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ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
tratto dal n. 03 - 1998

CRISI. Parla l’unico vescovo cattolico della martoriata regione serba

Il dialogo è l’unica via


Fino a poco tempo fa la linea di Rugova per il raggiungimento dell’autonomia senza ricorrere alla violenza era stata seguita da tutti gli albanesi. Poi la situazione è degenerata. Perché? Risponde monsignor Marko Sopi


Intervista con Marko Sopi di Gianni Cardinale


«Nel mio paese di nascita, a quanto ricordavano mio nonno e mio padre, serbi e albanesi hanno convissuto sempre bene. I rapporti reciproci erano molto buoni. È stato così fino all’89-90. Poi i rapporti sono un po’ cambiati. Ultimamente, sembra, stanno migliorando. Almeno lì». Proprio quando dal Kosovo continuano ad arrivare notizie e immagini tragiche, Marko Sopi, unico vescovo cattolico di quella martoriata regione, lancia questo piccolo barlume di speranza. Ma è l’unico. Per il resto, il presule albanese non è molto ottimista. Non crede che sarà facilmente risolvibile la situazione in Kosovo, attualmente parte integrante della Serbia ma con il 90 per cento della popolazione albanese. Situazione già critica da quando Belgrado, nell’89, ha revocato lo Statuto di autonomia di cui il Kosovo godeva dal ’74. Situazione che è diventata incandescente nei primi giorni di marzo, quando una vasta operazione delle forze di sicurezza serbe nella zona di Drenica (Kosovo centrale) ha causato la morte di ottanta persone. Per questo la leadership serba di Slobodan Milosevic è stata messa sotto accusa da buona parte della comunità internazionale.
Nell’Annuario Pontificio, monsignor Marko Sopi, 60 anni, figura come vescovo ausiliare per i fedeli di lingua albanese di Skopje-Prizren, diocesi che comprende il Kosovo e la Macedonia (Fyrom). In realtà, in base alla sua bolla di nomina, avvenuta nel novembre ’95, Sopi figura come amministratore diocesano con poteri da ordinario del territorio del Kosovo e per questo appartiene alla Conferenza episcopale della Jugoslavia recentemente costituita.

