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RECENSIONI
tratto dal n. 09 - 2000

In difesa del Savonarola


Nel 1998 è stata ristampata la copia anastatica di un lungo e approfondito studio sul frate domenicano, realizzato da un professore piemontese del secolo scorso per controbattere le tesi di uno dei più grandi storiografi dell’epoca, Ludwig von Pastor


di Claudio Leonardi


Paolo Luotto, Il vero Savonarola e il Savonarola di L. Pastor, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Impruneta (Fi) 1998

Paolo Luotto, Il vero Savonarola e il Savonarola di L. Pastor, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Impruneta (Fi) 1998

Due anni fa, il centenario della morte di Girolamo Savonarola, ucciso per impiccagione dal Comune di Firenze e poi bruciato per ordine ecclesiastico il 23 maggio 1498, ha dato occasione di riflettere nuovamente su questo singolare frate domenicano, in cui sembra compiersi la storia della profezia cristiana medievale.
La critica non è arrivata ad una nuova biografia, dopo quelle classiche di Pasquale Villari, di Josef Schnitzer e di Roberto Ridolfi, anche perché forse non ce n’era bisogno. Ma ha opportunamente provocato, tra altre iniziative editoriali, la ristampa anastatica di un libro raro, rimasto ai margini, per un secolo intero, della bibliografia savonaroliana, quello di Paolo Luotto: Il vero Savonarola e il Savonarola di L. Pastor (ristampa anastatica della seconda edizione rivista dall’autore, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Impruneta, Firenze, 1998, d’ora in avanti citato così: Luotto).
Il Luotto era nato a Villafranca d’Asti nel 1855. La famiglia contadina non aveva i mezzi per farlo studiare, ma il giovane ottenne nel 1871 una borsa di studio dell’Opera Pia Sant’Elena e poté così frequentare le scuole medie e superiori e laurearsi poi a Torino, con lo storico Carlo Cipolla, nel 1884. Fu professore di liceo a Lecce, a Cesena (dal 1886 al 1894) e poi a Faenza (dal 1894 al 1897). Morì nel 1897. In questo stesso anno aveva pubblicato la sua opera maggiore, che ebbe due edizioni, o meglio ristampe, nel giro di pochi mesi, ma che – forse anche per la sua morte – ebbe scarsissima fortuna. Tuttavia l’anastatica del 1998 permette di meglio collocare l’opera del Luotto, che a cent’anni di distanza mostra ancora il suo straordinario valore.
Come il titolo già dichiarava, la monografia del Luotto consiste in un confronto con l’opera di Ludwig von Pastor, ma un confronto in cui l’opera del Savonarola viene riletta e ripresentata. Il Pastor non era uno storico qualsiasi. Infatti negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi del nostro, Ludwig von Pastor ha tenuto un ruolo notevolissimo nella storiografia di ispirazione cattolica, che unito ad un prestigio e ad un potere di primo piano, ne hanno fatto un personaggio di riferimento.
Pastor era tedesco, nato ad Aquisgrana nel 1854; aveva frequentato il Gymnasium, cioè il nostro ginnasio-liceo classico, a Francoforte, dove aveva avuto come insegnante un prete cattolico, Giovanni Janssen (1829-1891), che fu il suo primo maestro di storia. Credo si debba allo Janssen se il Pastor si iscrisse poi all’Università Cattolica di Lovanio, per passare in seguito, come si usava, alla Università tedesca rinnovata in Berlino da Wilhelm von Humboldt, e ad altre università: fu a Bonn e poi in Austria, a Vienna, dove seguì le lezioni di Theodor von Sickel, e infine a Graz dove si laureò nel 1878 con una tesi sulla politica religiosa di Carlo V. Ebbe poi una rapida carriera: libero docente a Innsbruck nell’81, pubblicò nell’86 il primo volume della sua Geschichte der Päpste seit dem Ausgang des Mittelalters, con cui ebbe la cattedra di storia, sempre a Innsbruck, l’anno dopo. Questi pochi dati sono sufficienti per il nostro tema: si può tuttavia aggiungere che il Pastor era tra quelli che avevano auspicato che papa Leone XIII aprisse agli studiosi gli archivi vaticani, e tra coloro che, avvenuta l’apertura, avevano potuto usufruire largamente della documentazione vaticana.
