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CINA
tratto dal n. 04 - 1998

LIBERTÀ RELIGIOSA. Le impressioni di un vescovo americano a Pechino

È ormai tempo per il disgelo


Theodore Edgar McCarrick, arcivescovo di Newark, racconta il suo viaggio nel Paese comunista, dove si è recato su invito del governo e ha potuto incontrare il presidente Jiang Zemin. Intervista


Intervista con Theodore E. McCarrick di Gianni Cardinale


«Siamo stati incoraggiati nel constatare che molti dei leader di governo e dei cittadini che abbiamo incontrato, gente che sta quotidianamente combattendo per aiutare la Cina a modernizzarsi, capiscono che la tolleranza della libertà religiosa è una caratteristica importante di tutte le nazioni avanzate, industrializzate». È questa la frase chiave del rapporto che tre personalità religiose statunitensi hanno stilato a conclusione di un viaggio in Cina durato diciotto giorni su invito del governo di Pechino. Il viaggio che si è svolto tra febbraio e marzo scorso era stato programmato in conseguenza della visita fatta dal presidente cinese Jiang Zemin lo scorso ottobre negli Usa. Le tre personalità erano state scelte dal Dipartimento di Stato americano e dalla Casa Bianca. Si trattava dell’arcivescovo cattolico di Newark Theodore Edgar McCarrick, del pastore protestante Don Argue, presidente dell’Associazione nazionale degli evangelici, e del rabbino Arthur Schneier, della Park East Synagogue di New York, presidente della fondazione Appello alla coscienza (Appeal of Conscience Foundation).
Per illustrare i contenuti del viaggio e rispondere alle critiche che pure sono state rivolte a questa iniziativa, 30Giorni ha intervistato monsignor McCarrick. Lo abbiamo incontrato durante la visita ad limina che lo ha portato a Roma pochi giorni prima della Conferenza stampa ufficiale tenuta il 18 marzo a New York in cui ha presentato, insieme al reverendo Argue e al rabbino Schneier, il testo del rapporto conclusivo della visita.
McCarrick, nato a Manhattan 67 anni fa, dopo essere stato il segretario particolare del cardinale di New York Terence J. Cooke, nel ’77 viene nominato suo vescovo ausiliare. Nell’81 è nominato primo vescovo di Metuchen nel New Jersey e cinque anni dopo viene promosso arcivescovo di Newark. Attualmente ricopre anche la carica di presidente della Commissione sulla politica internazionale della United States Catholic Conference (Uscc), la branca “politica” della Conferenza episcopale statunitense (Nccb – National Conference of Catholic Bishops).