Eccellenza, quali sono le prospettive per la risoluzione della crisi che attanaglia la sua regione?
MARKO SOPI: La situazione non era buona neanche prima, ma con gli ultimi avvenimenti è molto peggiorata. La gente è esasperata.
Ibrahim Rugova, presidente della autoproclamata Repubblica del Kosovo, ha dichiarato di aspirare all’indipendenza. Le autorità serbe, da parte loro, sembrano disponibili a voler discutere un certo grado di autonomia. È possibile un compromesso?
SOPI: Non è una cosa facile trovare un accordo accettabile per tutti, ma con la buona volontà credo che si possa arrivare, a un certo punto, ad avere una convivenza simile a quella che esisteva 15-20 anni fa. La situazione infatti è peggiorata dopo la morte di Tito, nel 1980. Nell’81 ci sono state le manifestazioni degli studenti; finché, nell’89, è stato tolto al Kosovo il diritto a essere una regione autonoma. Prima della morte di Tito, un albanese è stato a capo della Presidenza federale jugoslava, e un altro ne è divenuto vice-presidente.
La soluzione migliore sarebbe quindi di tornare alla situazione precedente all’81…
SOPI: I leader albanesi chiedono indipendenza. Forse è difficile arrivare a questo. Ma dopo quello che è successo, una convivenza è molto difficile. Senza le vittime forse poteva bastare l’autonomia. Ma le persone non sono state solo uccise: si dice siano state massacrate. Tra le vittime ci sono anche anziani, bambini, donne, anche donne incinte. Questo aggrava molto di più la situazione.
Fino a qualche tempo fa la linea non violenta di Rugova è stata pienamente rispettata da tutta la popolazione albanese. Negli ultimi mesi ha fatto la sua comparsa l’Armata di liberazione del Kosovo (Uck), che è stata definita «terrorista» dall’inviato della Casa Bianca nei Balcani, Robert Gelbard. Come mai questo cambiamento di atteggiamento da parte degli albanesi?
SOPI: Rugova è il leader del Partito democratico e mantiene la linea non violenta. Vuole ottenere l’accordo con la via pacifica e il dialogo, anche adesso. Ma si sta perdendo la pazienza: quel modo di comportarsi non porta frutti. Sì, si è parlato di terroristi. È mia convinzione che non si tratti di terrorismo. Se uno si difende, non vuol dire che sia un terrorista. Speriamo comunque che questi ultimi fatti siano un avvertimento per tutti quelli che pensavano che si dovesse adottare una linea di resistenza attiva.
Nel settembre 1996 Milosevic e Rugova hanno firmato, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio, un accordo che prevedeva il rientro degli studenti albanesi nelle scuole e nelle università pubbliche alle quali non potevano accedere dal ’91…
SOPI: Ci ha dato grande speranza. Almeno si è cercato di risolvere un problema complesso. Pensavamo che si trattasse di un primo passo e che poi si andasse avanti. Ma sono passati quasi due anni e finora non si è realizzato niente. Credo che sia questa una delle ragioni per cui il presidente Rugova non vuole una trattativa esclusivamente a due ma chiede la presenza di una terza parte, di qualcuno cioè che non sia solo testimone ma che con gli strumenti leciti costringa l’una o l’altra parte a realizzare l’accordo raggiunto. Come ha accennato Rugova, questa terza parte deve essere o l’Unione europea o gli Stati Uniti.
Quali sono i rapporti tra gli albanesi musulmani e quelli cattolici? E quali invece tra questi ultimi e gli ortodossi serbi?
SOPI: Con i fratelli musulmani albanesi abbiamo buoni rapporti, ma non abbiamo molto in comune con loro: sono musulmani. Con i fratelli della Chiesa ortodossa dottrinalmente abbiamo quasi tutto in comune, però le questioni politiche hanno aggravato i rapporti.
Nella città dove risiede, Prizren, si trova anche il vescovo ortodosso. Ha avuto modo di incontrarlo?
SOPI: Non abbiamo avuto nessun contatto. Sono vescovo da più di due anni. Sono stato nominato vescovo, sono stato ordinato vescovo, ho preso possesso della diocesi, è morto il mio predecessore, ma in tutte queste occasioni non si è mai fatto vivo.
Avete avuto delle restrizioni nell’esercizio della vostra fede da parte della autorità serbe?
SOPI: Come fedeli, come cattolici, le autorità serbe non ci hanno creato alcuna difficoltà. L’unico problema riguarda una parrocchia vicino Pec, che ha ben cinquemila fedeli: abbiamo chiesto il permesso di costruirvi una chiesa, ma sono passati sette anni e non lo abbiamo ancora ottenuto. Lo impedisce il governo locale, anche se istanze più alte ci hanno detto più volte che la questione è in procinto di risolversi. In questo periodo, al contrario, sono state numerose le autorizzazioni a costruire chiese ortodosse, mentre i musulmani hanno edificato numerose moschee senza chiedere l’autorizzazione…
Nella situazione attuale vi sono differenze di atteggiamento tra cattolici e musulmani?
SOPI: No, in quella zona non ci sono cattolici, è una zona musulmana.
I cattolici quindi non sono coinvolti nelle azioni di queste frange più estremiste?
SOPI: Si è pensato che il focolaio di quelli che vengono definiti estremisti si trovasse là. E perciò hanno accerchiato e attaccato quella zona, ma in quella parte ci sono solo albanesi musulmani e anche i serbi sono pochissimi.
Quanti sono i fedeli cattolici albanesi nel Kosovo?
SOPI: Circa 60mila, ma abbiamo anche molti lavoratori in Austria, Croazia, Germania, in Nord Italia (a Lecco) e soprattutto in Svizzera. E sono questi lavoratori che aiutano finanziariamente i propri parenti ma anche le famiglie che non hanno nessun aiuto dall’estero. Complessivamente, all’estero ci sono 25-30mila albanesi cattolici kosovari. Senza le loro rimesse sono convinto che si potrebbe soffrire anche la fame.
A questo punto mi permetto di chiedere ospitalità al vostro giornale per lanciare un appello…
Prego…
SOPI: Nel Kosovo ci sono ora tanti disoccupati. Soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti, ci sono numerosi orfani, sono state distrutte molte case. Per questo mi permetto di chiedere un aiuto per la nostra popolazione. Ogni aiuto va bene. La soluzione migliore sarebbe quella di inviare un aiuto economico attraverso la Chiesa. Posso garantire che in questo modo il vostro aiuto andrà effettivamente ai più bisognosi. Sarò molto grato e pregherò affinché il Signore ricompensi coloro che ci vorranno aiutare con i beni di cui hanno necessità.


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