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GIOVANNI PAOLO I
tratto dal n. 07/08 - 1998

Tre papi e un orientamento fondamentale comune


La loro azione pastorale ha inteso far vivere alla Chiesa tutto il contenuto del Concilio ecumenico Vaticano II


del cardinale Hyacinthe Thiandoum


Il ventesimo anniversario della morte di Paolo VI – seguita a un mese di distanza dal breve passaggio di Giovanni Paolo I sul soglio dell’apostolo san Pietro – e l’inizio del ministero pontificio e provvidenziale di Giovanni Paolo II, rappresentano per noi un’occasione privilegiata per rivolgere un fervente grazie a Dio per gli innumerevoli benefici che ci provengono dai pontificati straordinariamente fecondi di questi tre gloriosi sovrani pontefici.

1. È per me motivo di gioia particolare, in occasione di tale anniversario, evocare il ricordo che ho serbato di papa Giovanni Paolo I, in ragione del sentimento di amicizia con cui mi onorava. Il primo incontro risale al 1970. Il patriarca di Venezia, sapendomi di passaggio nelle Dolomiti, mi invitò a trascorrere la fine settimana presso di lui. Eravamo nella seconda metà di luglio. Le nostre conversazioni di allora si incentrarono sulla vita della Chiesa in Europa e in Africa, in particolare sulla penuria di sacerdoti nell’Europa occidentale e sul loro aumento, invece, nel continente africano. Cercammo insieme la maniera di far mettere in pratica il rinnovamento spirituale proposto dal Concilio Vaticano II per favorire l’aggiustamento della situazione.
Nel corso della conversazione, grande fu la mia sorpresa nell’udire il venerato patriarca della Città dei Dogi esprimere questo augurio: «Penso che il prossimo papa non dovrebbe essere un italiano». Restai senza parole. Lui giustificò così la sua affermazione: «Ciò darebbe ulteriore risalto all’universalità della Chiesa cattolica». «Siete il solo ad augurarvi questo?», gli chiesi. «Molti vescovi italiani e di altri Paesi condividono la mia opinione», fu la sua risposta. Ed è tutto per quanto concerne questo nostro primo incontro, incentrato su una questione – bisogna riconoscerlo – di tutto rispetto.

2. La Provvidenza mi concesse un secondo incontro nel 1977, in occasione della chiusura del Sinodo. Appena terminarono i lavori, ai quali avevamo partecipato tutti e due, mi invitò ad accompagnarlo a Venezia, dove ci attendevano i suoi diocesani affollati nella Basilica di San Marco, piena fino all’inverosimile. Egli mi chiese allora di prendere la parola e di trasmettere il messaggio del Sinodo alla folla, costituita in prevalenza da giovani. A tutta prima rifiutai, facendo notare che un simile compito spettava al patriarca e che non volevo perciò deludere l’uditorio. Mi convinse del contrario e... non restò che ubbidire.
Questa volta mi trattenni presso il cardinale Luciani per cinque giorni. Il soggiorno fu reso memorabile dalla solennità di Ognissanti che egli mi fece celebrare nella Basilica di San Marco. Mi fece visitare il suo seminario situato all’ombra della maestosa chiesa di Santa Maria della Salute. Successivamente mi chiese di accompagnarlo a Treviso per una cerimonia liturgica e, un’altra volta, a Padova dal vescovo di quella città, monsignor Girolamo Bortignon, già predicatore degli esercizi spirituali in Vaticano e teologo di profonda cultura religiosa, che era allora vicepresidente della Conferenza episcopale regionale del Triveneto. Il cardinale – presidente di questa stessa Conferenza – si era recato presso di lui per intrattenersi su questioni di ordine pastorale. Durante queste visite ho avuto modo di conoscere diverse personalità e di apprendere molte cose. Apro qui una parentesi per dire che questi contatti provvidenziali spiegano senza dubbio il mio profondo attaccamento a questa regione del Nord Italia.
Nel corso di questo soggiorno veneziano, ho potuto rendermi conto dell’importanza che il patriarca attribuiva alla stampa – infatti pubblicava molti articoli su vari quotidiani regionali –, nonché dei suoi considerevoli talenti di catecheta e della sua capacità di essere vicino ai giovani e ai bambini.
Prima di lasciare Venezia per recarmi a Roma, non ho esitato a manifestare alcune impressioni e riflessioni dettate tutte da un’unica certezza, quella di aver avvicinato il futuro Pontefice della Chiesa cattolica. Convinzione che ho palesato senza remore anche a don Diego, il suo segretario particolare.

