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DROGHE LEGGERE
tratto dal n. 05 - 1998

DROGHE LEGGERE. Le comunità terapeutiche cattoliche contro la liberalizzazione

L’insostenibile leggerezza dello spinello


Parlano i responsabili delle maggiori comunità terapeutiche: per tutti loro liberalizzare le droghe leggere, teorizzandone la diversità rispetto alle droghe pesanti, è assurdo. Ecco perché da alcuni mesi è in corso una battaglia politica che attraversa i partiti


Interviste con don Oreste Benzi, don Piero Gelmini, don Antonio Mazzi, don Mario Picchi di S.M. Paci


«Il ’98 sarà l’anno della liberalizzazione delle droghe leggere» aveva promesso il deputato dei Verdi Paolo Cento alla fine di dicembre dell’anno scorso. E la profezia sembra vicina ad avverarsi da quando, mercoledì 13 maggio, la Commissione giustizia del Senato ha approvato un disegno di legge sull’uso e la coltivazione delle droghe. Se il disegno avrà il via libera definitivo, non ci saranno più sanzioni per chi coltiva droghe leggere o per chi le cede a fini di consumo. Insomma: lo spinello di gruppo e la coltivazione di marijuana per uso personale non saranno più reati. Attualmente si rischiano da un minimo di due a un massimo di sei anni e da dieci a centocinquanta milioni di multa se si è sorpresi dalle forze di sicurezza a fumare droga in compagnia. In futuro, il consumo di gruppo resterà un illecito ma sarà punito con una semplice sanzione amministrativa come la sospensione del passaporto. Oggi, per la coltivazione delle piante di marijuana nell’orto o sul balcone si rischiano da due a sei anni di carcere. Se viene approvato il disegno di legge, il coltivatore di marijuana rischia una semplice ammonizione del prefetto.
L’approvazione del disegno di legge da parte della Commissione del Senato ha scaldato gli animi. Una imponente manifestazione di protesta è stata organizzata dalle principali comunità terapeutiche italiane, che sono scese in piazza il 23 maggio, solo dieci giorni dopo l’approvazione del disegno. 20mila persone sono sfilate a Roma, e tra esse c’erano molti parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, come diverse erano le appartenenze partitiche di coloro che hanno proposto e approvato il disegno di legge in favore della legalizzazione delle droghe leggere.
Adesso la parola spetta all’aula del Senato. Noi, intanto, siamo andati ad ascoltare l’opinione dei fondatori delle più importanti comunità terapeutiche di matrice cattolica.



Don Oreste Benzi
Comunità Giovanni XXIII

«Nell’attuale governo c’è una lobby potentissima, trasversale ai partiti, minoritaria ma capace di condizionare il governo come vuole. Questa lobby vuole imporre un’ideologia: visto che la droga esiste e il fenomeno è inarrestabile, la cosa migliore è non solo depenalizzarla (la decarcerazione è già stata approvata nel 1993) ma permettere anche forme di coltivazione di droga e forme larvate di spaccio. Questa lobby è stata aiutata da sentenze della Corte di Cassazione». Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Giovanni XXIII, che attualmente ospita quattrocento ragazzi che stanno uscendo dal tunnel della droga, ha il volto bonario e la tonaca lisa come i bravi pretini di campagna. Ma le parole che pronuncia sono affilate come stiletti. Come gli altri responsabili di comunità che lavorano per il recupero dei drogati, è convinto che in gioco ci sia la vita di migliaia di ragazzi. Una posta troppo alta, un pericolo troppo urgente per perdere tempo con espressioni diplomatiche e giri di parole.

