Home > Archivio > 10 - 2000 > Un mister da ringraziare
GIUBILEO DEGLI SPORTIVI
tratto dal n. 10 - 2000

La fede nella vita di un atleta

Un mister da ringraziare


Alcuni campioni parlano del loro rapporto con il cristianesimo: i ricordi dell’oratorio, i momenti di preghiera, la messa, la coscienza di essere stati fortunati... Interviste


a cura di Stefano Maria Paci


San Paolo usava tutta una serie di metafore prese in prestito dal mondo dello sport, dalla corsa al pugilato, per spiegare l’avventura di ogni cristiano, per indicare la gara che il fedele doveva compiere per ottenere il premio. Sono queste le radici su cui poggia il Giubileo degli sportivi che si è celebrato a Roma il 28 e 29 ottobre.
Il momento saliente si è svolto allo stadio Olimpico, alla presenza di 80mila persone, un “pubblico” numeroso come per un derby Roma-Lazio. Al termine della messa, si è svolta una gara dei 200 metri per disabili e dei 100 metri con i finalisti dei mondiali iuniores. Poi, sulle gradinate il clima si è scaldato, e sono iniziate le immancabili olas: in campo stavano per entrare i campioni del calcio, per una sfida tra la Nazionale italiana e una rappresentanza del “Resto del mondo”. C’era Giovanni Paolo II in tribuna.
In occasione del Giubileo degli sportivi, 30Giorni ha incontrato alcuni di atleti.



Un’azione della partita disputata allo stadio Olimpico, a Roma, domenica 29 ottobre, durante il Giubileo degli sportivi

Un’azione della partita disputata allo stadio Olimpico, a Roma, domenica 29 ottobre, durante il Giubileo degli sportivi

Tra i pali, come il Papa

Intervista con Francesco Toldo
Calciatore, portiere della Nazionale italiana

Da quando ha parato l’imparabile nella semifinale contro l’Olanda, agli ultimi europei di calcio, lei viene chiamato “il portiere dei miracoli”. Toldo, lei è cattolico?
FRANCESCO TOLDO: Sì.
Non mi dica che aveva pensato a chiedere protezione dall’Alto, quella sera…
TOLDO: Certo che ci avevo pensato. Quella è stata una serata magica, nel senso buono del termine: una magia fatta di sicuro con l’aiuto del Signore. Comunque è mia abitudine pregare sempre, e non chiedo aiuto solo quando ne ho bisogno.
E come è nata, in lei, la fede?
TOLDO: È nata a poco a poco, assieme alla passione per il calcio. Quando ero piccolo, come molti ragazzini della mia età, frequentavo l’oratorio. Lì l’ambiente era basato sull’amicizia, sulla sportività. Sui migliori valori del calcio. Lì, all’oratorio, ho imparato a giocare a pallone, e ho imparato anche la religione cristiana.
Ora lei è uno dei più celebri calciatori d’Italia. Un professionista che guadagna miliardi e gioca ai massimi livelli. Sia sincero: è difficile mantenere la fede, in questi ambienti?
TOLDO: No. La fede può, anzi deve, essere vissuta in ogni ambiente in cui ci si trovi. L’unica difficoltà che incontro è nel fatto che gioco la domenica: confesso che qualche messa la salto, per gli impegni agonistici. Ma la mia fede no, quella non cambia, e non cambierà mai.
Come ha vissuto il Giubileo degli sportivi?
TOLDO: L’ho vissuto con uno spirito di grande serenità interiore. Per me non è stata solo una partita giocata allo stadio, ma un vero giubileo. L’ho vissuto come una esperienza, di quelle cose che marcano la vita.
E cosa ha provato, nel giocare davanti al Papa?
TOLDO: Una grande emozione. Anzi: più che grande, unica, visto che non credo che mi ricapiterà più per tutta la vita…
E poi ho scoperto di avere una cosa in comune con papa Wojtyla: entrambi siamo stati tra due pali di una porta. Del resto, il suo fisico era proprio perfetto per fare il portiere. Io lo faccio ancora, lui adesso ha smesso, ma fa qualcosa di meglio, di molto meglio. Però… chissà se ha ripensato alla sua gioventù, vedendomi in campo.
Visto che lei è cattolico, questa è stata una partita importante…
TOLDO: Quella più importante devo ancora finire di giocarla: è la partita della vita. Spero di diventare vecchio e di poter dire, giunto al termine (o meglio, all’inizio) dell’esistenza: ho compiuto il mio dovere di cristiano.
E come portiere della Nazionale, che sogno ha?
TOLDO: Potere essere tra i pali, nel 2002, nella prossima finale dei campionati mondiali. E parare tutto, ma proprio tutto, e riuscire a battere stavolta la Francia, magari all’ultimo minuto. Accidenti, è proprio quello che stavamo facendo a luglio. Beh, vuol dire che, la prossima volta, pregherò di più…