Legato alla corte viennese (Francesco Giuseppe lo nominò Hofrat, consigliere aulico, nel 1899 e più tardi Freiherr, barone), lasciò nel 1900 l’insegnamento per dirigere a Roma, dal 1901 al 1918 – salvo la parentesi della prima guerra mondiale – l’Istituto storico austriaco, fondato anche, in particolare, per studiare i documenti vaticani, e dal 1921 fu contemporaneamente ministro plenipotenziario presso la Santa Sede. Si può dire che il secondo luogo di lavoro e di elezione del Pastor e punto di riferimento sia stato, dopo la corte di Vienna, la curia pontificia, e alla Biblioteca vaticana, morendo nel 1928, lasciò i suoi manoscritti e le sue carte.
Dal punto di vista culturale, i 16 volumi in 22 tomi della sua Geschichte sono un monumento. La sua formazione storica era soprattutto rivolta ad un attento lavoro di scavo negli archivi, e ad una prudente ricostruzione dei fatti, il più vicino possibile agli eventi: debitore in questo, senza dubbio, della grande stagione positivista. Ma il suo privilegiare l’analisi e restarne in qualche misura un poco prigioniero, non significa che la sua opera non si iscriva in un clima storiografico e in un suo particolare intento. Chiuso il momento più acuto del Kulturkampf, il Pastor, cattolico convinto e praticante, aveva concepito, fin dalla sua laurea, di prendere in esame quel tempo della storia d’Europa che aveva visto il contrapporsi delle confessioni cristiane, e da qui, con un intento forse vagamente apologetico perché il mestiere di storico-archivista gli impediva di esserlo esplicitamente, il progetto di una storia dei papi, che forse pensava anche come alternativa culturale alla storia di Leopold von Ranke. Al Pastor ad ogni modo riuscì di dare un’immagine grandiosa del papato moderno, dal 1417 al 1799, da Martino V a Pio VI, dal Concilio di Costanza alla Rivoluzione francese, nel senso che – documenti alla mano – aveva mostrato e sottolineato quale grande ruolo il papato avesse avuto nella storia europea.
Paolo Luotto non conosceva il tedesco, e lesse la storia del Pastor nella traduzione che dei primi volumi aveva fatto un sacerdote trentino, Clemente Benedetti. Il terzo volume dell’opera, relativo anche a Savonarola, uscì nel 1896. Già l’anno dopo, nel 1897 (la prefazione porta la data del maggio) uscì il libro del Luotto, 600 pagine fitte di testo. Un’impresa che ha quasi dell’incredibile. La moltitudine delle citazioni, veramente straordinaria, delle opere di Savonarola che il Luotto fornisce, mostra che egli aveva già letto tutto Savonarola e tutto schedato per argomenti, prima che la traduzione del Pastor comparisse. Via via che leggeva, il Luotto poteva così notare lo scarto tra le affermazioni dello studioso tedesco e la lettera e lo spirito di quello che il Savonarola affermava. Nei 34 capitoli del libro la critica del Luotto è come un continuo ritornello: il Pastor parla del Savonarola, ne ha letto le poesie, ma non ne ha letto le lettere, le prediche, i trattati (e su questa critica non si può non concordare); il Pastor, continua il Luotto, si è servito solo della letteratura secondaria, del lavoro di altri storici, e lo ha fatto senza sottoporli a controllo. E mette più volte in parallelo i testi del Pastor e di altri per far toccare con mano che il dotto storico austro-tedesco copiava semplicemente da storici precedenti, da Burckhardt, da Villari, da Perrens, da Grisar; anzi, cerca di mostrare, e più volte senza possibilità di replica, come il Pastor tenda ad aggravare o rendere più pesanti i giudizi negativi sul Savonarola che la critica precedente aveva formulato. In molti capitoli il Luotto prende in esame, secondo un certo ordine, le critiche del Pastor, le analizza, ne rivela appunto le fonti, e le discute sulla base delle testimonianze che ha raccolto: soprattutto le opere del Savonarola, come ho detto, ma anche una buona documentazione di fonti coeve al Savonarola.
Girolamo Savonarola

