagna che hanno la faccia da cinghiale... (non dettagliamo oltre!).
Ma Dio non si rende presente che per essere percepito per ciò che è. Percepire la realtà come è si chiama esperienza. L’avvenimento è realmente presente quando è il contenuto dell’esperienza. L’esperienza tratta e porta, veicola la realtà come è coscienziabile dall’uomo, come è conoscibile dall’uomo: coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. Perciò riconoscere il modo con cui Dio ci si rivela, è eminentemente razionale, è secondo l’ultima definizione che ho ricordato. Non si può dir nulla di Dio, se non ingaggiando e impegnando con semplicità totale la nostra ragione, la nostra capacità razionale. Caposala, è chiaro?
Tutte le religioni umane, tutte, o meglio, tutti i concetti di Dio sostenuti dall’uomo sono tentativi operati dall’uomo interpretando i segni del passato o i segni del futuro, ricomposti in un’immagine, in una figura da lui fabbricata, cioè in dèi, che Eliot raduna in quelle tre famose parole, i tre idoli, vi ricordate3?

Sì, l’usura, la lussuria e il potere.
L’usura cosa vuol dire?

Strumentalizzare.
Strumentalizzare, giusto. Strumentalizzare o usura; strumentalizzare o lussuria, che è la strumentalizzazione della persona come persona, nel suo aspetto strumentalizzabile immediatamente che è il corpo; e la strumentalizzazione della persona come funzione di sé, del potere instaurato.
Cosa ci manca? Cosa ci manca, adesso? Questo quadro è importantissimo, perché non c’è nessuna via di scampo: l’uomo o cade nel primo o nel secondo modo che abbiamo detto, oppure obbedisce. Infatti, riconoscere una realtà secondo la totalità dei suoi fattori è obbedire. Nelle vostre risposte iniziali sul perché bisognava incominciare dall’introduzione cosa manca? Qual è lo sbaglio, il limite delle due risposte? Si tratta del Mistero: se è Mistero, non è riconducibile ad altro che a una presenza. E la presenza del Mistero come si comunica all’uomo? La presenza del Mistero può avere la forma che il Mistero sceglie ed è questa forma che diventa esperienza dell’uomo, ed è a questa forma che l’uomo deve obbedire. Nessuno può impedire al Mistero di essere presente in quel che ha fatto, ma è riconducibile esclusivamente alla presenza che, con le altre cose, Egli ha creata. Presenza reale, donde noi abbiamo tratto l’espressione «il Mistero si identifica con il suo segno»4. La presenza è un segno, perché «Chi vede Dio, muore», dice nell’Esodo5.
Un affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, a Padova: L’adorazione dei Magi

Un affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, a Padova: L’adorazione dei Magi

