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DOSSIER EMERGENZA CARCERI
tratto dal n. 06 - 2000

Dei delitti e delle pene alternative


Parla il professor Nicolò Amato, per dieci anni direttore dell’Amministrazione penitenziaria: «È giusto cercare alternative al carcere, ma pensare che esso non sia mai necessario è utopistico… Il vero problema è come semplificare i processi diminuendo il numero di coloro che sono in attesa di giudizio»


di Gianni Valente


«Questa gente in carcere vive male, sicuramente peggio di una volta. Una volta in carcere per molti c’era la possibilità o di lavorare o di migliorare l’istruzione. Adesso tutto questo è ridotto al minimo. Dare una condanna di tre anni oggi, è come darne cinque di una volta». Il professor Giovanni Conso, presidente emerito della Corte costituzionale, ha manifestato più volte nelle scorse settimane il suo allarme sulla situazione carceraria italiana. In particolare, lo preoccupa l’emergenza sanitaria.

Professore, a volte sembra che per chi è in carcere il diritto alla salute sia considerato un optional...
GIOVANNI CONSO: Proprio perché si tratta di persone in sofferenza, il problema della salute si pone in termini più gravi di quanto non sia per gli altri individui. Chi si ammala in carcere assomma alla sofferenza legata alla malattia la sofferenza di essere ristretto nella libertà personale. L’assistenza sanitaria per i carcerati deve tener conto della specificità di questa situazione di doppia sofferenza. Ecco perché ritengo che la cosiddetta medicina penitenziaria sia un settore così delicato da non poter essere affrontato riducendo la problematica sanitaria dei carcerati a un capitolo della sanità ordinaria.
Dunque, non condivide l’impostazione della recente legge che fa rientrare la medicina carceraria, finora autonoma, nell’alveo del Sistema sanitario nazionale...
CONSO: L’argomento con cui si vorrebbe porre fine all’autonomia della sanità carceraria mi sembra fallace. Si dice: i detenuti non sono cittadini di serie B, sono come gli altri, per cui devono poter fruire dell’assistenza sanitaria ordinaria. A mio parere, invece, l’assistenza sanitaria in carcere, oltre a garantire maggior prontezza nell’affrontare le problematiche cliniche, può tenere meglio conto dei tanti fattori peculiari della condizione carceraria, a cominciare dalle implicazioni psicologiche. I malati in carcere vivono una condizione psicologica diversa rispetto ai malati comuni, che può facilmente tradursi in complicazione clinica: basti pensare al frequente stato di depressione che porta molti detenuti a tentare il suicidio. Tutto ciò non toglie, anzi esige che la medicina penitenziaria migliori, eliminando taluni limiti che attualmente incontra.
Quali sono le principali disfunzioni della sanità carceraria?
CONSO: Una delle lacune è, a mio avviso, l’orario limitato che, anche per ragioni finanziarie, fa sì che soprattutto nei grossi istituti la presenza medica sia insufficiente rispetto alle necessità concrete. Anche l’aspetto sanitario, come tutti gli altri del sistema penitenziario, è condizionato dalla carenza dei mezzi finanziari disponibili.
Si lamenta, nella sanità carceraria, una rigidità burocratica che in alcuni casi di emergenza si è rivelata letale...
CONSO: Tutto questo aspetto rende ancora più necessario che siano potenziati i servizi medici in carcere. Un’assidua opera di assistenza sanitaria dentro le mura carcerarie consentirebbe di evitare troppo frequenti spostamenti in strutture ospedaliere ordinarie, che richiedono un impegno ancora maggiore, sia per quanto riguarda il trasporto, sia perché l’assiduità nella cura crea complicazioni nella vita degli ospedali ordinari.
Nelle ultime settimane lei è intervenuto più volte pubblicamente a favore dell’ipotesi di indulto.
CONSO: Credo che sia ormai impossibile dire di no all’indulto. Se ne è parlato tanto, è cresciuta l’aspettativa, e non c’è niente di peggio che annunciare dei benefici e poi non concederli. Bisogna arrivare a una soluzione, altrimenti si rischia di far crescere le tensioni.
Come giudica l’impasse tra i partiti su questo argomento?
CONSO: Forse ciascuno teme che gli venga addebitata la paternità del provvedimento, dato per impopolare presso l’opinione pubblica che chiede maggiore sicurezza. Ma proprio la necessità dei due terzi richiesti dalla Costituzione per far passare i provvedimenti di clemenza dovrebbe far comprendere che, se il provvedimento passa, non potrà essere ascritto a merito o a demerito di singoli partiti o coalizioni. Quindi, sarebbe bene lasciar da parte le strumentalizzazioni politiche e guardare all’aspettativa che si è creata ed ancor di più alla possibilità di sfoltire, almeno in parte, le carceri. È vero che l’indulto non risolve i problemi del carcere, ma intanto è un punto di partenza. E poi non è vero, come sostengono alcuni, che fra un anno ci ritroveremo nella stessa situazione di oggi. L’indulto, togliendo ad ogni detenuto qualche anno di pena, consentirà di far uscire via via nel tempo tutti coloro che ne potranno progressivamente beneficiare. Ci sarà un effetto di sfoltimento a lungo dilatato, prezioso per poter avviare le riforme.


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