Per una evoluzione dei rapporti fede-ragione
del cardinale Pierre Eyt

Miniature tratte dall’evangelario dell’abbazia benedettina di Groß Sankt Martin, a Colonia, dell’inizio del XIII secolo, ora conservato nella Biblioteca Reale di Bruxelles. Gesù lava i piedi agli apostoli
Sono sommamente riconoscente al cardinale Ratzinger per aver evidenziato in San Giovanni l’identificazione tra “Logos” e “Amore”. La comprensione del cristianesimo è legata al farsi persona del “Logos” e dell’“Amore” in Gesù Cristo. Ma, mi permetto di sollevare un’obiezione al cardinale su un altro aspetto della sua argomentazione. Ratzinger ribadisce nel suo testo una sua vecchia tesi degna di nota sulla scelta decisiva del cristianesimo antico contro la religione (pagana) e in favore della filosofia (cfr. Einführung in das Christentum, Kösel-Verlag, München 1968). Allo stesso modo, il cardinale sottolinea oggi come nel cristianesimo antico «natura, uomo, Dio, ethos e religione» sono indissolubilmente legati. In questo nesso vi è il cammino unico della razionalità e della verità. Ciò che allora appariva come essenziale continua ad esserlo ancora oggi benché, dal punto di vista culturale, siamo molto lontani da quell’epoca. I legami fondamentali tra «natura, uomo, Dio, ethos e religione» hanno «proprio aiutato il cristianesimo a vederci chiaro nella crisi degli dei e nella crisi dell’antica razionalità» (quella dei culti e dei miti dell’antica religione pagana). Tale è, sottintende Ratzinger, il cammino che la nostra modernità dovrebbe intraprendere oggi per salvare la natura, l’uomo, Dio, l’ethos e la religione. In ciò riconosciamo le linee portanti dell’enciclica Fides et ratio.
Una questione di metodo
La mia obiezione prende l’avvio da ciò che io interpreto come un’omissione, una dimenticanza forse, di Ratzinger. Nella sequenza che egli riporta (natura, uomo, Dio, ecc.) non menziona il diritto. Ora, sotto ogni aspetto, il diritto è un concetto centrale nella romanità antica, così come lo era nel cristianesimo primitivo. È noto che il diritto penale romano ha accompagnato l’evoluzione del cristianesimo antico. Questo è stato dapprima vittima del diritto della spada (persecuzioni) e, successivamente, i cristiani, certo con discussioni al loro interno, si appellarono al “braccio secolare” contro i pagani, i barbari, gli eretici.
Per citare il documento più emblematico dell’epoca, il decreto dell’imperatore Teodosio del 27 febbraio 380 stabilisce che «solo coloro che seguono il papa Damaso [366-384]... hanno il diritto di dirsi cattolici». «Tutti gli altri […] devono aspettarsi anzitutto la vendetta divina, poi anche il nostro castigo, secondo la decisione che noi abbiamo tratto dall’ispirazione celeste» (Hugo Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, Milano 1970, p. 63).
Se dunque nell’Antichità vi è un nesso indissolubile tra natura, uomo, Dio, ethos e religione, per restare fedeli alla storia bisognerebbe aggiungere il diritto e il diritto nella sua forma coercitiva e penale. In questo modo la razionalità elogiata dal cardinale Ratzinger assume un significato più completo. Il nostro rapporto con l’antichità cristiana diventa altresì più complesso di quanto la dimostrazione lasci supporre così come si rivela più problematico ciò che Ratzinger intende con «forza persuasiva del cristianesimo dei Padri».

Gesù deposto dalla croce
Perché allora sono stati sottovalutati il diritto e i problemi istituzionali? Forse perché ci troviamo qui di fronte a una difficoltà, che per la Chiesa è quotidiana e drammatica, alla quale non sempre si riesce a dare una risposta quando invece è necessario prendere una decisione e mettere la parola fine. Non conta se siamo vescovi residenziali o cardinali di curia, il diritto e le decisioni, i giudizi richiesti dal corso delle istituzioni non ammettono deroghe o indugi. I responsabili sono con le spalle al muro. Il dibattito teorico può mancare di chiarezza, ma le decisioni pratiche debbono essere prese quando viene il momento. Si capisce pertanto come in un contesto di riflessione teologica gli elementi relativi ai «problemi delle istituzioni» e «delle persone» abbiano difficoltà a trovare il loro posto.
L’intervento del cardinale Martini al Sinodo per l’Europa
Quanto detto solleva un interrogativo di ordine più generale. Il cardinale Ratzinger lo fa in maniera magistrale, ma anche tutti i cattolici nel loro complesso sanno farsi eco delle questioni teoriche, filosofiche, politiche, bioetiche, teologiche contemporanee. Ma per molti di noi accade anche che, passata la fase del dialogo e venuto il momento di trarre le conseguenze istituzionali di tali problemi, la nostra ricerca si arresti bruscamente e in maniera inprevedibile. Le nostre conclusioni soddisfano solo di rado i nostri interlocutori. Il meno che si possa dire è che essi non percepiscono la “razionalità” e la verità. Nel momento in cui sembra che potremmo giungere a una conclusione, segniamo il passo senza superare il problema iniziale. Come è noto, al Sinodo per l’Europa il cardinale Martini ha enumerato alcuni di questi «nodi disciplinari e dottrinali»: la posizione delle donne nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la pratica penitenziale, il rapporto con le Chiese sorelle dell’ortodossia, il bisogno di risollevare la speranza ecumenica, il rapporto tra la democrazia e i valori, il rapporto tra le leggi civili e la legge morale.
Ci sono delle possibili evoluzioni
Il tempo che stiamo vivendo è contrassegnato da una profonda evoluzione della coscienza morale e giuridica. Non potrebbe questa evoluzione portarci qualcosa di nuovo e di più chiaro, qualcosa che si presenti con una “razionalità” diversa da quella dell’Antichità e del Medio Evo? Alludo ad esempio, per restare nel nostro ambito, all’evoluzione del pensiero del papa Giovanni Paolo II sulla pena di morte, da cui consegue almeno in parte l’evoluzione del Catechismo della Chiesa cattolica. Penso anche, nel contesto in piena evoluzione del dialogo interreligioso, allo statuto della nozione di “tolleranza”, ricordata dal cardinale Ratzinger nel suo intervento.
Su questi temi che ci pongono interrogativi profondi, la riflessione in seno alla Chiesa non può chiudersi sull’invocazione di un’età dell’oro, sempre problematica. Non possiamo, al contrario, esporre ulteriormente alcuni nostri concetti e alcune nostre pratiche alla provocazione della razionalità e della sensibilità di oggi e, verosimilmente, di domani? Noi francesi e cattolici siamo convinti che la razionalità non è nata con i Lumi. Essa ci viene da più lontano, dalla Sapienza e dal Logos. Ma sappiamo anche che i Lumi non hanno totalmente soffocato nelle generazioni presenti l’aspirazione e l’accesso alla razionalità e alla verità. Il nostro augurio è di poterlo testimoniare meglio nella città terrena e nella Chiesa 2000 anni dopo nostro Signore Gesù Cristo.