L’uomo in tutte le sue espressioni religiose si dà innanzitutto premura di ridurre o togliere il mistero, chiamando mistero quello che fissa lui, il segno o l’immagine, l’idolo che fissa lui. In che senso entra la parola tempio? Il Mistero si rende presenza in un punto di intersezione nel tempo, tra tempo e spazio: si chiama luogo, luogo. Un luogo è un punto o una zona d’intersezione del tempo e dello spazio. Per diventare presenza il Mistero s’è dovuto servire del tempo e dello spazio, che sono le due componenti della realtà da lui creata. È diventato soggetto alla sua creatura.
Se si chiama questo punto «intersezione», tempo-spazio, in cui Dio, il Mistero diventa presenza, qual è la prima presenza? La creazione. Infatti, è da qui che ci si inoltra alla vera risposta. Il primo miracolo è la creazione, è l’universo; il primo segno del Mistero è l’universo. Per questo è un pezzo di verità quella dei buddisti nostri amici in Giappone, che adorano, come pezzo di Dio, come parte di Dio, ogni granello di arena, ogni sassolino, ogni fiore, ogni erba, ogni capello. La prima volta che sono andato là a parlare a loro, a Nagoya, ho dovuto fare un discorso tutto su questo, descrittivo di questa situazione, ma gli ultimi tre minuti ho detto: «Ma non ci siamo ancora…»6. Il Mistero poteva rivelarsi all’uomo identificandosi col cosmo – e non per nulla si chiama «cosmo», perché ne riflette l’immagine ordinata, il volto in pace –, ma non è così che il Mistero si è fatto conoscere all’uomo. L’uomo non avrebbe conosciuto niente del Mistero e avrebbe complicato le sue relazioni diplomatiche col Mistero se avesse guardato solo il mondo. L’uomo si sarebbe affermato come il padrone del rapporto, colui che definiva il rapporto, che riconosceva, cioè definiva, il rapporto.
Invece il Mistero ha voluto essere presente in un tempo, dentro uno spazio, un particolare del tempo dentro un particolare dello spazio, e questo l’uomo non l’avrebbe mai pensato, non poteva pensarlo. Per la sua ragione è uno scandalo. Anzi, diceva san Paolo7:
– follia per i filosofi, per i razionalisti, per i liberali, perché l’infinito non può stare in un punto del tempo e in un punto dello spazio;
– e scandalo per i moralisti: è indegno concepire l’infinito, il Mistero, come qualcosa di tangibile, manovrabile, usabile, visibile, pugnabile... anzi, ucciso dall’uomo. «Scandalo per i Giudei»8, lo scandalo dei Giudei non era il Dio fatto tempo e spazio; la promessa per i Giudei era il divino, il regno di Dio che sarebbe apparso nel tempo e nello spazio; e quello sarebbe stato il vero e ultimo popolo ebraico. Dicevano mezza verità con mezza bugia. Verità perché Dio aveva parlato a loro (Abramo) e aveva combattuto per loro liberandoli dall’Egitto; bugia perché hanno identificato la salvezza del mondo con la supremazia del loro popolo (il Messia, il salvatore mandato da Dio, era il loro popolo).
Invece il Mistero si è svelato all’uomo, ha comunicato se stesso all’uomo, ha detto se stesso all’uomo apparendo come cosa reale, parte della realtà, quella parte di realtà che si chiama uomo: un uomo, con la sua vita che nasce, si sviluppa, opera e muore. Come un segno, come un avvenimento ultimo, tale che gli scribi e i farisei di oggi non ci credono ancora (magari sono sacerdoti della Chiesa cattolica).
La conoscenza del Mistero avviene attraverso l’incontro con questo uomo. A Giovanni e Andrea questo uomo parla, loro ascoltano e poi portano lì il terzo, il quarto, poi gli vanno dietro per mesi e anni finché l’evidenza… L’evidenza di quello che lui era non avviene ai loro occhi nel senso che loro hanno scoperto che era uomo-Dio: hanno scoperto che a niente si poteva dare fiducia se non a quell’uomo. Se si toglieva fiducia a quell’uomo, si sarebbe dovuto negare, rinunciare a tutto; perciò l’alternativa a quell’uomo è il nulla, è il niente di tutto, è la fine nel niente di tutto. E quell’uomo disse: «Io e il Padre siamo una cosa sola»9, e tutto consiste in quell’uomo, cosicché il dilatarsi nel tempo e nello spazio della presenza, cioè della conoscenza e dell’affezione a quell’uomo (la Chiesa), realizzava sempre più chiaramente il regno di Dio: non «potere sull’uomo», ma compagnia di «Dio fatto uomo» con tutti gli uomini che lo riconoscevano.
Il tempio, originalmente, dapprima, si sarebbe potuto identificare col creato. Ma non fu possibile all’uomo fermarsi a quello, confonderlo con quello, perché l’uomo incontrò un altro uomo come lui, che di se stesso disse: «In me tutto consiste»10. In un punto del tempo avvenne il senso del tempo, dice Eliot11. Il tempio non fu il cosmo, ma il tempio fu la definitiva rivelazione del Mistero, quando il Mistero ha detto: «Io sono». Un uomo! Il primo tempio, perciò, fu dove nacque quell’uomo, il seno della donna in cui nacque quell’uomo; e la dilatazione del tempio fu la casa dove quell’uomo visse, si sviluppò; e poi, la realtà umana che lo riconobbe, il gruppo di uomini che lo riconobbe, che fluì nel tempo fino a noi. E adesso dovrebbe, questo tempio, comporre anche noi in “santa pace”, che si chiama unità e carità (e amore). Infatti la Chiesa nei primi secoli si chiamava anche eirène, che vuol dire pace, oppure oikoumène (unità dentro il cosmo).