3. Dopo che papa Paolo VI fu chiamato a Dio nell’agosto del 1978, cominciarono i preparativi del conclave per eleggere il successore. Da parte mia non avevo dubbi che il cardinale Luciani avrebbe ben presto occupato il trono di Pietro. Alle numerose domande su chi sarebbe stato il successore di Paolo VI che mi venivano poste a Roma prima dell’apertura del conclave, rispondevo invariabilmente: il cardinale Luciani. Ne ero convinto a tal punto che – l’episodio è di dominio pubblico –, alla vigilia dell’entrata in conclave, lo invitai a dividere il pasto con me dalle Suore Madri Pie in via Alcide De Gasperi, chiedendo poi alle responsabili della comunità di raggiungerci al momento di prendere il caffè: così avrebbero visto con i loro occhi il futuro Papa. Alla presenza delle suore e del suo segretario gli dissi senza mezzi termini: «Vi attendiamo, mio patriarca». Egli comprese perfettamente quello che avevo voluto insinuare e mi rispose: «Non è affar mio».
Anche prima di questo episodio, quando incontravo il cardinale Luciani – naturalmente sempre fuori del conclave –, lo salutavo regolarmente con queste parole: «Saluto il mio patriarca», e lui replicava: «Sono il patriarca di Venezia». E ambedue sapevamo ciò che intendevamo dire.
Fu così che il giorno di ingresso in conclave, io avevo con me solo una valigetta e le suore mi chiesero dove avessi messo i miei effetti personali necessari per tutta la durata del conclave. Risposi loro che, dal momento che tutto si sarebbe risolto molto rapidamente, non avevo ritenuto necessario ingombrarmi troppo...
Il successore di Paolo VI fu chiamato a Dio appena un mese dopo la sua ascesa al pontificato. La sua scomparsa prematura e inattesa gettò il collegio dei cardinali e il mondo intero nella costernazione. In effetti, Giovanni Paolo I, nonostante la breve esistenza, impresse un nuovo stile di vita alla Chiesa, prima di tutto per la sua semplicità, per il modo di fare diretto che aveva nei rapporti interpersonali, per la sua cordialità, per l’apertura verso i poveri, i giovani e i bambini; era inoltre straordinariamente versato nella catechesi.

4. Mi pare opportuno sottolineare a questo punto quello che mi sembra essere un orientamento comune a Paolo VI, Giovanni Paolo I e al successore di papa Luciani, Giovanni Paolo II, ossia la loro volontà comune di far vivere un’epoca nuova alla Chiesa con la corretta applicazione della dottrina e degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Sebbene, infatti, Giovanni Paolo I non abbia offerto molti insegnamenti alla Chiesa cattolica della quale era il pastore supremo, quanto ho riferito sul suo stile di vita e sulla scelta che ha fatto di farsi chiamare Giovanni Paolo I – un nome composto che significava fedeltà a Giovanni XXIII, promotore del Vaticano II, e a Paolo VI, che ha guidato il Concilio passo dopo passo con il vigore, la pertinenza e l’interesse che tutti conoscono – sta a testimoniare il suo intento di perseguire l’orientamento comune ai suoi predecessori. È per tale ragione che non è possibile evocare il nome di Paolo VI senza pensare al Concilio Vaticano II e viceversa. Credo di poter affermare senza timore di sbagliare che, per Paolo VI, il Vaticano II ha brillato di due fari potenti: la costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, e la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo attuale Gaudium et spes.
Queste due colonne portanti della dottrina conciliare sono, per così dire, indissolubilmente unite l’una all’altra e tutti gli altri documenti del Vaticano II si integrano in esse, a cominciare dalla costituzione dogmatica sulla rivelazione divina, Dei Verbum, e da quella sulla liturgia, Sacrosanctum concilium. Nel corso di questo breve intervento non mi è possibile sviluppare adeguatamente il discorso sulle armonie e le convergenze dei testi conciliari. Mi limiterò pertanto a ricordare che il polarizzarsi dell’interesse di Paolo VI sulle due costituzioni, quella sulla Chiesa e quella sulla presenza della Chiesa nel mondo, traspariva già in filigrana – in particolare nel caso della costituzione sulla Chiesa nel mondo attuale – nel pregevole e memorabile discorso che pronunciò a Roma nell’Auditorio Pio X, in occasione del secondo Congresso per l’apostolato dei laici nell’ottobre 1957, quando ancora era arcivescovo di Milano, sul tema «La Chiesa nel mondo».

5. L’azione pastorale di Giovanni Paolo II si inserisce direttamente nella linea tracciata dai suoi predecessori, sempre per far vivere la Chiesa di tutto il contributo del Vaticano II, ma con una dimensione e un’estensione senza dubbio fino a questo momento sconosciute. Ne sono testimonianza i suoi viaggi in tutto il mondo e il fatto di aver innestato le radici della celebrazione del Grande Giubileo del 2000 dell’Incarnazione del Verbo divino nell’humus del Vaticano II. Del resto, fin dall’inizio del suo pontificato ha indicato il senso della sua azione con il motto: «Aprite le porte a Cristo». Sarebbe come mutilare il pensiero del Papa se ci si limitasse alla prima parte di questo motto: «Non abbiate paura»; essa non è altro che un’introduzione che necessariamente deve condurre alla sostanza della parola del Papa: «Aprire le porte a Cristo».
Se l’anniversario che oggi si commemora ci è d’aiuto per rendere grazie a Dio per aver donato alla Sua Chiesa e al mondo di oggi dei supremi pastori prestigiosi, la nostra preghiera ci aiuterà ad amare meglio la Chiesa e a percorrere un cammino così illuminato nella fedeltà allo Spirito divino e sotto lo sguardo di Maria.


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