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STORIA DEI GIUBILEI
tratto dal n. 09 - 1998

«Va’ a Roma dove le strade sono arrossate dal sangue dei santi…


…e dove la via per il Cielo è più breve». Santa Brigida, per seguire questo invito rivoltole da Cristo, giunse nella Città Eterna nell’anno giubilare 1350


di Serena Ravaglioli


«Va’ a Roma dove le strade sono pavimentate d’oro e arrossate dal sangue dei santi e dove, per le indulgenze meritate dai Pontefici, la via per il Cielo è più breve». Fu per seguire questo invito, rivoltole da Cristo e riferito in una delle sue Rivelazioni, che la nobildonna svedese Brigida di Valdstena prese la strada per Roma. Era il 1349, e partendo Brigida si proponeva, oltre che di lucrare il Giubileo indetto da papa Clemente VI, anche di sollecitare presso la Curia romana la conferma papale del suo ordine monastico. Ma ciò che le premeva di più era far conoscere più da vicino il contenuto delle sue visioni, insistendo in particolare per il ritorno del Papa da Avignone.
Brigida non era nuova ai pellegrinaggi, era stato anzi proprio un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, fatto nel 1341 in occasione del venticinquesimo anniversario del suo matrimonio, che le aveva cambiato integralmente la vita. Infatti al ritorno, il marito, che già da tempo viveva con Brigida in clima fraterno, aveva deciso di abbracciare la vita religiosa, entrando nel monastero cistercense di Alvastra. Anche Brigida aveva abbandonato il suo ruolo di dama di corte, dedicandosi a una vita di ascesi e di meditazione, finché nel 1346 non aveva fondato un proprio ordine religioso, dedicato al Santo Salvatore, con sede nel palazzo di Valdstena, donato dai reali di Svezia.
Nel 1349 dunque Brigida lasciò Valdstena e, attraversate Germania, Austria e Svizzera, giunse finalmente in Italia. A Genova si imbarcò per Ostia e arrivò quindi a Roma via mare e non seguendo l’itinerario più classico dei pellegrini, la via Romea. La accompagnavano, fra gli altri, il suo confessore e il suo magister, ambedue di nome Pietro di Olav. Il primo sarebbe stato poi scelto dal vicario pontificio come confessore dei pellegrini svedesi accorsi per il Giubileo. Il secondo assisteva Brigida nello studio del latino; la donna infatti, che fino a quel momento aveva scritto le sue rivelazioni in gotico, facendole poi tradurre a Pietro, in vista dell’arrivo in Italia voleva acquisire essa stessa la padronanza della lingua universale.
La delusione che Brigida provò entrando nella città fu grande. Alla vista della prima delle basiliche che incontrò, San Paolo, in condizioni fatiscenti dopo lunghi anni di abbandono e soprattutto dopo il terremoto di pochi mesi prima, esclamò: «Ohimè, maestro Pietro, è mai questa Roma?». Lo scoramento per le tristi condizioni della città non si sanò mai più. Ma se un altro pellegrino illustre di quello stesso Giubileo, Francesco Petrarca, colpito anch’egli dalla decadenza di Roma, ne sottolineava e ne deprecava soprattutto gli aspetti fisici, ben più preoccupante appariva a Brigida il lato morale del degrado.
Per questa ragione la nobildonna trascorse il tempo del suo soggiorno romano pregando, studiando ed esortando alla conversione e al recupero dei veri valori spirituali e cristiani. Dal palazzo situato presso la Basilica di San Lorenzo in Damaso, messole a disposizione dal proprietario, il cardinale Ugo di Beaufort, fratello di Clemente VI, Brigida senza esitazioni diffondeva i suoi messaggi e le sue invettive. Il problema era che queste non risparmiavano nessuno e che il loro contenuto non era certo tale da riuscire gradito ai destinatari.
Se la prendeva con il Papa, colpevole di restare lontano, con i cardinali, con il clero tutto e anche con il popolo. In sostanza con la città intera: «O Roma, in cambio dei tanti benefici, cattiva è la tua ricompensa»; «il clero e il popolo, che sono il muro di Dio, si disperdono al servizio della carne»; «Roma, Roma, i tuoi muri sono distrutti, le tue porte sono senza custodia, i tuoi altari sono desolati». Perciò Cristo avrebbe punito severamente la città: «Io verrò da loro come non si aspettano: il mio macigno sulla strada vuol dire morte improvvisa, la mia lancia è la mia giustizia che li disperderà così che non vedranno mai più il mio viso, perché io sono lo stesso che dalla croce ha aperto il cielo al buon ladrone e le porte dell’inferno al cattivo».
