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LA VIA FRANCIGENA
tratto dal n. 07/08 - 2007

La Cattedrale di Fidenza sulla via Francigena

La commozione del pellegrino sulla soglia


Nelle chiese medievali il portale era molto più che un’introduzione, una premessa a quel che si sarebbe visto e venerato all’interno. Il portale si trasformava in una proiezione esterna, uno slancio verso il mondo di quella gloria e bellezza che si custodiva all’interno


di Giuseppe Frangi


La facciata della Cattedrale di Fidenza (Parma), XII-XIII secolo

La facciata della Cattedrale di Fidenza (Parma), XII-XIII secolo

Valicare il portale. Proviamo a immaginarci l’emozione e la commozione di quei pellegrini che dopo centinaia di chilometri percorsi attraverso itinerari impervi, giungevano finalmente se non alla meta, al punto fermo di una tappa. Varcare la soglia significava fare il passo che dava il senso a tutti quelli fatti fino a lì. È per questo che nelle chiese medievali ai portali si riservava tanta cura. Il portale era molto più che un’introduzione, una premessa a quel che si sarebbe visto e venerato all’interno. Il portale si trasformava in una proiezione esterna, uno slancio verso il mondo di quella gloria e bellezza che si custodiva all’interno.
Prendiamo i pellegrini che sin dai primi anni del secondo millennio si mettevano sulla strada tracciata dall’abate di Canterbury Sigerico, che in 79 tappe, nell’anno 990, aveva raggiunto Roma dall’Inghilterra per ricevere dal Papa il pallium, cioè la stola di lana bianca simbolo della sua dignità arcivescovile. La via Francigena, in realtà, era di più antica data. Ma era stato Sigerico, con la descrizione che ne fece nel suo diario, a farla diventare, da vago sistema viario, una via vera e propria, precisa nel tracciato e nei suoi punti di sosta.
Prendiamo i pellegrini, che dopo aver valicato le Alpi al Moncenisio o al San Bernardo, si calavano nella pianura passando per Vercelli e Pavia. Oltrepassato il Po, prima di inerpicarsi di nuovo sulle montagne e superare gli Appennini attraverso la Cisa, avevano una sosta obbligata e anche molto agognata a Fidenza. Luogo dall’antica storia – i Romani l’avevano dedicata al dio gallico Fidio, con l’obiettivo di consolidare il rapporto con le popolazioni conquistate di qua e di là delle Alpi –, nel Medioevo aveva cambiato nome in omaggio al santo che sulle sponde del fiume Stirone, all’imbocco del paese, aveva trovato il martirio, in una data che la leggenda fissa al 293, san Donnino.
Borgo San Donnino dunque (il nome Fidenza sarebbe tornato solo con il fascismo); e al centro del borgo la Cattedrale dedicata al patrono, che nulla aveva da invidiare a quelle delle vicine e ben più grandi Piacenza e Parma. Una Cattedrale con tre portali, che avanzano verso la piazza con i loro protiri e che nella loro articolazione architettonica contengono tutto quello che i pellegrini dovevano sapere o che si aspettavano di vedere.
La statua del profeta Ezechiele, collocata nella nicchia a destra del portale maggiore

La statua del profeta Ezechiele, collocata nella nicchia a destra del portale maggiore

