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CHIESA
tratto dal n. 04 - 1999

«Anche l’inizio della fede proviene dal cuore di Gesù»


Solo il vedere in atto ciò che il Signore opera può suscitare, anche in chi non crede, una domanda e un interesse reali per il cristianesimo. Intervista con Estanislao Esteban Karlic, arcivescovo di Paraná e presidente della Conferenza episcopale argentina


Intervista con Estanislao Esteban Karlic di Gianni Valente


Un particolare delle vetrate della Cattedrale di Chartres (XII-XIII secolo), Francia: Gesù con i discepoli prediletti Pietro, Giacomo e Giovanni

Un particolare delle vetrate della Cattedrale di Chartres (XII-XIII secolo), Francia: Gesù con i discepoli prediletti Pietro, Giacomo e Giovanni

Scriveva il teologo protestante Reinhold Niebuhr: «Nulla è così inconcepibile quanto la risposta ad una domanda che non si pone». È una constatazione che può tornare alla mente, quando si considerano le tante iniziative che oggi nella Chiesa si inscrivono sotto l’insegna della mobilitazione missionaria, della cosiddetta nuova evangelizzazione. Tante analisi e programmi con intenzioni anche generose. Con la smania di individuare continue “sfide” da lanciare al mondo. Ma è come se mancasse qualcosa, qualcosa che viene prima.
Sulle idee oggi prevalenti riguardo alla nuova evangelizzazione 30Giorni ha dialogato con l’arcivescovo di Paraná Estanislao Esteban Karlic. Settantatré anni, argentino di origine croata, attuale presidente della Conferenza episcopale argentina, Karlic ha partecipato alla stesura del Catechismo della Chiesa cattolica specialmente per la parte riguardante i sacramenti. Ha insegnato teologia dogmatica nel Seminario di Cordoba e presso la facoltà di Teologia di Buenos Aires. Ma è anche da tutti apprezzato come un pastore semplice, un uomo di preghiera.

Eccellenza, il millennio si conclude e tutta la Chiesa sembra avere all’ordine del giorno un solo punto: come realizzare la nuova evangelizzazione.
ESTANISLAO ESTEBAN KARLIC: In effetti, nell’approccio verso l’evangelizzazione non sono in ballo solo opinioni e gusti differenti sui modi in cui la Chiesa deve realizzare la sua missione apostolica. Alla radice, il diverso modo di concepire l’evangelizzazione si fonda su distinzioni profondissime che chiamano in causa la natura stessa della Chiesa e del cristianesimo.
Qual è, secondo lei, la vera natura della missione cristiana?
KARLIC: L’azione evangelizzatrice è un’azione della grazia. In essa si continua la missione di Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo. La sollecitudine missionaria è una manifestazione, libera e gratuita, del mistero della vita intima di Dio, fuori di Dio stesso. Questa realtà essenziale sembra offuscata, snaturata, non riconosciuta nei pur incessanti richiami alla mobilitazione missionaria. Che riducono la missione cristiana ad un progetto degli uomini di Chiesa, un programma, uno sforzo ulteriore.
Secondo molti, per realizzare l’evangelizzazione nelle condizioni attuali occorre prima preparare il terreno. Nel gergo ecclesiastico si parla di “pre-evangelizzazione”.
KARLIC: Anche le migliori intenzioni possono diventare peccati, peccati di superbia. Questo avviene quando pensiamo di poter aprire noi le strade alla grazia. E che la disposizione ad accogliere la grazia sia l’esito di una nostra preparazione, di un nostro lavoro. La preparazione, la buona disposizione ad accogliere la grazia sono già un atto della grazia, un dono che non è posto per iniziativa dell’uomo. Questo è stato chiaramente insegnato al Concilio di Orange, che ho tante volte riletto e citato quando insegnavo il trattato della grazia. Anche l’inizio, l’inizio della fede, è già un atto che proviene dal cuore di Gesù. Chi non riconosce questo, inevitabilmente ricade nell’errore dei semipelagiani. Secondo loro la preparazione, la disposizione ad accogliere la grazia sarebbe opera e responsabilità dell’uomo, insita in noi naturalmente. E la grazia sarebbe solo un aiuto per confermare la disposizione dell’uomo alla salvezza. Sono convinto che solo un cristiano con la sua fede può cogliere veramente la risposta che la Chiesa ha dato al semipelagianesimo, che pure oggi sembra improntare tante espressioni ecclesiali.
Tanta azione pastorale di oggi si ispira a questo criterio: per vincere la mancanza di interesse nei confronti del cristianesimo occorre prima dimostrare culturalmente la verità della posizione cristiana.
KARLIC: Che torni a fiorire un interesse, una domanda vera sul cristianesimo è già, anche questo, un fatto di grazia. I canoni del Concilio di Orange erano chiari: lo stesso desiderio di credere, per il quale «giungiamo alla rigenerazione del sacro battesimo» è già esso stesso un dono della grazia. Una domanda vera, un interesse umano reale per il cristianesimo, è già la grazia a suscitarli. Se manca questo, le parole più o meno interessanti degli uomini di Chiesa aumentano forse solo il vuoto e il senso di estraneità. La vita di grazia non è un premio alla nostra domanda o una conquista guadagnata dalla nostra disposizione. Anzi, è accogliere l’azione della grazia in atto che ha suscitato anche la domanda. Scrive san Paolo nella lettera ai Romani, ricordando il profeta Isaia: «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non si rivolgevano a me».
Monsignor Estanislao Esteban Karlic, 
arcivescovo di Paraná. Questa intervista continua la serie di incontri con i vescovi diocesani iniziata con Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo di Pamplona (Domandare 
e guardare a chi crede, ottobre 1997), 
e proseguita con Alessandro Maggiolini, vescovo di Como (Povere e sublimi comunità, dicembre 1997)

