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A VENT’ANNI...
tratto dal n. 04 - 2000

La serenità di quell’ultimo giorno


Fernando Sáenz Lacalle, arcivescovo di San Salvador, ricorda le ore passate insieme al suo predecessore martire, in un’escursione al mare in compagnia di altri sacerdoti


di Gianni Valente


La tomba di Romero a San Salvador

La tomba di Romero a San Salvador

«A Romero mi univa un’amicizia personale profonda. Ci fu un tempo, prima della sua nomina ad arcivescovo, in cui fui il suo direttore spirituale. Ma di questo non voglio parlare...».
Fernando Sáenz Lacalle, arcivescovo di San Salvador, stende un velo di riserbo sull’intimità di frequentazioni che ebbe col suo predecessore martire.
La nomina di questo spagnolo di 69 anni, sacerdote dell’Opus Dei, alla sede che fu di Romero è stata da molti letta come una normalizzazione ecclesiastica. Anche la sua insistenza nel ricordare la salda dottrina e la spiritualità ascetica di Romero sembra ad alcuni strumentale: come se esaltare il Romero sacerdote pio e asceta servisse a mettere in ombra i suoi giudizi sulla situazione sociale che pure, in Romero, sgorgavano dal cuore stesso della fedeltà alla Tradizione.
Eppure, anche i più critici riconoscono che tra don Fernando e monseñor Romero vi fu autentica amicizia. Sáenz Lacalle, nella sua omelia durante la messa del 24 marzo in Cattedrale, ha invitato a pregare «affinché un giorno la Chiesa, in virtù dell’infallibilità del Papa, dichiari ufficialmente che monsignor Romero è martire». Il giorno stesso del suo martirio, Romero passò proprio in compagnia del suo successore l’intera mattinata, e pranzarono anche insieme. Proprio il ricordo di quelle ultime ore condivise si accompagna, nel racconto di Sáenz, ad un’impressione indelebile: «Per le circostanze e gli episodi che segnarono quelle sue ultime ore, parve quasi che la divina Provvidenza volesse facilitargli le migliori disposizioni per il suo incontro con Dio».

Per quale motivo, quel giorno, vi incontraste?
FERNANDO SÁENZ LACALLE: Romero partecipava, di tanto in tanto, ad incontri informali che io organizzavo per conto della Società sacerdotale della Santa Croce (l’istituzione sacerdotale dell’Opus Dei, ndr). Si trattava a volte di ritiri spirituali, altre volte di riunioni per programmare qualche conferenza, o di conversazioni su temi specifici della vita della Chiesa. Da quando era stato eletto arcivescovo, preso com’era da mille cose, gli era difficile partecipare a queste riunioni. Ma proprio quella mattina del 24 marzo, dopo diversi rinvii, era finalmente riuscito a trovare un po’ di tempo... Lo andai a prendere all’hospedalito alle dieci di mattina.
Ci dirigemmo verso il mare. C’era lì un centro per la pastorale giovanile. Avevamo in programma di dialogare su un recente documento pubblicato dalla Congregazione vaticana per gli studi e i seminari, in cui si davano indicazioni circa l’istituzione e il funzionamento dei seminari propedeutici, i cosiddetti seminari minori.
Eravamo solo in cinque. Fu sufficiente una macchina. Ricordo che, lungo il tragitto, recitammo insieme il rosario.
Celebrazioni in onore di Romero 
nel villaggio di San Carlos, nella regione 
del Basso Lempa, in presenza 
del vescovo di Zacatecoluca, 
il salesiano Elías Samuel Bolaños Avelar

Celebrazioni in onore di Romero nel villaggio di San Carlos, nella regione del Basso Lempa, in presenza del vescovo di Zacatecoluca, il salesiano Elías Samuel Bolaños Avelar