Eccellenza, con chi vi siete incontrati durante il viaggio di diciotto giorni in Cina?
THEODORE E. McCARRICK: Siamo stati a Pechino dove abbiamo avuto un colloquio di oltre un’ora con il presidente Jiang Zemin, e anche con funzionari del Ministero degli Esteri, della Giustizia, con il direttore dell’Ufficio affari religiosi, con rappresentanti del Partito comunista, con i governanti locali di Pechino e delle altre città che abbiamo visitato (Nanchino, Shanghai, Chengdou) e del Tibet. Credo che sia la prima volta che a dei religiosi sia stato concesso di recarsi in Tibet e probabilmente sono stato il primo vescovo cattolico che si è recato lì dall’epoca del presule francescano Giovanni da Montecorvino nel XIII secolo.
Abbiamo parlato francamente, abbiamo dialogato con tutte queste persone. Abbiamo anche chiesto che venga interrotta la registrazione delle religioni presso lo Stato, spiegando che secondo noi è inaccettabile. Non sempre ci siamo trovati d’accordo ma abbiamo avuto un buono scambio di opinioni.
Come giudica complessivamente il viaggio?
McCARRICK: Penso, spero, che possa produrre buoni frutti. Poter parlare di religione con il presidente della Cina è stata una rara opportunità, come è stato straordinario parlare con esponenti del governo di problemi che sono di vitale importanza per la vita dell’uomo. Penso che terranno conto di quanto abbiamo detto loro e che ne avremo prova nel futuro. Per questo dobbiamo pregare. Per valutare meglio il viaggio bisogna tener presente comunque che il suo scopo era molto specifico, riguardava tre temi. Per prima cosa dovevamo parlare con la leadership cinese riguardo alla religione in America. Quando i cinesi vengono negli Stati Uniti e sentono parlare di religione da parte del nostro governo pensano che Washington inventi un problema che non esiste. Fanno così perché in Cina ci sono circa cento milioni di credenti, il dieci per cento della popolazione, e per loro una questione che riguarda solo una parte così piccola della loro popolazione non può essere così importante. Ma negli Usa i credenti sono il novanta per cento della popolazione. I fedeli americani possono non partecipare tutti regolarmente alle celebrazioni domenicali, ma – come ho detto al presidente Zemin – sono milioni e milioni quelli che si recano regolarmente in chiesa ogni settimana. I fedeli americani poi, quando vengono a conoscenza del fatto che ci sono dei credenti che soffrono per la loro fede in altri Paesi, allora si interessano a questi casi: scrivono ai loro rappresentanti in Parlamento, scrivono al presidente, fanno dimostrazioni, chiedono che si faccia qualcosa riguardo a questi Paesi che non garantiscono la libertà religiosa. Specie se con questi Paesi gli Stati Uniti intrattengono rapporti commerciali. Per questo motivo la religione è un tema centrale della politica estera americana e parte principale dell’attività diplomatica verso le nazioni con le quali gli Stati Uniti hanno stretti rapporti. Questo era il primo tema del nostro viaggio.
Gli altri due?
McCARRICK: Volevamo cominciare un dialogo con la leadership cinese rispetto al problema religioso in quanto tale. Abbiamo cercato di spiegare che la religione può creare migliori cittadini, migliori lavoratori. La religione, abbiamo poi aggiunto, porta dei valori che possono essere importanti per le famiglie e per gli individui. Il terzo motivo del viaggio concerneva la situazione di alcune personalità religiose che, secondo le informazioni raccolte da alcuni organismi statunitensi, si trovano in carcere, in campi di rieducazione, agli arresti domiciliari o detenuti in qualche modo per motivi di coscienza. Così abbiamo presentato una lista di trenta persone, tra cui anche dei vescovi e preti cattolici, ministri protestanti, laici cristiani, buddisti... Abbiamo chiesto di fare un’inchiesta al riguardo, sottolineando che la detenzione di queste persone è un problema molto sentito dai fedeli americani. Finora, purtroppo, non abbiamo avuto risposta.
Avete parlato anche dei rapporti tra Santa Sede e Cina?
McCARRICK: Naturalmente. Una delle cose a cui eravamo interessati era riaprire un dialogo tra Cina e Santa Sede con riguardo alla libertà della Chiesa in Cina e alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cina.
Ha registrato dei passi in avanti?
McCARRICK: No. L’unica cosa che abbiamo fatto è stata incoraggiare il governo cinese a cominciare il dialogo. Non ho notato niente di veramente nuovo tranne il fatto che ci hanno ascoltato.
Sembrerebbe che i cinesi abbiano ascoltato molto, ma parlato poco...
McCARRICK: Direi che hanno ascoltato e hanno parlato abbastanza per instaurare un dialogo con noi.
Avete avuto contatti con la Chiesa cattolica clandestina? Abbiamo avuto invece molti contatti con la Chiesa cosiddetta patriottica. Ho incontrato i vescovi “ufficiali” di Pechino, Nanchino e Shanghai. Ho visitato le chiese protestanti e cattoliche dove ho potuto constatare di persona la profonda fede della gente. Quando i cristiani, specialmente nelle chiese cattoliche, venivano a sapere che ero un vescovo straniero, erano ansiosi di salutarmi e di ricevere una mia benedizione. Comunque non ho potuto celebrare la messa in nessuna di queste chiese, in quanto non sono in piena comunione con la Santa Sede. L’ho celebrata invece in ciascuno dei diciotto giorni della mia permanenza in Cina nella mia camera d’albergo.
Il viaggio che ha compiuto ha subito delle severe critiche da parte di alcune organizzazioni umanitarie e anche da parte dell’agenzia di stampa Fides collegata alla Congregazione vaticana di Propaganda Fide...
McCARRICK: Sì, ho letto le critiche di Fides. Hanno scritto che avremmo dovuto investigare sulla situazione dei prigionieri per motivi religiosi e sulle persecuzioni. Cose giuste da fare, ma non era questa la nostra missione. Chi ha scritto quella critica avrebbe dovuto saperlo.
La creazione nel corso dell’ultimo Concistoro di un cardinale a Taiwan, il gesuita Paul Shan Kuo-hsi, può aver determinato dei problemi?
McCARRICK: Spererei di no. C’è già un cardinale a Hong Kong e non è un problema per il governo cinese. Penso poi che molti cinesi siano molto orgogliosi che un altro cinese è diventato cardinale. È una specie di riconoscimento dell’importanza della Cina oggi.
Era la prima volta che si recava in Cina?
McCARRICK: No, è la quinta in dodici anni. La prima fu nella metà degli anni Ottanta. Ricordo ancora che a Shanghai sono stato il primo vescovo americano ad incontrare il vescovo “clandestino” Ignatius Gong Pin-mei, che allora era cardinale ma solo in pectore. Ricordo che monsignor Gong era reduce da un lungo periodo di prigionia e non aveva lo zucchetto episcopale, e io, prima di celebrare la messa insieme, fui ben felice di dargli il mio.
Negli Stati Uniti è molto vivace una fondazione che prende il nome proprio dal cardinale Gong Pin-mei, la Kung Foundation, molto dura nei confronti del governo cinese...
McCARRICK: Penso che nella Kung Foundation ci sono delle cose buone e altre meno. Loro pongono l’attenzione sul fatto che ci sono ancora problemi in Cina ma penso che a volte forse danno dei giudizi molto forti. Talvolta invece è meglio lasciare i giudizi al Signore piuttosto che a noi uomini. Solo Lui infatti conosce fino in fondo il cuore delle persone.
Sempre a Shanghai opera l’anziano vescovo “patriottico” Aloysius Jin Luxian, di cui si dice che sia in segreto in comunione con Roma...
McCARRICK: Sì, in effetti questa è la reputazione che ha. Lo conosco da molto tempo, è venuto anche negli Stati Uniti nell’86 e ha visitato la mia cattedrale. Il suo nome non figura nell’Annuario pontificio, comunque ha costruito molte chiese, ci sono centinaia, migliaia di persone che partecipano alle sue messe. È veramente molto difficile giudicare. So che ci sono alcuni che lo ritengono una persona molto cattiva, perché ha accettato la consacrazione senza l’autorizzazione della Santa Sede. Ma è stato in prigione per ventisette anni. È sempre difficile dare un giudizio, penso che dobbiamo lasciarlo al Signore.


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