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ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
tratto dal n. 03 - 1998

ISLAM. Interviene il saudita Abdullah Al Obaid

Da La Mecca al mondo


Tenta una mediazione in Algeria ma è intransigente con Israele. Apre al Vaticano sui diritti umani e appoggia la svolta moderata in Iran. Ecco la Lega musulmana mondiale secondo il suo segretario generale


Intervista con Abdullah Al Obaid di Giovanni Cubeddu


La sede centrale della Lega musulmana mondiale (denominata Rabita o Muslim World League) è un edificio di cinque piani che si trova a La Mecca, ed è un dono personale del re saudita Fahd bin Abdul Aziz. Il custode delle due sante moschee di Medina e La Mecca ha voluto così rimarcare la sua volontà di rendere autorevole ed operativo un organismo internazionale che tra i suoi principi dichiarati ha la diffusione degli insegnamenti dell’islam e la lotta ad interpretazioni e dogmi «che i nemici dell’islam cercano di sfruttare per distruggere l’unità dei musulmani e seminare il dubbio». Il proselitismo della Lega non è solo religioso, ma anche culturale, politico e sociale, e si compendia nella volontà di «difendere le cause islamiche» e «risolvere i problemi dei musulmani», compiti svolti quotidianamente grazie a trentadue filiali in tutto il mondo e dieci centri culturali, la maggior parte di questi ultimi in Europa. L’apertura della filiale romana, la Lega musulmana mondiale-Italia, è di appena qualche settimana fa. Degni di menzione sono poi due tra gli enti creati dalla Lega nel suo seno: il Consiglio per la giurisprudenza islamica e la moderna Commissione che studia e diffonde i «segni scientifici» presenti nel Corano e nella Sunna.
A capo di questa organizzazione non governativa – che alle Nazioni Unite ed alla Conferenza islamica partecipa come osservatore – siede il saudita Abdullah Al Obaid. È lui il trait d’union tra il quartier generale di Rabita a La Mecca, le filiali e le altre organizzazioni internazionali nel mondo. Nei suoi tour, la moschea di Roma e l’annesso Centro culturale sono meta obbligata. Lì 30Giorni lo ha incontrato, per un dialogo e un’analisi aggiornata di alcuni temi internazionali “caldi”. Beninteso, visti da La Mecca.
«Dichiararsi musulmano e praticare l’islam sono due cose diverse: il vero musulmano si misura sulla base di quanto pratica l’islam e la moralità islamica», inizia Al Obaid. Spiegando principi e attualità politica della Rabita: «Il Corano chiede di far conoscere l’islam in modo pacifico e con saggezza, e ciò vuol dire che il musulmano dovrebbe allontanarsi da tutto ciò che non è pacifico e saggio. E quando il Corano dice di non parlare con i popoli del Libro, ovvero ebrei e cristiani, se non con modi di bontà, vuol dire che non dobbiamo usare una lingua diversa dal dialogo pacifico. Ecco dunque che tutti quelli che sono contrari al dialogo non rappresentano l’islam. L’islam può essere rappresentato da alcuni con ignoranza, oppure da altri con la coscienza di avere secondi fini. Il dovere della Lega è di istruire i primi sul vero islam e di condannare gli atti dei secondi».