Come passò quella giornata?
SÁENZ LACALLE: Quando giungemmo alla casa sul mare, la trovammo chiusa e non c’era neanche il custode, che pure era stato avvertito. Aspettammo un po’, poi io scavalcai il recinto. Andai ad aprire il cancello agli altri, ma nel frattempo anche monsignor Romero si era arrampicato, e lo vedemmo ridiscendere dal recinto all’interno del giardino. Ridemmo un po’ di questo contrattempo.
Ci mettemmo all’ombra di una palma, e leggemmo e commentammo il documento. Poi, camminammo un po’ lungo la spiaggia, e qualcuno fece anche il bagno. All’ora di pranzo, non potendo entrare in casa, apparecchiammo sull’erba i piatti e le vivande che ci eravamo portati dietro. Insomma, era come un picnic nel giardino di casa! Alla fine del pranzo arrivò anche il custode della casa, ci chiese scusa perché aveva fatto confusione sulla data del nostro incontro. Faceva molto caldo. Dopo pranzo, Romero fece anche una piccola siesta su una sedia a sdraio.
Di cosa parlaste durante il pranzo?
SÁENZ LACALLE: Ricordo bene che, durante la conversazione, parlammo anche dei martiri cristeros del Messico, perché tra i presenti c’era un sacerdote messicano. Tra le altre cose, Romero mi chiese di occuparmi dei paramenti preziosi conservati nella sacrestia della Cattedrale. In quei giorni, la Cattedrale era ancora in costruzione, e per di più era occupata dai militanti delle organizzazioni popolari. In quegli anni, venne occupata per ben quaranta volte. Gli occupanti si preparavano da mangiare nella sacrestia, e c’era il pericolo che gli oggetti lì conservati subissero qualche danno. Per questo Romero incaricò il parroco della Cattedrale, lì presente, di affidarmi in custodia almeno i paramenti antichi, che io ho riportato in Cattedrale quando sono terminati i lavori di costruzione. Poi parlammo anche del seminario e di alcune iniziative economiche che servivano a finanziarlo.
Come le sembrò, in quelle ore, Romero?
SÁENZ LACALLE: In quella giornata Romero era sereno. Quella convivenza tra amici, la recita del rosario, gli argomenti di conversazione, il poter parlare di problemi pastorali che gli stavano a cuore, anche il contrattempo della casa chiusa, e quell’ultimo pranzo consumato per terra, in allegria e umiltà, tutto questo gli diede un po’ di respiro, in mezzo alla pressioni terribili che stava sopportando in quei giorni. Poi ci disse: «Perdonatemi, ma devo tornare in città, nel pomeriggio ho un impegno». Così, lo riaccompagnammo all’hospedalito.



La messa di suffragio celebrata a Roma nella Basilica dei Santi XII Apostoli per l’anniversario della morte di Romero, il 30 marzo scorso, su iniziativa del Centro
interconfessionale per la pace (Cipax)

La messa di suffragio celebrata a Roma nella Basilica dei Santi XII Apostoli per l’anniversario della morte di Romero, il 30 marzo scorso, su iniziativa del Centro interconfessionale per la pace (Cipax)