Girolamo Savonarola

Mi limiterò a segnalare alcuni casi. Il Luotto dedica ben 4 capitoli (dall’ottavo all’undicesimo) alla predicazione savonaroliana. Il Pastor la definisce opera di uno spirito troppo fervente, irrequieto, ed anche imprudente (verso Lorenzo de’ Medici) e formalmente triviale: caratteri che il Pastor attribuisce ad uno “zelo” appassionatamente “eccessivo” del Savonarola. Uno zelo che non sarebbe da ricondurre al carattere del frate, quanto alla sua mentalità, quella di un frate che ha rinunciato al mondo e non sa rapportarsi al mondo se non mediante il disprezzo, la violenta denuncia, la condanna. Per il Luotto è facile mostrare, anche con un apparato di citazioni e riferimenti, che questo zelo eccessivo, lungi dall’essere segno di condanna, è la manifestazione di un «animo infuocato d’amore divino», che è volto non solo e tanto alla contemplazione in una cella, ma è esplicitamente diretto al rinnovamento della Chiesa e al «ben vivere» dei cristiani. L’osservazione viene ribadita nel capitolo XIII (ed anche nei seguenti), a proposito della predicazione del Savonarola sulla società ecclesiastica e su quella civile, una predicazione, appunto, eccessivamente “rigorista”, secondo il Pastor, perché Savonarola non «sapeva mai tenere il giusto mezzo», volendo applicare «le sue vedute da claustrale alla vita civile»; di fronte alla Chiesa Savonarola sarebbe semplicemente un «fanatico», che voleva la Chiesa ricondotta alla povertà dei primi tempi.
Uno dei meriti del Luotto, a questo punto ma poi anche nel seguito del suo libro, è quello di avere mostrato come una delle fonti principali delle idee del Savonarola sia Tommaso d’Aquino, e dunque che lo Stato viene dall’uno e dall’altro concepito come una società naturale, con una sua legge che non discende semplicemente da quella evangelica, ma ha riferimento alla ragione umana e alle consuetudini storiche. E in verità non si può dire che in Savonarola siano vive, nonostante le apparenze, posizioni teocratiche. Ma dove il Luotto assume una posizione originale è sul tema della profezia del Savonarola, quando afferma che essa (che consiste nell’affermazione che la Chiesa si deve rinnovare, che questa renovatio non è opera umana ma divina, che Dio opera mediante il castigo, i flagella, e che quest’opera avverrà presto, è già alle porte) è il centro più significativo, capitale per capire il Savonarola. Il Pastor aveva infatti abbassato la profezia di Savonarola a visione e sogno, e definito Savonarola come un fanatico sognatore «trascinato nel cerchio magico di visioni e di sogni», entro una «sovreccitazione nervosa». Il Luotto invece cita Tommaso e la Summa nella II-II, dove si ha una trattazione su cosa sia la profezia post-cristica; il Pastor arriva a negare che una profezia possa sussistere dopo l’Antico Testamento, cioè che non esista un ruolo della profezia nel Nuovo Testamento e nella Chiesa, e – seguendo il gesuita Grisar – a ritenere che in ogni caso il Savonarola avrebbe dovuto sottoporre la sua profezia al giudizio e all’approvazione della Santa Sede. Se pure di profezia si tratta, essa poi dipenderebbe da quella di Gioacchino da Fiore, dal suo millenarismo utopistico. Qui si può constatare come il Pastor manchi di una sufficiente consapevolezza culturale-teologica, e per questo Luotto ha buon gioco; cita e usa la II-II della Summa Theologiae di Tommaso, dove si tratta della profezia nel Nuovo Testamento, e si guarda bene dal confondere il millenarismo con la profezia, sapendo che la profezia è un messaggio relativo alla storia, non alla fine di essa; relativo ad un cambiamento storico nel futuro più o meno vicino, non ad una palingenesi di perfezione che si realizza sulla base di un modello su cui misurare la storia.