Don Benzi, non vorrà dire che la Corte di Cassazione ha emanato sentenze con l’intento di favorire la liberalizzazione delle droghe leggere?
ORESTE BENZI: Non dico che l’abbia fatto intenzionalmente. Ma il risultato è quello. E coincide con gli obiettivi di questa lobby così potente che non solo può condizionare il governo, ma anche decidere di farlo cadere. Quando la Corte di Cassazione ha detto che la cessione dello spinello a membri di un gruppo non è reato, ha di fatto legalizzato lo spaccio della droga. Un’altra sentenza ha stabilito che se uno viene trovato con un grosso quantitativo di droga, per esempio eroina, ma è ricco, e spiega di averla comprata «perché era un affare», non viene condannato, dato che viene considerata come “riserva” a uso personale. Ma se è povero viene considerato uno spacciatore, perché non ha abbastanza soldi per comprarsi “riserve” personali. E questa si chiama uguaglianza di fronte alla legge? È incredibile. Una recentissima sentenza dice che il tossicodipendente cronico è equiparato all’infermo mentale: se anche commette un delitto gravissimo, come per esempio un omicidio, avrà solo una punizione di pochissimi anni. E che dire di Ferdinando Galli Fonseca, procuratore generale della Corte di Cassazione, rappresentante di un così delicato organismo giuridico dello Stato, che in forma solenne durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario propone la legalizzazione delle droghe leggere?
Don Oreste, stiamo parlando di legalizzazione di droghe leggere, non di quelle pesanti...
BENZI: In realtà non esistono droghe “leggere” e droghe “pesanti”. Sono tutte “pesanti” perché producono dipendenza, perdita del senso della realtà, annullamento della coscienza morale. L’equivoco nasce da un’infelice traduzione delle espressioni inglesi hard drugs e soft drugs, che però riguardano solo il modo di assunzione della droga. Per esempio le prime si possono iniettare, le seconde fumare. Un errore di traduzione che ha fatto guadagnare migliaia di miliardi al racket. Non a caso i Paesi musulmani temono di più le cosiddette droghe “leggere”: le considerano più nefaste perché hanno una maggior facilità di assunzione. E poi adesso stanno arrivando nuove droghe, sempre più diffuse: quaranta pasticche di ecstasy prese in un anno distruggono il cervello per sempre.
Lei ha mai espresso a esponenti del governo le sue perplessità riguardo la legalizzazione delle droghe?
BENZI: Ho incontrato Prodi durante la campagna elettorale del ’96. Mi disse che non avrebbe mai approvato la legalizzazione. Mi aveva dato precise garanzie. Lo ritengo una persona onesta. Se quel progetto dovesse andare avanti, dovrebbe tirarne le conseguenze.
Cioè?
BENZI: Dovrebbe necessariamente dimettersi. Non si può sempre subordinare tutto ai giochi di potere. Se si approva quella legge ci sarà un disastro sociale, una delle più gravi sciagure per la nostra nazione. Ho incontrato anche l’attuale ministro della Sanità, Rosy Bindi.
E cosa le rispose?
BENZI: Mi disse che di fronte a questo problema lei sarebbe stata come un muro. Visto come sono andate le cose al Senato, ho paura che quel muro vacilli! E poi si sbricioli. Ho poi incontrato anche Massimo D’Alema. Non si pronunciò. Strano, perché una volta la sinistra difendeva i proletari. Invece, saranno loro a risentirne di più. Nelle grandi fasce urbane, dove non c’è né scuola né alfabetizzazione, dove impera la disoccupazione che colpisce famiglie numerose, togliere ogni barriera di proibizione facilita certi comportamenti che portano inevitabilmente alla distruzione della persona. Perché questa legge andrebbe contro la prima adolescenza, l’età in cui si formano le regole di vita. E non si forma una personalità se ci sono messaggi contraddittori, tipo “non drogarti, ma se ti droghi è lo stesso”, oppure “drogati bene, stai attento a non drogarti troppo”. Hashish e marijuana, noi lo sappiamo bene, vengono assunti da ragazzi tra i dodici e i quindici anni. E quando questi ragazzi crescono, non si fermano al fumo. Vanno oltre. Questa proposta di legge colpisce i nostri adolescenti all’inizio della fase evolutiva. Sarebbe una legge sciagurata. Noi non chiediamo certo di mettere in carcere chi si droga, ma che ci siano risposte alternative che lo aiutino a recuperare la vita. Perché lo Stato e il governo vogliono diventare mercanti di morte?



Don Piero Gelmini
Comunità Incontro

Ha fondato la più importante comunità di recupero dalla droga. Ben 2500 ragazzi sono attualmente ospitati nei centosessanta centri che ha in Italia e nei sessanta aperti all’estero. E oltre 25mila giovani sono passati nella Comunità Incontro in trentasei anni di vita. Ma lui, don Piero Gelmini, non vuole che la sua venga definita come una comunità terapeutica: «Noi siamo una proposta di vita: respingo la medicalizzazione del problema. Non si può pensare solo di guarire il corpo, senza toccare l’anima dell’uomo».