Particolarmente severo era il giudizio sul clero, dedito a «ogni superbia, cupidigia e diletto della carne», tanto che in una rivelazione avuta in San Pietro, la città era apparsa a Brigida nella forma di un nido di vipere e di scorpioni: «Rospi e vipere vi sono ora dentro e i pesci della mia rete hanno paura del loro veleno e non osano levare il capo. Eppure i pesci si raduneranno ancora nella rete non così numerosi, ma in compenso più gustosi». Le Rivelazioni non sono, peraltro, l’unica fonte che riferisce di comportamenti tutt’altro che edificanti del clero romano in occasione di questo Giubileo: in una lettera del Papa stesso si ha notizia della sua preoccupazione per la venalità dei penitenzieri di San Pietro, che dovettero essere rimossi e sostituiti, e per l’avidità dei canonici della Basilica che trattenevano per sé le elemosine ricevute dai pellegrini invece di devolverle, come era stato stabilito, per il restauro delle chiese rovinate dal terremoto. Avendo deciso di non venire di persona, Clemente VI inviò in sua vece il cardinale Annibaldo da Ceccano perché facesse il possibile per riparare agli abusi e frenare le frequenti violenze che si scatenavano in città. Annibaldo era uno dei cardinali più autorevoli e amava circondarsi di molto sfarzo, cosa che naturalmente non poteva renderlo gradito a Brigida. Quando gli inviò una lettera, sempre per manifestargli quanto fosse essenziale che il Pontefice ritornasse per sanare l’«infelicità» corporale e spirituale di Roma, gli diede l’appellativo di «scimmia», che poi restò attaccato come nomignolo all’irato cardinale. Eppure forse questi avrebbe meritato un poco più di indulgenza, considerando che era impegnato in un’opera veramente gravosa e tale da esporlo alla generale impopolarità. In particolare i romani non avevano gradito la disposizione che consentiva ai pellegrini di abbreviare il tempo del soggiorno a Roma in funzione della distanza percorsa per arrivare. Annibaldo era stato perfino oggetto di un attentato: mentre si recava da San Pietro a San Paolo, una freccia gli aveva trapassato il cappello tanto da indurlo, in seguito, a usare sempre l’elmo.
Per tornare a Brigida, è naturale che la sua voce ammonitrice non suonasse gradita ai romani, che cominciarono a palesarle una aperta ostilità e addirittura a diffondere la voce che fosse una strega, da mandare opportunamente al rogo. Per un certo tempo la donna si allontanò da Roma e si recò a Farfa, spinta anche dalla speranza, risultata poi vana, di contribuire alla rinascita di quel centro monastico, anch’esso provato dal degrado dei tempi. Quando ritornò a Roma e riprese il suo apostolato e le sue invettive, l’ostilità dei romani crebbe a tal punto che essi giunsero una notte a dare l’assalto al palazzo dove la donna abitava, tirando sassi e brandendo torce. Brigida non si scompose e restò immersa nella preghiera. Temendo tuttavia per l’incolumità dei suoi compagni prese comunque la risoluzione di uscire il meno possibile di casa, limitandosi alle sue assidue visite alle grandi Basiliche. Fra tutte preferiva San Paolo, perché meno affollata e più raccolta di San Pietro, e Santa Maria Maggiore, dove più volte le apparve la Vergine.
Nel corso del 1350 Brigida fu raggiunta a Roma dalla secondogenita dei suoi otto figli, Caterina, giunta direttamente dalla Svezia per il Giubileo. Caterina aveva lasciato in patria il marito in cattiva salute e poco dopo il suo arrivo seppe dalla madre, avvertita in visione, della sua morte. Decise allora di rimanere con lei seguendola nella sua attività religiosa «servendo Dio fino alla morte». Al contrario di Brigida, Caterina fu molto amata dai romani, che qualche anno dopo sarebbero persino giunti ad attribuire alla forza delle sue preghiere la fine di una minacciosa piena del Tevere.
Con Caterina, qualche anno dopo la fine dell’anno giubilare, Brigida decise di intraprendere il terzo dei grandi pellegrinaggi medievali: quello in Terra Santa. Alla conchiglia, conquistata a Santiago de Compostela, e all’immagine del Volto Santo, segno della visita alla tomba di Pietro, poteva così aggiungere sul suo manto di pellegrina la palma, simbolo di Gerusalemme.


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