Essere cristiano mi fa essere me stesso

Intervista con Damiano Tommasi
Calciatore, centrocampista della Roma

Tommasi, cosa rappresenta la fede cattolica nella sua vita?
DAMIANO TOMMASI: È la cosa che mi fa muovere. E mi è di aiuto in ogni circostanza. Certo, visto da fuori, il nostro può sembrare un mondo particolare. Ma il calcio è l’ambiente nel quale lavoro, e giocare a pallone è la cosa che più mi appassiona. E dato che io sono cattolico, vivo la mia fede con assoluta normalità, nel mio mondo. Proprio come dovrebbe fare ogni cristiano. È difficile mantenere la fede nel mondo del calcio come in qualsiasi altro ambiente di lavoro. L’unica differenza è che il mio lavoro è seguito e giudicato da milioni di persone. Ma, di questo, io non mi preoccupo troppo. Ho fede in ogni momento, qualsiasi cosa faccia. Anche mentre tiro calci ad un pallone. Il fatto di essere cristiano mi fa essere me stesso.
La curva dello stadio Olimpico gremita di pubblico la mattina del 29 ottobre
durante l’omelia del Papa

La curva dello stadio Olimpico gremita di pubblico la mattina del 29 ottobre durante l’omelia del Papa

Lei ha fatto il servizio civile in una televisione cattolica, Telepace. Ha quindi visto dal di dentro, per un certo periodo, il rapporto tra Chiesa e mass media. Come giudica il Giubileo degli sportivi?
TOMMASI: Mi è sembrato che questo Giubileo sia stato un po’ troppo pensato in funzione dei mass media. Io non sono stato convocato per la partita giocata davanti al Papa, ma non ci sono certo rimasto male. Quello che invece mi è un po’ dispiaciuto è che sia stato il calcio, e solo il calcio, a rappresentare tutti gli sportivi. Le Olimpiadi, terminate da poco, hanno dimostrato che lo sport non è solo il calcio. Certo, il calcio è lo sport più seguito in Italia, ma ci sono milioni di persone che praticano e seguono altri sport. E identificare lo sport solo con una partita di pallone è riduttivo, troppo riduttivo.
Un giudizio coraggioso, visto che lei è uno degli eroi più popolari del calcio…
TOMMASI: È bello che migliaia di giovani arrivino a Roma, convocati per un Giubileo dedicato allo sport. Come è stato bello il grande raduno dei giovani fatto questa estate a Tor Vergata. Ma credo che in tutto questo ci sia un pericolo. Queste iniziative continue, durante tutto il Giubileo, rischiano di frastornare un po’. Si rischia di essere travolti da tutte queste manifestazioni.


Il miracolo di vincere

Parla Antonio Rossi
Canoista, medaglia d’oro ad Atlanta e a Sydney

Perché ha scelto come sport proprio la canoa?
ANTONIO ROSSI: La canoa è uno sport bellissimo. Ti fa essere a contatto con la natura. Ma anche con qualcosa di più della natura: sei a contatto con il Signore del mondo, con Colui che ha creato tutto questo.
Prova spesso questo stupore?
ROSSI: Sì. Per esempio, io sono stato scelto per leggere il messaggio degli sportivi di fronte al Papa, allo stadio Olimpico. Un privilegio più grande di quello che avrei avuto se avessi portato la bandiera italiana alle Olimpiadi.
Appena tagliato il traguardo che le ha fatto vincere la medaglia d’oro a Sydney, lei si è messo a pregare. Perché?
ROSSI: Anche prima di una gara prego, ma non per vincere: prego per poter dare la mia prestazione migliore, così che una volta finita la gara io possa essere felice perché ho realizzato il mio compito, ho dato il massimo, sia che abbia vinto o meno.
È vero, appena tagliato il traguardo, nel lago di Sydney, ho baciato la croce d’oro che porto al collo e ho pregato, con un ginocchio a terra. L’ho fatto perché ero contento. Avevo già vinto due medaglie d’oro alle Olimpiadi di quattro anni fa, ma ogni volta è un’emozione nuova. Per essere campioni, ma anche semplicemente per fare sport, occorre avere una serenità interiore, e questa io l’ho raggiunta con la fede.