Don Gelmini, perché si oppone alla legalizzazione delle droghe leggere?
PIERO GELMINI: Perché la droga non può essere concepita come una necessità per vivere, come la scuola o il cibo. La Costituzione proclama che deve essere garantita la salute del cittadino, e la droga è un attentato alla salute. È ridicolo che uno Stato impegnato in una campagna contro l’uso dell’alcol e del fumo incoraggi invece la circolazione di idee che tendono a favorire la legalizzazione delle droghe.
Nessuno dice che la droga è un bene. Chi propone, sotto varie forme, la legalizzazione delle droghe leggere sostiene che si tratta di un male minore.
GELMINI: È pazzesco. Bisognerebbe chiedere il parere agli interessati, a chi si droga o a chi ne è uscito. Ogni sostanza crea dipendenza. È vero che non tutti quelli che hanno fatto uso di droghe leggere sono poi passati a quelle pesanti, ma chiunque si fa di droghe pesanti ha iniziato con quelle leggere. Tutti hanno iniziato con il “fumo” dicendo «mi fermerò qui». E non ci sono riusciti.
Chi sostiene la teoria del male minore dà una cattiva informazione. Ed è un’informazione ad usum delphini. Perché il giorno che la droga cosiddetta “leggera” verrà legalizzata si realizzerà un mercato. Ci sarà bisogno di chi la coltiva, di chi la lavora, di chi la immette sul mercato. Sarà collocata in borsa, come le sigarette. E ci sarà chi farà affari strepitosi. No, chi sostiene la legalizzazione delle droghe leggere non lo fa in buona fede.
Ma forse consentirebbe di limitare il guadagno che su un mercato illegale come è quello attuale lucrano i narcotrafficanti. E se, una volta legalizzata, i cartelli della droga non ci guadagnano più, potrebbero smettere di produrla e di spingere al suo consumo...
GELMINI: Ho comunità in Costa Rica, in Bolivia, in Thailandia. Conosco bene il narcotraffico. È organizzato in maniera straordinaria. Chi può pensare che legalizzando le sostanze questi boss della droga verranno sconfitti? Al contrario, diverranno i sostenitori, i principali supporter di questo enorme mercato che verrà diffuso in tutto il mondo, ancora più diffuso perché legalizzato.
È in ogni caso singolare la proposta di depenalizzare la coltivazione della marijuana quando non si può, benché le sigarette siano legali, coltivare nel proprio campo il tabacco, perché si tratta di un monopolio dello Stato.
GELMINI: Singolare? È assolutamente incredibile. Ma lo Stato italiano vive sull’ipocrisia. Ad un certo punto ha deciso che si può legalmente fare uso di una modica quantità di droga. Ma nello stesso tempo ha affermato che è assolutamente vietato venderla. In questo modo è entrato in contraddizione: o induce i ragazzi che vogliono drogarsi a ricorrere agli spacciatori di contrabbando, oppure lui stesso deve diventare spacciatore di droga.
Assistiamo a ipocrisie continue. Tanto che non so se lei mi permetterà di fare una denuncia.
Ci provi...
GELMINI: Io non esito a chiamare in causa il presidente del Consiglio Romano Prodi, che passa per un cattolico. Mi spiace per don Mazzi e don Benzi, che si dichiarano delusi da Prodi che in campagna elettorale aveva promesso di non legalizzare la droga e ora si mostra indifferente pur di non far cadere il proprio governo. Poverini, loro non si rendono conto che la politica è l’arte delle cose possibili, e quindi pur di rimanere al potere, di conservare uno status, certi politici fanno mercato di ogni ideale. Il ministro della Sanità, Rosy Bindi, a proposito dell’aborto, ha detto: «Non tocca a noi pronunciarci, si pronuncerà il Parlamento». Ma la Bindi, come cattolica, invece di lavarsi le mani in pubblico come Ponzio Pilato avrebbe dovuto dire: «Io come cattolica sono contraria, poi il Parlamento deciderà». Invece questa gente non vuole esporsi. Vuole dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Proprio come ha fatto recentemente Romano Prodi. L’Italia è stata ammonita dall’Onu perché sta favorendo la cultura del permessivismo in fatto di droga. E quando l’Onu ha inviato a tutti i governi un documento in cui si chiedeva di essere più severi verso tutti coloro che diffondono questi concetti, il nostro governo l’ha “silenziato”. Eppure a Birmingham, alla riunione del G8, Prodi, con incomparabile faccia tosta, ha tranquillamente sottoscritto quel documento per combattere la droga in tutte le sue manifestazioni, come se lo Stato italiano fosse davvero d’accordo con esso. E invece la Commissione del Senato aveva appena approvato la depenalizzazione delle droghe leggere. Ripeto: si tratta di gente che ama il potere e che per questo non esita a scendere a ogni compromesso. In questo Paese la contraddizione è l’aria che si respira.
Ma io ammonisco: se passano queste proposte, nel 2000 il nostro Paese avrà un milione di zombie, giovani incapaci di intendere e di volere, che vivranno della carità della gente e dei sussidi dello Stato. Uno Stato che non ha saputo educarli dovrà mantenerli.