TESTIMONIANZE. Un sacerdote ricorda

I contadini commentano il Vangelo

A Tierra Blanca, laggiù in quei campi di cotone, in quei latifondi, giunse una domenica a celebrare messa.
«Monsignore» gli dissi «è nostra abitudine fare le letture della liturgia e poi invitare quelli che vogliono a dire qualcosa al riguardo. Alla fine, il sacerdote che presiede riassume quello che hanno detto e aggiunge o rettifica ciò che crede bene. Oggi toccherebbe a lei mettere il punto finale. Che gliene pare?».
Quella domenica c’era il Vangelo che narra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giunta l’ora delle osservazioni personali, Juan Chicas chiese la parola: «A me questa lettura ha fatto capire che il ragazzo che aveva nella sua sporta i cinque pani e i due pesci fu senz’altro lui a obbligare Cristo a fare il miracolo».
Nel momento stesso in cui monsignore sentì tirar fuori quella parola, “obbligare”, lo interruppe: «Ragazzo mio, chi pensi tu che potesse obbligare Cristo a fare alcunché?! Cristo era libero!».
Ma Juan Chicas non ne fu intimorito. «Mi permetta, monsignore, un momento solo e vedrà che è proprio così. Io dico che lo obbligò perché cinque pani e due pesci non erano nulla, trattandosi di dar da mangiare a quella marea di gente; erano però anche tutto quello ch’egli aveva. Nulla e tutto allo stesso tempo, sta qui il punto! Allora che cosa è successo? Che non appena il ragazzo da parte sua mise tutto quello che aveva, Gesù non avrebbe potuto essere da meno e dovette fare tutto quello che era in suo potere! Ma lui poteva fare miracoli! E così ne ha fatto uno!».
Monsignore lo guardò fisso e rimase in silenzio. Seguirono altri commenti. Alla fine, toccava a lui concludere la liturgia della parola: «Mi ero preparato una lunga omelia per quest’occasione» disse «ma ormai non ce n’è più bisogno. Dopo avervi ascoltato, mi viene da ripetere solo quello che disse Gesù: “Grazie, Padre, perché hai rivelato la verità ai semplici e l’hai nascosta a quelli che la sanno lunga”».
Ritornammo a Jiquilisco.
«Pensi un po’, padre, che io avevo delle obiezioni nei confronti di questi contadini» mi dice nel salutarmi «ma ora vedo che essi commentano meglio di noi la parola di Dio. Colgono nel segno».

Juan Macho



TESTIMONIANZE. Un amico di Romero

«Io invece ho paura di morire…»

Amonsignor Romero piaceva il mare: contemplarlo in silenzio, nuotare, benché non fosse tanto amante dello sport.
Prendeva con sé il breviario per le sue preghiere. E soprattutto si portava dietro un sacco di libri, da sembrare una biblioteca ambulante. Né mancava mai l’amaca. Cercava alcuni pali, vi fissava la sua amaca e vi si adagiava dentro: quello che faceva era preparare la sua omelia delle domeniche.
«Senti un po’, tu, che impressione ti sembra che faccia così…?».
A volte commentava con me quello che pensava di dire nell’omelia. In quanti temi, troppi!, si addentrava nella sua predica! Non smetteva mai di parlare. Col vantaggio di non ripetersi mai. Perché se gli capitava qualche volta di celebrare cinque messe e di pronunciare cinque omelie, in tutt’e cinque non si ripeteva di una sola virgola. Non era affatto un pappagallo! Altro vantaggio della sua oratoria: per quanto lunghe fossero le sue omelie, nessuno si addormentava, neppure i bambini.
Una volta eravamo al mare. Io a crogiolarmi al sole come una lucertola e monsignore in calzoncini con un libro semiaperto tra le mani. Il sole cominciava a dar segno di volersi nascondere.
«Non fa il bagno oggi...?» gli dissi.
«Abbiamo mangiato tanto che ho paura... Può darsi che, se scendo in acqua, mi venga una congestione, e ci rimanga!».
Monsignor Romero se ne stette un certo tempo così, in silenzio, osservando fisso quella frontiera tracciata dalla sottile linea azzurra dell’orizzonte...
«Senti un po’» mi disse «tu non hai paura di morire?».
«No, io no, assolutamente!».
«Io invece sì, io sì...».
«Lei ha paura certamente perché in cielo non avrà più da predicare, lassù non troverà qualcuno a cui fare delle omelie!».
«Non fare lo screanzato, diamine. Sai di che cosa sentirò maggiormente la mancanza in cielo...? Di non mangiare più fagioli e aguacate. Sarà questa la cosa peggiore».

Salvador Barraza

Testimonianze tratte da:
Oscar Arnulfo Romero, un mosaico di luci,
di María López Vigil, Editrice missionaria italiana


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