Lei dice che, dopo che Giovanni e Andrea hanno incontrato Gesù, «questo metodo ha implicazioni quotidiane, ad ogni istante. Non c’è più nulla di inutile, e tutto rivela una positività ultima»12. Ma, pensando alla creazione, mi sono chiesta: la positività ultima non è già nella creazione?
Il problema è capire cos’è la creazione o il problema è cos’è il Mistero?

Cos’è il Mistero.
E certo, perché la creazione capisci cos’è se capisci cos’è il Mistero. Tant’è vero che la creazione è un’immensa foresta di dèi, di cose consistenti in sé. Per il ragazzotto la ragazzotta è consistente in sé, è un idolo, e viceversa. Il capo dello Stato è un idolo, il capocasa è un idolo...
Il visitor è un idolo.
Per i merli! Il vero uomo è chi è cosciente che non è Dio.
Quando ha dieci anni e va a fare la prima comunione, per la ragazzina l’anello che le danno in premio è tutto; e la promozione o la bicicletta o il motorino; e poi l’uomo, la famiglia, il primo figlio; e poi incomincia la tetraggine della voragine verso la tomba.
È esattamente l’inverso di questo il dinamismo della realtà che l’uomo conosce nel suo significato: conosce sempre più Dio, cioè conosce sempre più la realtà in cui è, conosce sempre più se stesso. L’uomo non riconoscerebbe mai di essere quel che il cristianesimo chiama peccatore, di essere innanzitutto peccatore; non riconoscerebbe mai che il frutto della sua azione sia imperfetto, cioè negatore della totalità, donde nasce il dolore. E Buddha, che ha capito bene questo, dice il resto che ho detto tante altre volte13. Andate a rivederlo. Mi pare che non vi ricordiate più niente!

La prossima volta esame scritto. Facevi a scuola esami di religione, esami scritti?
Tutti i trimestri. Anche ad Angelo Rizzoli!
Perciò, la realtà che è contenuto della tua esperienza, che tu vivi, o è tempio o è abisso senza senso. E quindi l’io è coscienza dell’essere oppure è vorticoso essere riassunto dal niente. E tu puoi immaginare fra il tuo presente e il momento del tuo niente, del tuo annientamento, puoi immaginare tutta l’azione che vuoi, grande, bella, eroica, poetica, epica, ma finisce in niente. Il genio più grande dell’umanità in questo senso è stato il genio greco, per cui tutto finiva in tragedia. Dopo il cristianesimo nulla più è potuto finire in tragedia, ma la tragedia era riaperta, o si fermava, al dramma.

Posso dire una cosa?
L’ultima.

Mi ha molto colpito quando nel testo dici che ultimamente «la vocazione consiste nel riconoscere a Cristo la capacità di salvare il presente del tempo»14.
Come dice Eliot. Non dice questo? «Ci fu un momento del tempo che del tempo diede il significato»15.

