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DOSSIER EMERGENZA CARCERI
tratto dal n. 06 - 2000

Dei delitti e delle pene alternative


Parla il professor Nicolò Amato, per dieci anni direttore dell’Amministrazione penitenziaria: «È giusto cercare alternative al carcere, ma pensare che esso non sia mai necessario è utopistico… Il vero problema è come semplificare i processi diminuendo il numero di coloro che sono in attesa di giudizio»


Intervista con Nicolò Amato di Gianni Valente


Mentre andiamo in macchina non è ancora chiara la decisione politico-parlamentare sul problema scottante dell’amnistia e (o) del condono. Le contrastanti tesi sono inquinate da uno squallido giuoco del cerino tra i due “poli” mentre focolai di protesta stanno montando un po’ dovunque. Il messaggio del Santo Padre, che si recherà a Regina Coeli nella giornata riservata appunto ai carcerati nel calendario giubilare, è stato un delicato ma fermo invito ad un gesto di clemenza. Naturalmente il Papa non doveva e non poteva andare oltre, anche perché il documento non è rivolto solo all’Italia. Spetta alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica adottare le decisioni, che devono essere prese con la maggioranza qualificata dei due terzi. Questo consenso, così alto, che si applica per la prima volta, fu introdotto – modificando l’articolo della Costituzione – per frenare l’abuso che se ne faceva sia sotto il regime monarchico che dopo.
A parte il perdono dell’Anno Santo, che avrebbe comunque una cadenza venticinquennale, la decisione favorevole si impone per due situazioni di anormalità: nel numero dei reclusi – largamente eccedente la capienza delle strutture – e nel pauroso arretrato delle procedure pendenti. Si rischia un’embolia, che potrebbe essere mortale per il sistema italiano; non solo nell’ambito penitenziale. Di qui l’incongruenza del solo condono, che terrebbe occupati procuratori e giudici a istruire e celebrare anche i processi che al termine dovrebbero, applicando l’indulto, esonerare da ogni pena.
È vero. Se il sistema è in crisi non basta il gesto una tantum. Vi sono profonde innovazioni che urgono, sia nelle strutture e nei regolamenti (compreso l’ampliamento delle possibilità di lavoro, anche come fattore rieducativo) che nella riforma dei codici. Quando dopo pochi anni di vigenza del nuovo Codice di procedura il governo ne ha annunciato la riforma (fatto eccezionale in materia) significa che le aspettative di miglioramento – da alcuni addirittura enfatizzate come… scoperta dell’America – sono state deluse.
Del resto, qualche settimana dopo la messa in pista del Codice stesso, nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario, il procuratore generale della Cassazione disse che era ovviamente troppo presto per esprimere un giudizio, ma che certamente l’arretrato si sarebbe accresciuto. Fu una doccia fredda, ma i competenti (?), che avevano indotto a rompere gli indugi in materia, lo contraddissero definendolo un nostalgico conservatore.
Peraltro, senza attendere il nuovissimo Codice potrebbero applicarsi in modo più correttamente restrittivo le norme sulla carcerazione preventiva. Nell’ampio servizio che dedichiamo in questo numero al tema generale delle carcerazioni sono esposti i dati illogici di queste privazioni di libertà, che creano anche – ma non è il punto essenziale – onerose situazioni di indennizzi riparatori. Senza dire dell’odioso primato italiano nelle condanne del nostro Stato per ritardata o denegata giustizia.
Si badi: la mia non è critica a questo momento e a questo governo. È da tempo che in proposito l’approccio è disattento e inadeguato.
So bene che, specie in zone del Nord Italia, più sensibili agli effetti della criminalità quotidiana, è mal visto il provvedimento di perdono collettivo. Ma si deve avere il coraggio d’informare la gente sullo stato deficitario della sicurezza caratterizzato da situazioni gravissime al di fuori delle prigioni e della saturazione nei tribunali.
Il numero dei delitti commessi da ignoti ha subito nell’ultimo anno un ulteriore aumento rispetto a quello di cui risultano individuati gli autori, passando a 2.784.532, pari all’84,2 % di tutti i delitti denunciati. Per quel che riguarda i furti denunciati sono rimasti ignoti il 96,4 %.
Sono cifre ufficiali date dalla Procura della Cassazione che si commentano da sole.
E – qui il discorso è di specifica attualità – ai laudatores statistici dell’era presente vorrei rammentare che, sempre nell’ultimo anno di riferimento, la situazione della criminalità risulta molto aggravata: gli omicidi (tentati e consumati) sono cresciuti del 18,4 %; le rapine del 23,9; le estorsioni del 23; i sequestri di persona del 4,4; le violenze sessuali del 13; e i furti (senza dire di quelli non denunciati per sfiducia) del 22,1.

Nel quadro delle situazioni da rivedersi vi è anche lo status della polizia penitenziaria (già agenti di custodia) esposta ad una sottile quotidiana minaccia da parte delle reti criminali; e comunque votata ad una vita di sacrificio e di autoreclusione. Mi dicono che in altri Paesi il delicato servizio è assolto a turno da strutture di sicurezza più diversificate, con esito soddisfacente anche per evitare deformazioni professionali. Ma non è che un capitolo di una riflessione molto ampia che è necessaria; da affrontarsi subito dopo aver disinnescato la miccia della ritardata o denegata clemenza. Se si dovesse decidere nel caldo di una situazione esplosa, il danno sociale sarebbe forse irreparabile.


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