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INCONTRI
tratto dal n. 10 - 1998

Michail Gorbaciov sui vent’anni di pontificato di Giovanni Paolo II

Wojtyla, slavo e umanista


«C’era qualcosa tra noi, come un filo invisibile, un “filo slavo”, impercettibile, ma presente. È stato sempre un fermo e convinto difensore delle idee dell’umanesimo. È stato un grande umanista. Ma non c’era tra noi un rapporto come tra maestro ed alunno». Così l’uomo della perestrojka ricorda i suoi incontri con il Papa polacco. Intervista


Intervista con Michail Gorbaciov di Giovanni Cubeddu


Presidente Gorbaciov, iniziamo questa intervista…
MICHAIL GORBACIOV: In Russia c’è un detto: «Uno, due, tre quattro, cinque, il bambino è uscito per strada, è finito nelle mani dei giornalisti, e non può più scappare!»…
Si celebrano venti anni di pontificato di Giovanni Paolo II. A cosa le fa pensare questa ricorrenza?
GORBACIOV: Credo che in quegli anni, che possiamo senza dubbio definire drammatici, quando il mondo si è trovato sulla soglia di una situazione che poteva minacciare l’esistenza stessa del genere umano; quando diversi muri hanno diviso il mondo, finito in una situazione di violento confronto e di lotta, anche pericolosa e per nulla normale, e quando, in quel medesimo momento, si erano create situazioni in cui il genere umano doveva affrontare problemi che avrebbero richiesto l’unità degli sforzi, e invece gli uomini si trovarono divisi… ecco, quanto in quel momento realmente compiva il Papa con la sua voce lo ha reso uno degli uomini più eminenti, che hanno giocato un ruolo importantissimo perché noi potessimo cambiare la situazione in meglio. Lui è stato, e rimane, una persona che è uscita anche al di fuori della sua propria missione spirituale. Non è stato fermato né dagli attentati contro di lui né dalle minacce. È stato sempre un fermo e convinto difensore delle idee dell’umanesimo. È stato un grande umanista.
Se, come lei afferma, Wojtyla è stato una personalità che «è uscita anche al di fuori della sua propria missione spirituale», dove crede che la sua azione, in questi venti anni, abbia avuto più successo?
GORBACIOV: Non ho mai studiato la cronologia dell’operato di Giovanni Paolo II, ma so che si è sempre pronunciato contro la corsa agli armamenti nucleari, per utilizzare invece le risorse impiegate dal nucleare per combattere le malattie, la povertà, per canalizzare le energie ed affrontare le sfide globali del mondo moderno. Prima di tutto voglio ricordare la sua enciclica dedicata ai problemi ecologici. Certo, lui usciva dalla sfera spirituale, a volte parlava come un politico. Ma più che del politico, direi, spesso ricopriva il ruolo del profeta… Anche questo è normale. Ma soprattutto ritengo che la sua autorità fosse nel campo spirituale e nella sua posizione umanistica.
C’è qualcosa che lei crede di aver imparato da papa Wojtyla e qualcosa che invece crede di avergli testimoniato con la sua vita politica e personale?
GORBACIOV: Non ho mai fatto questi paragoni e penso che neanche lui li abbia fatti. Ma noi abbiamo collaborato. Ci siamo incontrati di persona, abbiamo avuto uno scambio di idee, ci siamo scritti, e su molti problemi della vita e del mondo contemporaneo le nostre opinioni coincidevano. Però io ero un politico e lui il Papa di Roma, e ognuno giocava il suo ruolo. Lui sapeva cosa io facevo e dicevo e io sapevo cosa lui faceva e diceva. Ma non c’era tra noi un rapporto come tra maestro ed alunno. C’era invece una grande comprensione e coincidenza di opinioni, una stessa visione del mondo e gli stessi pronostici.
Avete mai vissuto momenti di scontro, di polemica?
GORBACIOV: Non direi.Abbiamo sempre avuto delle conversazioni aperte, oneste. Abbiamo discusso anche su problemi delicati, sul cattolicesimo, sul mondo ortodosso, anche sulla libertà di religione e su molto altro.
Qual è l’episodio del suo rapporto con il Papa che le è rimasto più impresso nella memoria?
GORBACIOV: Il primo incontro, sicuramente. Per i primi dieci minuti abbiamo cercato di parlare in russo, però non ci siamo riusciti e quindi ci è servito l’aiuto di un traduttore. Però io ho apprezzato molto questo suo desiderio. Sì, c’era qualcosa tra noi, non lo voglio tenere nascosto, qualcosa come un filo invisibile, un “filo slavo”, impercettibile, ma era presente. E questo certamente rende i nostri rapporti più umani. Naturalmente ciò non è la cosa principale.