Si comincia da quello di sinistra, pensato per documentare l’importanza di Fidenza, che dal 1162 aveva avuto da Federico Barbarossa la garanzia di una diretta dipendenza dall’impero. A sinistra, nei bassorilievi stampati sul frontone del protiro, si vede un imperatore chiuso nel triangolo di spazio un po’ angusto. La scritta ci spiega che è Carlo Magno, che qui si sarebbe fermato mentre si dirigeva a Roma a incontrare il Pontefice e che da un angelo avrebbe avuto l’ordine di «magnam Ecclesiam fabricare», dedicata al santo di cui erano stati trovati i resti mortali. Al centro, un papa, Adriano II (867-872), consegna mitra e pastorale all’arciprete di Fidenza, conferendo all’«Archipresbyter Sancti Domnini» una giurisdizione territoriale. Ma la scena più commovente è nella nicchia di destra, dove un pellegrino, schiacciato dallo spiovente del frontone, si china davanti alla tomba cilindrica di San Donnino. «Egrotus» dice la scritta sul soprastante cornicione. Cioè: malato; un pellegrino venuto a chiedere la grazia della guarigione, con le sue poche e povere cose. E che sembra quasi voler abbracciare, sullo slancio, il sacello del santo.
Ma il clou è quel che aspettava il pellegrino davanti al portale centrale. Innanzitutto, ai lati del gigantesco protiro, ci sono due profeti, Davide ed Ezechiele. Inseriti in due grandi nicchie, hanno un qualcosa che ai tempi doveva risultare familiare e insieme sorprendente. Familiare, perché le due sculture parlano la stessa lingua dei capolavori (oggi mutilati) che adornavano la basilica di Saint-Gilles, vicino ad Arles. Segno che la via Francigena era, a quei tempi, anche quella che portava tante novità messe in opera nei grandi cantieri francesi al di là delle Alpi. Ma le due statue di Davide ed Ezechiele avevano per gli sguardi dell’epoca anche un aspetto stupefacente: sono le prime statue a tutto tondo dell’arte medievale, come ha sottolineato Willibald Sauerländer, uno dei maggiori conoscitori dell’architettura gotica. Sulla facciata del Duomo di Fidenza, intorno al 1180, si erano visti i primi segni di quel Medioevo monumentale che avrebbe poi fatto nei decenni successivi la grandezza del cantiere di Chartres. Davide ed Ezechiele non solo non sono più semplici altorilievi, ma, come scrive Sauerländer, introducono anche un’altra novità, che ai pellegrini doveva saltare immediatamente all’occhio: «Le figure di apostoli provenzali di Saint-Gilles o Arles erano disposte una accanto all’altra in fila e in posizione frontale. A Fidenza invece i profeti si presentano nell’atto di compiere un movimento colmo di promesse: da destra e, rispettivamente, da sinistra, si voltano verso l’ingresso della chiesa che è posto in mezzo a loro. L’autore delle due statue supera tutte le rappresentazioni di profeti dei precedenti portali romanici trasponendo le profezie di Davide ed Ezechiele in una forma plastica piena di vita e di drammaticità».
Di quali profezie si tratta? Di quelle riferite nei due cartigli che tengono tra le mani e che fanno riferimento al parto verginale di Cristo. Davide cita il Salmo 117, 20: «Haec porta Domini, iusti intrant per eam»; Ezechiele, cita il versetto: «Vidi portam in domo Domini clausam» (Ez 44, 1-2). Tutti e due intanto si rivolgono con i loro sguardi in direzione della porta che i pellegrini si preparavano ad attraversare. E proprio loro, i pellegrini, compaiono sopra le due nicchie. Sono due gruppi, uno che viene da sinistra, l’altro da destra. Li guidano due angeli che si voltano indietro quasi ad affrettare il loro passo o ad assicurarli sulla direzione del cammino. Il grande scultore di Fidenza ne dà anche alcune precise caratterizzazioni sociologiche. Da sinistra arriva una famiglia di cittadini, tutti ben vestiti e composti nei loro gesti; da destra procede invece una famiglia di contadini, carichi dei loro fagotti e rappresentati con commovente verismo: si riconoscono chiaramente il bastone, il fiasco e la stoffa che la donna porta come copricapo. Come sottolinea ancora Sauerländer, la rappresentazione «dei fedeli che si dirigono in chiesa non trova termini di confronto».
La statua a tutto tondo del re Davide, collocata nella nicchia a sinistra del portale maggiore

La statua a tutto tondo del re Davide, collocata nella nicchia a sinistra del portale maggiore

I pellegrini prima di entrare potevano anche ripassare l’avventura umana del santo il cui corpo era custodito all’interno della chiesa. La racconta il fregio orizzontale che attraversa il portale centrale, proprio secondo la soluzione messa in atto, appena una decina d’anni prima, a Saint-Gilles. Ma qui per la prima volta è la storia del patrono a essere raccontata con dettaglio e con grande chiarezza espressiva. A sinistra del portale si “leggono” le scene della vita: prima si narra del buon rapporto tra l’imperatore Massimiano con il suo cubiculario Donnino, poi della sua richiesta di lasciare la corte. E a questo punto si vede Donnino con i suoi amici, che, in fila, lasciano il palazzo imperiale: una scena che desta ancora commozione al pellegrino di oggi. Seguono gli episodi della persecuzione e del martirio. Ma al centro del portale è stato inserito l’episodio che certamente avrebbe potuto più efficacemente consolare e incoraggiare i pellegrini: il santo, che viene abitualmente rappresentato con la propria testa tra le mani, salva un gruppo di fedeli dal crollo del ponte del vicino Stirone, il fiume nei pressi del quale aveva subito il martirio; tra i salvati c’è anche una donna incinta la cui sagoma è ben visibile e rimarcata dalla scritta: «mulier gravida a ruina pontis liberatur». Ancora una volta, sulla facciata del Duomo di Fidenza, i pellegrini tornano al centro della scena, umili destinatari di un miracolo.
E ci ritornano anche in un silenzioso dialogo con la statua che caratterizza il terzo portale, il più povero della facciata. È l’apostolo Simone – scultura molto più artigianale rispetto a quelle dei due profeti al centro della facciata – che con la mano indica la strada verso Roma. I “romei”, reso omaggio a san Donnino, dovevano riprendere la strada che saliva verso il valico del monte Bardone, dove la mano di san Donnino avrebbe continuato ad assisterli: infatti lungo la strada il capitolo del Duomo gestiva numerosi rifugi e ospizi.


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