Don Antonio Mazzi
Comunità Exodus

Ironie della vita, e del “villaggio globale”. Dopo tanti anni spesi senza riserve dedicandosi ai ragazzi della sua comunità (si chiama Exodus, e attualmente accoglie 370 giovani), don Antonio Mazzi è diventato celebre per la sua presenza in programmi televisivi abitualmente dedicati al disimpegno, come Domenica In, la trasmissione della domenica pomeriggio a Rai 1.

Inutile negarlo: molti criticano il fatto di mettere sullo stesso piano droghe leggere e pesanti...
ANTONIO MAZZI: È gente che non ha figli e che non sa cosa sono. Devono smettere di fare i precettori persone che non sanno fare nulla, nemmeno la politica. Ma questo accade perché abbiamo a che fare con portatori di bandiere che fanno della politica la giustificazione dei loro capricci, e non dei loro doveri. Questa gente sono stufo di vederla e di sentirla, perché poi è quella che grida più forte, sui giornali e in Parlamento. E noi dobbiamo essere sempre educati e silenziosi. Per una volta siamo noi a dire basta. E ad alzare la voce.
Perché emerge adesso il problema della liberalizzazione delle droghe cosiddette leggere?
MAZZI: In questo governo le politiche giovanili non hanno il peso adeguato. E allora, non essendo capaci di porre il problema giovanile nei fiumi giusti, si va a pescare nei rivoletti elettoralistici per racimolare quel poco che si riesce a portare a casa.
Vuol dire che è un problema di politica elettorale?
MAZZI: Un problema di bassa politica e di basso profilo elettorale. Alcuni vivono di questi espedienti. Il ministro della Sanità cattolico, il partito cattolico al governo e il presidente del Consiglio cattolico non hanno detto niente sulla manifestazione di sabato 23 maggio contro la liberalizzazione della droga. Non so se sono cattolici. Bisogna guardare i fatti. Mi impressiona che il ministro della Sanità dica che il problema dell’aborto è un problema di coscienza. Non è vero. È anche un problema politico. Se uno dice questo, ed è cattolico, bisogna dubitare sul tipo di cattolicesimo cui andiamo incontro.
Mi scusi, una questione come questa non dovrebbe superare i problemi di schieramento partitico?
MAZZI: Ha ragione. Alcuni problemi non possono assolutamente andare sotto l’ombrello partitico. Sono problemi antropologici, di grande livello culturale. Noi diciamo di no alla liberalizzazione della droga perché siamo degli educatori. Innanzitutto per questo. Poi ci sono riflessi politici ed economici, ma vengono dopo. Il problema della mafia che controlla il traffico della droga, e che può risentire o meno un danno dalla sua legalizzazione, non è la priorità. Ci sono ricadute sociali e politiche di una proposta di legge come quella sulla droga, ma è sbagliato come prospettiva e come strategia metterle all’inizio. Occorre pensare prima alla persona. Bisogna educare i giovani a ideali forti. Occorre proporre un’altra visione della vita. Far loro vedere che ci sono grandi fascini da scoprire. Invece, si propone lo spinello come una priorità dell’adolescenza. È incredibile.



Don Mario Picchi
Centro italiano di solidarietà

Nel dibattito sulla liberalizzazione delle droghe leggere, la sua voce è sembrata rimanere in disparte. Eppure don Mario Picchi è una figura storica del mondo che combatte la droga: la sua comunità, il Ceis (Centro italiano di solidarietà) è una delle prime ad avere affrontato, iniziando oltre trent’anni fa, il fenomeno e aver dato una speranza ai ragazzi e alle famiglie che non sapevano a chi rivolgersi per vincere la dipendenza dalla droga. Siamo andati a intervistarlo. Ha accettato di parlare, vincendo alcune sue diffidenze.