Quale posto poteva occupare la Chiesa cattolica di Wojtyla nell’era Gorbaciov e quale posto lei pensa possa occupare oggi nel regime di Eltsin?
GORBACIOV: Ho già detto quale posto ha occupato e quello che ha ottenuto in seguito. Io continuo ad avere lo stesso atteggiamento, anche oggi, anche da quando mi sono dimesso dagli affari di Stato.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, rivolgetela ad Eltsin, avrete una risposta più dettagliata. È più corretto che risponda direttamente Eltsin…
Adesso le vorrei porre una domanda un po’ maliziosa…
GORBACIOV: La malizia è una delle caratteristiche dell’intelligenza…
Ha mai creduto nella cosiddetta “Santa Alleanza” tra Reagan e Wojtyla, come l’ha descritta Carl Bernstein?
GORBACIOV: Ma questa cosa la conosce soltanto Bernstein… Io penso che sia una montatura, scritta nel vuoto. Potevano coincidere dei punti di vista su alcune situazioni, delle opinioni tra il presidente Reagan ed il Papa di Roma, allo stesso modo in cui potevano coincidere con le mie, o con quelle di un altro capo di Stato. Ma anche solo immaginare qualcosa di simile ad un complotto tra il Papa ed un capo di Stato sarebbe semplicemente un tentativo di voler gettare ombre sul Papa.
Oggi io parlo con il Papa come allora, parlo della povertà, del fatto che bisogna vedere non solo gli errori del comunismo allorché ha imposto il proprio modello, ma anche gli errori della concezione liberale, che ha trasformato gli uomini. Bisogna vedere tutti i problemi irrisolti del liberalismo, che non ha dato una risposta alle domande sorte nel tempo. Ma questo, certo, non significa che col Papa abbiamo stretto una “Santa Alleanza” per la lotta al liberalismo… Noi parlavamo come uomini che vivevano nello stesso tempo, uomini che avevano un’alta responsabilità spirituale, morale e politica. Tutto il resto è fantasia di una mente malata.
Come ricorda l’azione di papa Wojtyla nei confronti della sua perestrojka in Unione Sovietica? L’ha appoggiata?
GORBACIOV: Sì, lui agiva in questo senso. Al nostro primo incontro mi ha parlato apertamente delle sue opinioni e delle sue difficoltà, ha capito e ha visto come resisteva il vecchio mondo. Non tutti l’hanno compreso e accettato: ma lui ha capito l’ideale e lo scopo della perestrojka, e questo io l’ho apprezzato molto. Certo, non gli ho mai chiesto di esprimere il suo parere, ciò è stato il risultato di uno scambio di opinioni…
Ma nel “crollo del comunismo”, come lo definiscono alcuni storiografi, è stato più “efficace” Wojtyla o Gorbaciov?
GORBACIOV: Dipende cosa intende dire. Se la domanda significa quello che vanno dicendo i rappresentanti del pensiero liberista, e cioè che storicamente il socialismo è finito ed è da gettare nel secchio della spazzatura, allora vi sbagliate di grosso, perché la vita, secondo me, ha dimostrato il contrario: pensiamo alla vittoria del socialismo in Germania, Inghilterra e Francia. Per non parlare dell’Italia…
Invece, per quanto riguarda il modello comunista che è stato imposto e che ha portato al regime totalitario, al monopolio spirituale, economico di un partito, beh, è tutt’altra cosa. Quel modello, che negava la democrazia, il pluralismo politico, la libertà economica, la libertà spirituale, ha subìto una sconfitta. Ma perfino quando questo modello resisteva, c’è stato un tempo in cui la Russia ha realizzato l’industrializzazione, la rivoluzione culturale, si è lanciata nello spazio, è diventata un Paese tra i più colti del mondo.
E allora, la vita segue una strada “contorta”, sì o no? È molto contraddittoria: quel modello ha creato le premesse culturali e scientifiche perché il popolo e la società russi rinunciassero poi a quello stesso modello…
In Russia la gente oggi sta veramente male, la situazione è molto difficile. Non so quale altro popolo sarebbe capace di sopportare ciò che sopporta il popolo russo. I russi vogliono vivere in un Paese libero, non vogliono tornare al dominio del comunismo, così come non vogliono Eltsin e ne richiedono le dimissioni.
Ecco come è la vita: non è sempre un sì, o un no. È un sì, poi un no o qualcosa d’altro, poi un terzo sì… Non è lineare, insomma.


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