Come si pone dunque l’islam che lei rappresenta di fronte all’attuale tragedia algerina?
ABDULLAH AL OBAID: Quanto succede in Algeria è proprio ciò che noi rifiutiamo: abbiamo grossi dubbi su chi effettivamente stia facendo quelle operazioni, dubbi ormai ufficiali e che anche il popolo si pone apertamente. La Lega ha espresso formale condanna e, posso dirlo, sta anche contattando le parti ufficiali offrendo aiuto e possibilità di mediazione.
Un altro banco di prova del dialogo politico-religioso è il processo di pace in Terra Santa…
AL OBAID: Per la Lega musulmana Gerusalemme è la città dei luoghi santi e su questi luoghi i veri proprietari hanno diritto: il potere che se ne occupa dal punto di vista religioso sono i religiosi e su questo non c’è nessun disaccordo tra musulmani, ebrei e cristiani. Il problema c’è con l’autorità politica che si trova su quella terra. Tempo fa quell’autorità era arabo-islamica. Poi un’altra autorità ha occupato con la forza quella terra e le sue proprietà, senza distinguere tra musulmani e cristiani. Questa occupazione è contro le dichiarazioni dell’Onu e il Trattato di Ginevra. Il disaccordo con l’occupante è proprio qui.
Sotto il potere arabo-islamico sulla città, non c’era alcun disaccordo per quanto riguarda la sorveglianza dei luoghi santi e di preghiera, fino al punto che i cristiani, per evitare dispute tra di loro, hanno dato le chiavi delle chiese ai musulmani. Questa è storia, non si può nascondere. Non parliamo di un periodo particolare, o di un governatore particolare, ma di ciò che fa parte della legge musulmana. Quando, nel 638, il califfo Omar Al Khattab conquistò Gerusalemme, non volle pregare nel Santo Sepolcro, ma ne uscì. «Affinché» disse lui «dopo di me non venga un musulmano affermando che, poiché io ho pregato qui, questo luogo sia senz’altro trasformato in moschea». Bisognerebbe allora distinguere tra l’autorità politica occupante e i diritti religiosi.
Ma è difficile distinguere tra la libertà religiosa e la questione politica, perché adesso il credente musulmano non può liberamente arrivare alla moschea. Allora richiediamo alla società internazionale di fermare le misure attuate dall’autorità politica che vieta ai musulmani di accedere alle moschee. Ciò che è ancora più pericoloso è che alcuni ebrei vogliono diminuire il diritto dei musulmani su quel posto di preghiera che è Gerusalemme, per ricostruirvi il tempio di Salomone.
Il problema è avere un’autorità politica per impedire questi atti: se qualcuno occupa la tua casa non basta che poi ti dia il permesso di stare in cucina, deve andarsene.
Accettereste un tavolo di dialogo, “negoziale”, con autorità religiose ebraiche sul tema della libertà di culto?
AL OBAID: Ripeto che noi siamo aperti al dialogo, ma visto che il problema è politico, sono i politici che dovrebbero risolverlo. Per quanto riguarda la soluzione politica, la decisione dell’Onu del ’49 ha stabilito la modalità della gestione di Gerusalemme. Ma niente si è risolto, perché l’internazionalizzazione non è la soluzione. Il risultato è stato l’occupazione israeliana del ’67. Non ci sono differenze tra le dichiarazioni del Vaticano, quelle del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la posizione della Lega musulmana riguardo Gerusalemme.
Con la Santa Sede che rapporto ha la Lega musulmana?
AL OBAID: Con il Vaticano dialoghiamo da venticinque anni. Ci sono casi comuni che tentiamo di risolvere e che ci interessano, come i diritti dell’uomo, la condizione della famiglia e la posizione religiosa della vita rispetto a quella laica, l’ateismo, l’assistenza ai poveri e a chi ha subito disgrazie. Ci siamo coordinati con la Chiesa cattolica in diversi congressi internazionali. E abbiamo avuto convergenze: in Bosnia, durante la guerra, il Papa ha condannato gli atti dei serbi contro i musulmani e questo è stato per noi motivo di apprezzamento e conforto; in Algeria, lo scorso anno, la Lega musulmana ha condannato l’assassinio di cinque religiosi, dichiarazione che ha soddisfatto la Chiesa. Abbiamo preso la stessa posizione per quanto riguarda la famiglia al Congresso AL OBAID: Noi impariamo dall’esperienza e cambiamo anche grazie a nuove relazioni. L’Iran, secondo quanto affermano i suoi responsabili e secondo i risultati elettorali, è in movimento, sta cambiando nel suo rapporto con gli altri. E noi accogliamo questi movimenti e cambiamenti diretti a realizzare l’unità e la collaborazione internazionale, a favore dell’essere umano. L’Iran non è l’unica nazione che, passata un’esperienza, ora sta cambiando. Altre nazioni sono cambiate: l’Unione Sovietica, la Cina, Cuba e lo Yemen del Sud. L’Iran è solo una di loro, non c’è niente d’eccezionale.
Allora, lei come descriverebbe un Paese musulmano che insegue la modernità, pur nel rispetto della tradizione islamica?
AL OBAID: Nell’islam ci sono delle cose fondamentali che riguardano la fede, l’esistenza della nazione e il rapporto con Dio. Per quanto riguarda le prassi amministrative, politiche, la collaborazione internazionale e l’organizzazione della società, si possono trovare soluzioni varie e servirsi delle esperienze avute con gli altri. Credo che i cambiamenti in Iran siano cambiamenti di mezzi verso lo stesso scopo: l’Iran è sempre una nazione islamica. E non dobbiamo dimenticare che i cristiani e gli ebrei in Iran non hanno subìto nessun male, nemmeno nella furia della rivoluzione islamica khomeinista. Neanche nei loro luoghi di preghiera e adorazione.
Infine, esistono Paesi islamici con presidenti cristiani e Paesi a maggioranza cristiana con presidenti musulmani. Cosa vuol dire tolleranza in questi casi?
AL OBAID: Nel caso in cui la maggioranza sia musulmana e il presidente no, o viceversa, la Costituzione e la legge stabiliscono il rapporto tra l’autorità e il popolo. Per esempio, in Costa d’Avorio la maggioranza è musulmana, ma i posti di governo sono occupati da cristiani, che rappresentano solo il tredici per cento della popolazione. Ma c’è il sistema dei partiti, e se avesse vinto un altro partito avrebbe governato un musulmano. La Costa d’Avorio rimane sempre un Paese laico, dove vige una legge non religiosa. La Costituzione è quella che vale. Abbiamo altri casi, ad esempio la Sierra Leone, ove gran parte della popolazione è musulmana, come il presidente Ahmad Tejan Kabbah. Per allontanarlo, per motivi religiosi, c’è stato una colpo di Stato, che però la comunità internazionale e la Lega islamica hanno rifiutato. Ed una forza armata multinazionale è intervenuta: per ristabilire la democrazia, non per proteggere i musulmani.


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