Don Mario, sembra che a lei non piaccia troppo l’attuale dibattito sulla liberalizzazione della droga.
MARIO PICCHI: Ha ragione. Bisognerebbe iniziare a guardare il problema in maniera diversa. Non ridursi solo a litigare su “liberalizzazione sì, liberalizzazione no”. Sembra che si stia tirando una fune: chi è più forte la tira dalla sua parte, e vince. Non è un problema tra proibizionisti e antiproibizionisti. Non si riuscirà a bloccare la produzione di tutta la droga della terra. E anche se accadesse, salterebbero fuori quelle sintetiche, prodotte in laboratorio.
E allora?
PICCHI: Allora occorre lavorare sulla prevenzione e sulla domanda. Chiedersi come si può bloccare la richiesta di droga. Scoprire e lavorare sulle cause: sul disagio di vivere che induce a cercare la droga. Proibire, vietare, interdire non serve a molto, specie quando alla base dei comportamenti da punire vi è un profondo disagio dell’uomo. È necessario informare e prevenire, sostenere la persona con ogni mezzo, in modo intelligente e autentico, a opera di persone preparate, nei luoghi idonei e nei tempi giusti. Sono fermamente convinto che il carcere non è in grado di rieducare a mettere ordine nelle proprie idee e nella propria vita. Dunque bisogna concretamente pensare – e ripensare – le misure alternative.
Lo Stato ha già provato a suggerirne alcune, come la somministrazione del metadone in centri appropriati.
PICCHI: Offrire droga a chi dovrebbe abbandonarla non può risultare una terapia efficace. È come offrire un bicchiere di vino a un alcolista che voglia smettere di ubriacarsi. L’utilità del metadone e delle azioni di riduzione del danno è tale soltanto in una chiave terapeutica, il che significa con l’aiuto di persone competenti ed esclusivamente per il tempo necessario. Dobbiamo occuparci con grande urgenza delle droghe di laboratorio, o sintetiche, che possono offendere profondamente l’attività psicoaffettiva, con gravi conseguenze specialmente su organismi giovanissimi. Le sperimentazioni sono lecite solo dopo un attento esame della loro fattibilità e se è alta la probabilità che diano risultati convincenti, ma comunque mai sulla pelle dei più deboli e fragili.
Cosa pensa dell’attuale proposta di legge?
PICCHI: Sono contrario a qualsiasi tipo di legge che direttamente o indirettamente favorisca l’aumento dell’offerta e del consumo di ogni genere di droga. Ma sono convinto che qualsiasi normativa debba tener conto di quanto affermato. Si tratta, insomma, di non dimenticare che le leggi sono soltanto strumenti a disposizione e non risolvono da sole alcun problema. Le disposizioni sulla carta sono necessarie, ma devono consentire quella flessibilità, quella capacità e disponibilità di tutta la società a incontrarsi con i problemi e soprattutto con le persone, caso per caso. Credo in un incontro basato sulla solidarietà, sulla capacità di favorire l’aggregazione, l’inserimento, la progettualità e non credo in tutto ciò che a questi valori si oppone.
Ma pensa che in questa battaglia contro la droga prima o poi si vedranno dei risultati concreti?
PICCHI: Se la famiglia, la scuola, gli spazi del tempo libero, la stampa, il cinema e la televisione diverranno agenzie di informazione e se si proporranno davvero solo il bene comune senza secondi fini, senza strumentalizzazioni, senza fare della droga il trampolino di lancio della propria forza politica, allora vedremo dei risultati. La Chiesa ha dato l’esempio: propone un modello ma nello stesso tempo, per sua stessa natura, è aperta al dialogo, all’ascolto, al perdono e alla riconciliazione costante con chi non riesce a seguire quel modello.
Insomma, mi sembra di capire che nell’attuale dibattito lei non voglia indossare le vesti di un contendente...
PICCHI: Io non ho mai creduto nelle crociate per questa o quella legge perché poi, qualsiasi sia il regime normativo vigente, i casi della vita e le difficoltà delle persone sono innumerevoli, non incasellabili, non classificabili. La legge deve sempre essere al servizio dell’uomo e non viceversa. Su tutte le questioni più dibattute sulla droga noi del Ceis abbiamo espresso la nostra opinione (e lo abbiamo fatto anche su quelle ingiustamente trascurate dalla pubblica opinione, dai mezzi di comunicazione sociale, dalla comunità scientifica e dagli amministratori e politici del nostro Paese). Ma esprimere un’opinione non significa obbligatoriamente schierarsi per un sì o per un no, per un estremo o per l’altro. Ho cercato di tener conto di quante sfumature di grigio esistono tra il bianco e il nero e ho tenuto presente l’esperienza di decine di migliaia di giovani e delle loro famiglie che abbiamo avuto la possibilità di conoscere e la fortuna di aiutare nei trent’anni di vita del Ceis.


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