Mi ha colpito perché, pensando alla mia esperienza, mi è venuto in mente che c’è stato un momento in cui ho dato credito a questo, quasi senza vederlo. E così è diventato reale, è diventato esperienza che Cristo mi salva il presente del tempo, perché, per esempio, mi salva quelli che amo e me li conserva.
Ti salva la realtà affermando di essa ciò che è amabile, vale a dire ciò che è per te. Ciò che non è per te è menzogna, è demoniaco, no? Ciò che non è per te è demoniaco. E ciò che può essere per te è per chiunque altro.
Amabile e quindi duratura: dura. Dura: ha l’esistenza dell’io. Ha l’esistenza dell’io, è eterna, è immortale. L’io ha come esistenza l’abbraccio a tutto ciò che veramente è. Tutto ciò che veramente è, è la negazione dell’apparenza come preludio al niente. L’apparenza è preludio al niente, è inganno, è vanità. Invece no, l’apparenza è il primo manifestarsi di ciò che è per sempre. Ciò che uno ama realmente e giustamente, lo ama per sempre; se incomincia, lo ama per sempre. Se non è vera la cosa, non è vero lui. E questo è il concetto di peccatore, perché rinnega l’essere, che il nostro Bergson chiamò «durata»16.

Vorrei chiedere una cosa sull’ecumenismo. Tu alla fine dici che è la «valorizzazione di tutto ciò che di buono, di vero e di giusto c’è nella realtà. [...] Molto di più di una indifferente tolleranza, l’ecumenismo è amore al riverbero di verità che si trova in chiunque»17. Io mi sono accorta che non ho questa posizione, e tante volte mi accorgo di dover difendere la verità con una posizione di sfida. Però io vorrei capire bene, perché a volte questo è anche una battaglia.
È una battaglia che tutti gli uomini combattono con ira, rapacità, pretesa, presunzione o, soprattutto, rabbia, e che tu combatti, con tutti gli uomini rabbiosi, in pace: in pace in bello.
Andiamo, buona notte! Franci, la volta ventura ti faccio delle domande serrate, tre di fila!


NOTE

* Conversazione
del 21 settembre 1995.
Tema di riferimento:
L. Giussani, Il tempo
e il tempio. Dio e l’uomo,
Rizzoli, Milano 1995, pp. 5-7.

1 «Turbo quem nullus quatit, aut vagantes / Diruunt venti, penetrantque nimbi; / Hanc Domum tetris piceus tenebris / Tartarus horret. // Ergo te votis petimus, sereno / Annuas vultu, famulos gubernes, /
Qui tui summo celebrant amore / Gaudia templi» (Christe cunctorum, Inno della dedicazione del tempio, in Analecta Hymnica Medii Aevi, vol. 27, a cura di C. Blume, Leipzig 1897, p. 265).
2 L’autore si riferisce a una processione a carattere ecumenico avvenuta a Milano durante il VII Incontro internazionale per la pace “Uomini e religioni” (Milano, 19-22 settembre 1993): cfr. Pace a Milano. VII Incontro internazionale per la pace «Uomini e religioni», San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 1993.
3 «Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell’abisso. / È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa? / Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato / Tutti gli dèi, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere» (T.S. Eliot, Cori da «La Rocca», Bur, Milano 1994, p. 101).
4 Cfr. L. Giussani, Si può (veramente?!) vivere così?, Bur, Milano 1996, pp. 338-340.
5 Cfr. Es 33, 20.
6 Cfr. L. Giussani, Una chiarezza di fede di fronte al buddismo migliore, in Litterae Communionis - Tracce, n. 5, maggio 1999, inserto.
7 Cfr. 1Cor 1, 22.
8 Ivi.
9 Gv 10, 30.
10 Cfr. Gv 15, 5.
11 Cfr. T.S. Eliot, Cori da «La Rocca», op. cit., p. 99.
12 L. Giussani, Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, Rizzoli, Milano 1995, p. 6.
13 Cfr. L. Giussani, «Memores Domini», in Un avvenimento di vita, cioè una storia, Edit - Il Sabato, Roma 1993, p. 93.
14 L. Giussani, Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, op. cit., p. 7.
15 Vedi qui, nota 11.
16 Cfr. H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, a cura di F. Sossi, in Opere, a cura di A. Rovatti, Mondadori, Milano 1986.
17 L. Giussani, Il tempo e il tempio. Dio e l’uomo, op. cit., p. 7.


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