Ogni benedetta domenica
Brevi riflessioni di alcuni sportivi


DEMETRIO ALBERTINI
Calciatore, centrocampista della Nazionale

Antonio Rossi e Manuela Di Centa, fondista, accanto al Papa

Antonio Rossi e Manuela Di Centa, fondista, accanto al Papa

Provengo da una famiglia in cui la fede cattolica si respirava nell’aria. Mio fratello Alessio è entrato in seminario a 14 anni, quando io ne avevo solo dieci. Mi sono ritrovato cattolico. Ma crescendo, non mi sono accontentato di questa istintiva appartenenza: l’ho verificata. Certo, facendo il calciatore si gioca la domenica, ma io cerco sempre di partecipare alla messa: sono poche le cose essenziali su cui si basa la fede, e anche il solo partecipare a quel gesto, lo reputo importante. Peccato che nei ritiri, durante i quali non è possibile uscire, la messa venga celebrata in stanze anonime. È una cosa che mi disturba molto: avrei proprio bisogno di stare in una chiesa, con un’atmosfera e una concentrazione diversa. Ma ogni giorno cerco di trovare un momento in cui concentrarmi per pregare Dio.


BEPPE BERGOMI
Ex calciatore, è stato difensore della Nazionale

Parlo della mia esperienza. Credo tantissimo in Dio, e pregare è un momento importante della giornata. Lo faccio appena mi sveglio e inizia la coscienza di me. E sempre con la preghiera termino la giornata, quando riconsegno a Dio il giudizio su quello che ho fatto. La fede è una cosa molto importante: anche in un calcio così, dove il business sembra prevalere su tutto, bisogna farle spazio.


LUIGI BUFFON
Calciatore, portiere del Parma

Per me la religione ha un ruolo importante, per cui io non mi scordo mai la sera di ringraziare il Signore per quello che mi ha dato, per la fortuna che sto avendo. Credo che sia il minimo che posso fare. Ma in campo, non faccio mai il segno della croce. Mi sembra che chi lo fa in quel momento ne faccia quasi un gesto scaramantico. Il segno della croce, invece, è una cosa seria. E importante. Non voglio banalizzarlo.


FELICE GIMONDI
Ex ciclista

Il Giubileo ha voluto legare con un binomio la fede e lo sport. Io credo però che la fede sia indispensabile per poter fare bene non nello sport, ma nella vita.


ANDREA LUCCHETTA
Pallavolista

Mi sono sentito chiamato in causa quando Giovanni Paolo II, durante l’omelia pronunciata allo stadio Olimpico, ha detto che ogni singolo atleta deve trasmettere un’immagine positiva, di abnegazione e di sacrificio, così che ognuno di noi possa essere guardato con sguardo limpido da ogni bambino che ti elegge come modello. Mi sono tornate in mente le parole di Gesù: «Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli». Mi è venuta un’incredibile voglia di uscire dallo stadio per poter contattare più gente possibile, per entrare nelle case, nelle piazze e nelle polisportive, e per emanare, come una spugna, la fede che ho assorbito.


ALBERTO TOMBA
Ex sciatore, più volte campione del mondo

Da giovane ero chierichetto. E passavo molto tempo in chiesa e nell’oratorio. Oggi devo ammettere che ne passo molto meno. Ma chissà: forse il fatto di condividere con il Papa una grande passione, quella dello sci, mi guadagnerà un po’ di indulgenza dall’Alto. Con Giovanni Paolo II ci siamo incontrati più volte. La prima è stata nel 1987, in Val d’Aosta. Il Papa era andato lì a sciare: a lui piace molto questo sport, tanto che so che nell’inverno del 1976, mentre sciava sui monti Tatra, in Polonia, aveva per sbaglio sconfinato in Cecoslovacchia. E le guardie di frontiera volevano arrestarlo, perché convinti che quello sciatore stesse mostrando loro un passaporto rubato... a un cardinale.


Español English Français Deutsch Português