Questo a me pare il risultato positivo più rilevante nella critica del Luotto. L’altro argomento scottante restava la disobbedienza del Savonarola ad Alessandro VI e la sua scomunica del 1497. Il Pastor svela qui, meglio che altrove, come la sua concezione storiografica, nonostante tutta l’obiettività dell’analisi e la cura documentaria, sia guidata da un’intenzione apologetica (non so se perfettamente cosciente), alla fine papista, “papacentrica”: o, detto forse meglio, una concezione ecclesiologica centrata totalmente sul sacro escludendo il mistico: voglio dire, con sacrale, quella concezione che, tenendo conto soprattutto della distanza e differenza tra l’uomo e Dio, ritiene che la mediazione tra i due sia indispensabile, e dunque innanzitutto sia necessaria la struttura ecclesiastica con tutte le sue «cerimonie» come le chiama il Savonarola; mentre con mistico vorrei qualificare quella concezione che pensa che l’uomo sia sì del tutto diverso da Dio, ma possa, proprio da questo fondamento, mediante l’incarnazione e la crocifissione del Figlio, comunicare con Dio e unirsi a Lui. Il Pastor è evidentemente solo per il sacro, non pare conoscere i carismi e il loro ruolo nella Chiesa, e così costringe Savonarola in un quadro in cui non può rientrare, proprio perché Savonarola è un profeta, sente su di sé e dentro di sé una voce che lo guida e lo fa parlare.
Così il Pastor sostiene che la scomunica, anche se ingiusta, va sempre rispettata, pena il rovesciamento di ogni ordine ecclesiastico. Il Luotto non è meno convinto cattolico del Pastor, ma ha una diversa concezione della fede e della Chiesa, insieme sacrale e mistica, e perciò una possibilità di comprensione più ampia e ricca del fenomeno religioso, e si rende perfettamente conto che Savonarola, sulla scorta di Tommaso d’Aquino, ancora una volta, è perfettamente ortodosso anche su questi delicati temi, e confuta il Pastor sia con argomenti teologici, sia sulla base dei canoni, per cui una scomunica è valida solo se sono vere le motivazioni per cui è stata emessa. Dunque, conclude Luotto, ricordando una frase di Pietro negli Atti degli apostoli (At 5, 29), si deve obbedire a Dio anziché agli uomini, e mette in parallelo con questa posizione una frase del Savonarola stesso, per cui se il papa ordina contro il Vangelo, o contro la carità, questa «non è più Chiesa romana», si verifica una sorta di condizione di sede vacante. E infine il cristiano ha il dovere di disobbedire, se ciò corrisponde alla sua coscienza: il foro della coscienza rappresenta infatti un momento assoluto. Forse nel Pastor pesava il fatto che alcune e non secondarie tematiche di Savonarola erano poi le stesse tematiche che pochissimi anni dopo di lui avrebbe assunto Martin Lutero, che tuttavia le aveva risolte in direzione opposta a Savonarola.
Luotto non ha queste preoccupazioni. È forse un po’ ingenuo, ma di libero giudizio, e di una schiettezza di cristiano autentico che sa apprezzare senza pregiudizi quello che trova nella storia, vede l’impegno della gerarchia cattolica per la verità, ma afferma anche la libertà del cristiano. Il suo è certamente un Savonarola più vero di quello del Pastor, e senza dubbio la storiografia nell’ultimo secolo, nonostante l’ipotesi diversa del Weinstein e l’opposizione quasi cieca del Cordero, ha dato ragione soprattutto a lui, al professore di Villafranca d’Asti.


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