Monsignor Estanislao Esteban Karlic, arcivescovo di Paraná. Questa intervista continua la serie di incontri con i vescovi diocesani iniziata con Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo di Pamplona (Domandare e guardare a chi crede, ottobre 1997), e proseguita con Alessandro Maggiolini, vescovo di Como (Povere e sublimi comunità, dicembre 1997)

Un altro tratto comune di tanti discorsi sull’evangelizzazione è l’invito a trovare il cristianesimo dentro di sé attraverso una riflessione interiore.
KARLIC: Dio è il totalmente Altro da noi. Ma allo stesso tempo, come diceva Agostino, è più intimo a me di me stesso. Ambedue queste cose sono vere. L’incontro con Gesù è sempre una novità che accade mentre noi magari stiamo pensando ad altro. Questo incontro ha ovviamente una risonanza interiore. È la risposta a tutti i desideri, è come un dono che risponde ad un altro dono precedente che ci ha fatto il Signore, il dono della vita con i suoi impulsi e le sue domande. Ora, l’incontro con Cristo soddisfa questi desideri, ma li soddisfa in misura impensata, inimmaginabile, oltre ogni possibile attesa.
Come vivere, allora, l’evangelizzazione?
KARLIC: L’evangelizzazione è, come scrive san Paolo ai Corinti, «la testimonianza di Cristo». Cioè l’incontro con persone che dentro le condizioni normali della vita rifulgono della fede, della speranza e della carità, come dice la Lumen gentium al numero 31, descrivendo i cristiani come coloro che sono chiamati da Dio a «rendere visibile Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, col fulgore della loro fede, della loro speranza e della loro carità (fide, spe, caritate fulgentes)».
Sempre, nella vita cristiana, l’inizio è uno stupore davanti a una cosa bella a vedersi. Oggi questo è, se possibile, ancora più evidente.
Ci spieghi perché.
KARLIC: La nostra fragilità, la nostra debolezza rendono ancora più evidente che quello che accade di buono e di bello tra di noi cristiani è opera del Signore. Il riverbero della grazia nella vita dei cristiani, che possiamo chiamare grazia creata, non ha un fondamento proprio, non dura, non può essere trattenuto se è separato da Colui che dona la grazia. Così, tutte le certezze e le verità cristiane, separate dalla grazia, non hanno reale forza persuasiva. Di recente un vescovo del Laos venuto a Roma per incontrare il Papa ha detto: «La nostra Chiesa è come un bambino salvato dalle acque». Mi sembra questa la condizione della Chiesa dovunque. Oggi è ancora più evidente ciò che Gesù ha detto ai suoi: «Senza di me non potete far nulla». Per questo, condizione e dimensione della testimonianza è la preghiera. Chiedere al Signore che faccia risplendere con la sua grazia la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità.


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