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RIFORMA SCOLASTICA
tratto dal n. 11 - 1999

Per chi suona la campanella


La nuova legge cambierà il volto della scuola italiana dalle elementari alle superiori. Saremo più vicini ai sistemi scolastici degli altri Paesi europei ma potrebbero esserci anche delle conseguenze negative. Apriamo il dibattito sulla riforma dei cicli scolastici con gli interventi di due senatori. Dibattito che continuerà nel prossimo numero


introduzione di Giovanni Ricciardi


Il più importante provvedimento di riforma della scuola da settant’anni a questa parte rischia di essere approvato in un clima distratto, senza che ci si renda conto delle conseguenze decisive che comporterebbe per la scuola del 2000. È il progetto di riforma dei cicli scolastici voluto dal ministro Berlinguer, che, dopo aver superato il 25 settembre scorso l’esame della Camera dei deputati, è ora in discussione alla Commissione permanente per l’Istruzione pubblica e i Beni culturali del Senato. Il progetto, una volta approvato, sarà una rivoluzione per la scuola, anche se i mass media oggi sono molto più interessati alla questione della parità scolastica, alla quale anche il mondo cattolico sembra più sensibile.
Foto di Carlo Bavagnoli

Foto di Carlo Bavagnoli

Allo stato attuale la nuova legge si compone di soli sei articoli, poche pagine da cui si ricava un solo dato fondamentale: la scuola italiana sarà ridotta dai tredici anni complessivi – cinque di elementari, tre di medie, cinque di superiori – a dodici. Una riduzione che permette un adeguamento agli standard europei, anche se sulla situazione della scuola nel resto d’Europa non affiorano sempre dati confortanti. Infatti ai primi di settembre un’indagine dell’Eurispes ha messo in evidenza che, nonostante le sue deficienze, la scuola italiana, soprattutto per quanto riguarda le elementari e le medie, rispetto alle altre esperienze europee ottiene ancora risultati invidiabili.
Secondo le dichiarazioni di principio, l’abbreviamento del curriculum degli studi otterrebbe comunque lo scopo di consentire un accesso più rapido al mondo dell’università e del lavoro. Certo è che l’adeguamento ai “livelli europei” avrà sì come effetto una consistente riduzione della spesa pubblica per il comparto scuola ma attraverso una riduzione drastica nell’organico degli insegnanti stimata intorno alle 80mila unità. Il che significa in sostanza un blocco delle assunzioni e un ridimensionamento del numero degli edifici scolastici sul territorio nazionale. Quest’effetto negativo sarebbe solo in minima parte compensato da un ingresso più massiccio nella scuola superiore dovuto all’innalzamento dell’obbligo scolastico, provvedimento peraltro già in atto da quest’anno.
Come si articola la nuova scuola? In due cicli, al posto dei tre attuali. Scompare la scuola media, che “fondendosi con le elementari”, dà vita a un “ciclo primario” di sette anni, cui fa seguito un corso quinquennale di studi secondari che prenderanno tutti la “magica” denominazione di licei. Nei primi due anni di liceo si conclude l’iter dell’obbligo scolastico, e solo gli ultimi tre potranno essere considerati “facoltativi”. I licei saranno inoltre suddivisi in aree. Quante? Il testo di legge non è chiaro sulla questione. Si parla di aree «classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale». Dal che non si capisce se siano quattro, cinque o sei, non essendo specificato se le aree tecnica e tecnologica siano due o una, e lo stesso per quella artistica e musicale. Si dice poi che le aree saranno suddivise a loro volta in indirizzi, senza specificare quali. Ma si afferma che, nel biennio obbligatorio del ciclo superiore, sarà possibile passare agevolmente da un indirizzo all’altro. Questo vorrebbe dire che gli indirizzi non saranno fortemente caratterizzati dalle materie specifiche, riproducendo, nei primi due anni di liceo, il modello sostanzialmente unitario della scuola media. E abbassando ulteriormente gli standard dell’istruzione, per cui il vero e proprio liceo d’indirizzo si riduce ai soli tre anni finali. Comunque, in assenza di qualunque ulteriore chiarificazione, dal testo di legge in esame al Senato si possono ricavare solo impressioni e supposizioni.
Il vero problema infatti sarebbe capire quali contenuti saranno studiati. Su questo, la legge tace. Ed è il punto su cui si addensano i maggiori interrogativi. L’articolo 6 si limita a spiegare che «entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il governo presenta al Parlamento un piano quinquennale di progressiva attuazione della riforma». In pratica, la determinazione dei contenuti e la scansione dei programmi è demandata totalmente al Ministero della Pubblica istruzione.
A far luce sulla questione avrebbe dovuto provvedere la commissione dei “44 saggi”, nominata nel 1997 da Berlinguer e presieduta dal professor Antonio Maragliano, docente di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento alla Terza Università di Roma. Ad essa era stato affidato il compito di stilare il documento finale «sulle conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni». Ma la commissione non è riuscita ad approvare un documento unitario, suscitando un vespaio di polemiche tra i suoi stessi membri. «Quel documento non è stato approvato da nessuno, erano parole in libertà. Non è stato firmato dai “44 saggi”: è un documento di Maragliano, e, come tale, ciascuno lo prenda come vuole» ha dichiarato a proposito il professor Luigi Radicati di Brozolo, fisico e membro dell’Accademia dei Lincei, che ha partecipato ai lavori della commissione. Tra l’altro, nel gruppo dei 44 non erano stati inseriti né docenti di scuola media superiore o inferiore né, quel che più sorprende, studiosi di letteratura italiana. Il testo che ne è scaturito e che, come si è detto, non rispecchia affatto una posizione unitaria della commissione, spicca comunque per una dichiarazione d’intenti così chiara da lasciare stupiti: «È necessario» vi si legge «un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari». Il che significa, solo per fare un esempio, un drastico ridimensionamento dell’insegnamento della lingua latina e di quella greca negli studi classici, o l’abolizione dello studio della letteratura italiana negli istituti tecnici.
Il ministro Berlinguer, dopo l’esperienza del gruppo dei 44, ha nominato una seconda commissione, nota con il nome di “gruppo dei sei” e presieduta dallo stesso Maragliano, che ha prodotto un documento stavolta unitario, di sole sei pagine, richiamandosi alle conclusioni prodotte dal precedente gruppo di lavoro. Un testo che non brilla certo per la chiarezza delle indicazioni: «Grande importanza» vi si legge ad esempio «va attribuita all’interazione fra i linguaggi della mente e quelli del corpo, che abbatte la tradizionale barriera fra processi cognitivi ed emozioni, facendo emergere un’idea di persona come sistema integrato, alla cui formazione e al cui equilibrio dinamico concorrono la componente percettivo-motoria, quella logico-razionale e quella affettivo-sociale […]. Il traguardo finale sarà un insegnamento-apprendimento organizzato per temi, alla cui elaborazione concorrano diversi settori culturali, ed in cui l’analisi dei contenuti specifici sia accompagnata e arricchita da aspetti storico-epistemologici e tecnico-applicativi, in modo da dare una chiara percezione di quanto sia oggi essenziale per la risoluzione dei problemi complessi un approccio multidisciplinare integrato».


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