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MESSICO
tratto dal n. 05 - 1998

CHIAPAS. La situazione vista dall’arcivescovo di Guadalajara

Unità sostanziale


«A volte non siamo d’accordo con tutte le scelte o gli orientamenti pastorali e sociali del vescovo di San Cristóbal, ma l’unità non si rompe, rimane». A sei mesi dalla strage di Acteal interviene il cardinale Juan Sandoval Íñiguez


Intervista con Juan Sandoval Íñiguez di Davide Malacaria


Guadalajara è stato il cuore della rivolta dei cristeros. Queste terre hanno visto la ribellione del popolo di Dio ad uno Stato, quello messicano, che voleva cancellare per legge, con l’introduzione, nel 1917, di una Costituzione fortemente anticattolica, la presenza della Chiesa nel Paese. Nella Cattedrale le reliquie dei martiri messicani riposano in una teca che reca la scritta «viva Cristo re» a ricordare un Papa, Pio XI, che volle istituire questa particolare devozione e che tanto ha avuto a cuore le sorti della Chiesa messicana, al punto di dedicare una lettera apostolica e ben tre encicliche sulla persecuzione della Chiesa locale. Ora cardinale di Guadalajara è Juan Sandoval Íñiguez. Lo incontriamo per tentare di tornare su una vicenda che ha scosso la Chiesa e il mondo: la strage di Acteal, in Chiapas, dove il 22 dicembre del 1997, 45 inermi sono stati massacrati dai gruppi paramilitari mentre pregavano. Un’occasione anche per approfondire alcuni temi del Sinodo per l’America che si è chiuso a dicembre dello scorso anno. Le conclusioni di questo Sinodo saranno rese pubbliche dal Papa proprio in Messico, in occasione della visita apostolica in questo Paese in agenda per il gennaio ’99.
Il 22 dicembre del ’97 è avvenuta la strage di Acteal, un fatto che ha scosso la Chiesa e il mondo intero: le sue impressioni…
JUAN SANDOVAL ÍÑIGUEZ: L’attacco ad Acteal mi sembra un episodio grave, ma non l’unico di una situazione molto complicata. A mio avviso i responsabili sono le persone armate dai latifondisti, dai proprietari delle piantagioni di caffè, di cacao e anche di aziende di allevamento di bestiame. Ma ancora adesso non si sa chiaramente chi è stato: sono state arrestate molte persone, ma solo gli autori materiali… Il motivo? Sembra sia stato un atto di intimidazione contro la popolazione indigena e contro le persone che reclamano giustizia.
Anche contro la Chiesa…
SANDOVAL: Sì, perché è successo in una chiesa.
Quali sono gli elementi che hanno determinato questa situazione drammatica?
SANDOVAL: Da una parte il vescovo di San Cristóbal de las Casas il quale ha un suo orientamento nella linea della teologia della liberazione con la sua visione dialettica oppressori-oppressi, ricchi-poveri, sfruttatori-sfruttati, che determina la creazione di due parti in opposizione, la divisione. Poi in Chiapas da molto tempo si registra la presenza di stranieri. C’era un istituto linguistico con gente proveniente soprattutto dagli Stati Uniti e dal Canada che, piuttosto che studiare lingue, era notoriamente intenta a osservare, a catalogare, a informarsi sul Chiapas. E ancora adesso la presenza degli stranieri è forte. Perché la presenza degli stranieri? Il Chiapas è interessante per tanti motivi: dal punto di vista antropologico in quanto ci sono delle tribù abbastanza primitive, discendenti dai maya. Poi ci sono le ricchezze naturali come i boschi, le spiagge, ma anche petrolio, uranio, l’elettricità. È lo Stato più ricco del Paese, ma che ha la gente più povera. Niente rimane per loro, va in tasca agli sfruttatori. E poi ci sono interessi politici messicani, di gruppi o di persone che in quella parte del Chiapas si affermano, conquistano posti di potere e condizionano il governo. Insomma, quella del Chiapas è una questione complessa, dove diversi elementi hanno determinato questa situazione di ribellione di un piccolo gruppo, e dove un governo che non ha voluto scegliere la via della repressione – poteva e non lo ha fatto – ha scelto la via del dialogo.
Il vescovo Vera López, vescovo coadiutore di San Cristóbal, ha più volte denunciato che in Chiapas molte chiese sono ancora chiuse e molti catechisti sono minacciati.
