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OBLATI DI MARIA IMMACOLATA
tratto dal n. 10 - 1998

«Cristo sceglie persone fatte di niente e di debolezza»


Così scriveva il giorno della sua ordinazione padre Mario Borzaga, un missionario della Congregazione ucciso nel 1960 in Laos. Per lui è iniziata la causa di beatificazione. Ecco la sua storia


di Stefano Maria Paci


Il fondatore della Congregazione, Eugenio de Mazenod, è stato canonizzato il 3 dicembre 1995. Un suo collaboratore, Giuseppe Gérard, da lui inviato in Sud Africa e in Lesotho, è stato dichiarato beato il 15 settembre 1988. E molti altri oblati morti martiri sono sulla strada della canonizzazione, come il gruppo di ventidue missionari uccisi negli anni Trenta durante la guerra in Spagna, come padre Giuseppe Cebula, morto nel campo di concentramento di Mauthausen nel 1941 o don Ludwik Wrodarczyk, trucidato in Ucraina nel 1943. Alla commissione sui martiri costituitasi per la celebrazione del terzo millennio è stata inviata una lista di ben sessantatré missionari oblati.
Tra questi c’è anche il nome di padre Mario Borzaga, un missionario italiano nato a Trento nel 1932 e ucciso in Laos nel 1960. La sua storia mostra la gratuità dell’opera di evangelizzazione: nel 1975 tutti i sacerdoti cattolici, nonostante i loro sacrifici e i loro tributi di sangue, verrano espulsi dal Laos. Ma è anche una storia che evidenzia la grandezza della vocazione missionaria, una vocazione che non censura nulla delle difficoltà, delle paure e delle limitatezze umane.
Mario ha undici anni quando entra in seminario. Dieci anni dopo confida a sua madre: «Sento che il Signore mi chiama a lavorare nelle lontane missioni d’oltremare, là dove tante anime non conoscono ancora Dio». Decide così di farsi missionario oblato di Maria Immacolata. Perché Dio, per farsi incontrare, ha bisogno degli uomini. Scrive infatti nel suo diario: «Cristo ha scelto noi, noi, e non i miracoli, per diffondere il suo Regno».
Mario percepisce che la sua vocazione missionaria non comporta un sacrificio triste. Al contrario, il giovane sacerdote la vive come il compimento del più profondo desiderio del suo cuore. Scrive nel momento in cui pronuncia i voti perpetui: «Ho compreso la mia vocazione: essere un uomo felice».
Chiede di essere inviato nel lontano Laos. Una terra difficile e inospitale. Gli Oblati vi erano giunti nel 1935, ma dopo l’invasione giapponese del 1945 e l’insurrezione del Pathet Lao (un movimento indipendentista di tendenza comunista) che era costata la vita a cinque missionari della Congregazione, le condizioni si erano fatte sempre più critiche. Con cinque confratelli parte da Napoli. Il viaggio dura più di un mese. Alla fine padre Mario arriva a Paksane, piccolo villaggio del Laos centrale. Non nasconde le difficoltà del primo impatto, e il suo scoraggiamento alla vista della dura realtà che l’attendeva. Ma inizia il lavoro apostolico e, sacco in spalla, a piedi o in bicicletta comincia a visitare i villaggi più vicini. Nei mesi seguenti si spinge fino alla regione montagnosa di Phon Hom e Pak Kadine. Poi si trasferisce nelle montagne di Keng Sadok. Vive momenti di profonda solitudine e di sconforto. Scrive: «La mia croce è che detesto amaramente quelli che dovrei amare, i laotiani. Eppure è per loro che dovrei dare tutta la mia vita». E il giorno in cui compie ventisei anni si chiede: «Ancora quanti anni di cammino? Sentinella, quanto è lunga la notte?».
I superiori gli danno una nuova destinazione. Padre Mario va a Kiucatian, nelle montagne del nord del Paese. Lì organizza la scuola di catechismo, amministra i primi sacramenti, cura i malati. Ma un dubbio l’assilla: il Laos potrebbe non essere il luogo adatto a lui. Teme che il suo carattere, troppo timido e incerto, pauroso, sia un ostacolo per la sua missione. Si ricorda che Dio ha bisogno degli uomini, non degli eroi, e rinuncia a chiedere di rientrare in Italia. Il venerdì santo del 1959 è assalito ancora una volta dai timori, e annota: «Ho paura di morire, di divenire pazzo, di essere abbandonato da Dio. Respiro con fatica, ho dei sussulti, ma non è niente. Gesù mi ama comunque, e io l’amo». Intanto, la presenza dei militari comunisti si fa sempre più minacciosa. Don Mario ha paura, e chiede alla Madonna «qualche tenerezza per la mia debolezza che piange e che cade».
Poi, come d’improvviso, come per un miracolo a lungo atteso, padre Mario scopre di amare questi villaggi e questa gente. Il cuore si pacifica. Nello stesso tempo gli viene affidata, come terra di missione, tutta la regione dello Kiucatian. Alla fine dell’anno annota nel diario: «Adesso sono solo con Dio, e Gesù è così vicino a me che non penso nemmeno per un istante di aver paura».
Il 1960 inizia con un lavoro intenso. Attorno a lui vede inaspettatamente crescere il numero delle persone che si convertono al cristianesimo. La sua attività non passa inosservata, ed è incessantemente minacciato dai soldati del Pathet Lao, tanto che deve continuamente fuggire da loro. A metà aprile, gli viene chiesto con molta insistenza di recarsi presso i malati di un villaggio più lontano. Padre Mario sa i rischi che corre, ma non esita a mettersi il sacco in spalla e, accompagnato da un catechista di nome Shiong, si mette in marcia.
Padre Mario e Shiong non torneranno più. Le ripetute ricerche che, nonostante i pericoli, intraprendono i fedeli e gli altri missionari, non daranno alcun risultato. Solo molto più tardi si saprà che è stato ucciso “in odium fidei”, per odio verso la fede. Mario Borzaga aveva annotato nel suo diario il 24 febbraio 1953, il giorno della sua ordinazione sacerdotale: «Cristo che mi ha scelto è lo stesso che ha dato vita e forza ai martiri e alle vergini: erano persone come me, fatte di niente e di debolezza. Anch’io sono stato scelto per il martirio».
Fra non molto questo missionario potrebbe salire “agli onori degli altari”. La santità è dono di Cristo a persone fatte di niente e di debolezza.


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