SANDOVAL: È vero che quei catechisti sono minacciati, ma molti di loro sono anche attivisti. Le chiese sono chiuse per la presenza delle sette. Nella diocesi del conflitto forse un 35-40 per cento della popolazione non è più cattolico, appartiene alle sette. Gli oppressori, per rimanere in questa dicotomia, i latifondisti, favoriscono le sette e la Chiesa cattolica sta con gli sfruttati, con i poveri, con gli indios.
Ora c’è una proposta legislativa del governo per i diritti e la cultura indigena.
SANDOVAL: La proposta del governo è accompagnata da un’altra proposta di un partito di opposizione, il Pan (Partito di azione nazionale, ndr), quasi coincidente. La proposta del governo non è perfetta, ma non è definitiva, è stata inviata al Congresso, che dovrà discuterla, perfezionarla e portarla a una definizione legislativa. La via è giusta.
Nel tempo di Quaresima lei ha chiesto di pregare per la pace in Chiapas.
SANDOVAL: Sì, il senso di unità della Chiesa è grande. A volte non siamo d’accordo con tutte le scelte o gli orientamenti pastorali e sociali del vescovo di San Cristóbal, ma l’unità non si rompe, rimane. Abbiamo dato diversi aiuti al Chiapas, anche con la preghiera.
Vorrei fare alcune domande riguardanti il suo intervento al Sinodo per l’America nel quale aveva sottolineato l’importanza della devozione popolare. Perché?
SANDOVAL: Perché la devozione popolare è una manifestazione molto importante, autentica, qui da noi, della fede del popolo. Non ci sono molti sacerdoti e per molto tempo c’è stata la persecuzione. In questa situazione la fede si è mantenuta grazie alla devozione popolare alla Madonna e ai santi. Questo è stato messo in rilievo da Giovanni Paolo II quando è venuto a Guadalajara nel gennaio del 1979 ed ha parlato della devozione popolare come di un luogo privilegiato per l’evangelizzazione, una manifestazione anche dello Spirito Santo che muove, che anima la fede del popolo. Occorre accompagnare la devozione popolare, purificarla e orientarla secondo la fede. Ma per andare incontro a Cristo bisogna essere umili di cuore.
Nella sua relazione usava l’espressione “farsi sedurre da Cristo”. È sempre un’attrattiva che converte al cristianesimo?
SANDOVAL: La fede non è una questione razionalista, una preda dell’intelligenza, è amore, una seduzione dell’amore di Dio. Ci sono quelle parole di Geremia: «Mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre da Te o Signore». La fede è un mistero, non si può spiegare, ma si sente l’attrattiva amorosa di Dio, questo è lasciarsi sedurre.
E rimanendo fedeli a questo si evita il rischio di imporre il cristianesimo, non si cade nell’integralismo…
SANDOVAL: Sì. Ma il cristianesimo non si può imporre più nel mondo attuale della pluralità, della libera scelta, nella situazione di democrazia presente nel mondo contemporaneo. Occorre la seduzione della bellezza, della bontà, dell’armonia della fede cristiana in Gesù Cristo.
Lei, inoltre, rilevava la graduale scomparsa nelle prediche del tema del peccato.
SANDOVAL: Non è una constatazione soltanto mia, ma era nell’instrumentum laboris del Sinodo. Man mano che si va avanti nel mondo scompare il senso del peccato. Mi sembra che ci siano delle società molto avviate in questo cammino che non è buono, dove ormai non si fa distinzione tra quello che è buono e quello che è cattivo. Anche nella Chiesa cattolica manca quella chiarezza. Però è la coscienza del cristiano che deve schierarsi per il bene, la verità, quel che è giusto, e opporsi al male in nome di Cristo. Se manca il senso del peccato il cristianesimo non ha senso perché Gesù è venuto come redentore, per liberarci dal peccato, altrimenti non c’è nessun profitto nel cristianesimo.
Infine lei ha ricordato l’importanza dei poveri per la Chiesa.
SANDOVAL: Qui da noi e in genere nei Paesi dell’America Latina la Chiesa ha parte con i poveri. E anche i poveri sanno che la Chiesa è con loro. L’élite dell’America Latina, da sempre, fin dall’indipendenza dalla Spagna, è andata con il liberalismo, ha ereditato la mentalità della rivoluzione francese, e quella mentalità liberale che sempre si è opposta sistematicamente alla Chiesa. Allora la Chiesa è diventata per forza la Chiesa dei poveri.


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