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ANNIVERSARI
tratto dal n. 12 - 2007

I ragazzi che sanno dove va il mondo


Ottant’anni fa nasceva la Lega missionaria studenti, animata dai padri gesuiti. Lo scopo era raccogliere fondi per le missioni cattoliche, ma anche studiare la realtà politica e sociale dei Paesi di missione. Divenne così una delle fonti più autorevoli e informate sulle crisi internazionali del tempo


di Pina Baglioni


Una foto del centro della Lega missionaria studenti di Verona nel 1929

Una foto del centro della Lega missionaria studenti di Verona nel 1929

Roma, luglio 1927. In uno studiolo del celeberrimo ed esclusivo istituto Massimiliano Massimo, nei pressi delle Terme di Diocleziano, un gruppo di studenti e due padri gesuiti stanno ciclostilando una paginetta scritta a mano. I due sacerdoti sono Giuseppe Massaruti, direttore spirituale dell’istituto, e il belga Hermann Haeck, vicesegretario delle missioni della Compagnia di Gesù, alle dipendenze dirette del generale dell’Ordine, padre Wladimir Ledochowski. «Quelle prime copie erano delle autentiche porcherie, con un testo inciso a mano ma appena visibile che bisognava completare, una copia per volta, a penna», ricorderanno qualche anno dopo.
Altro che porcherie. In quella giornata di luglio stavano muovendo i primi passi due realtà considerate, ancora oggi, leggendarie: la Lega missionaria studenti e il primo numero del suo organo ufficiale, il bollettino Lms. Due realtà simbiotiche, nate col proposito di «raccogliere preghiere e comunioni per le missioni cattoliche fra gli infedeli e gli eretici».
Di fatto, gruppi a sostegno delle missioni ce n’erano già in abbondanza in quel periodo in Italia. Ma all’istituto Massimo guardavano oltre confine per prendere ispirazione per la loro nuova creatura: «In altre nazioni, nel Belgio per esempio», si legge in quel primo bollettino, «un piccolissimo numero di giovani studenti ha dato origine a un vastissimo movimento di zelo missionario. Come fecero essi perché non potremo far noi? All’opera, dunque, e preghiamo a questo fine».

«Sono studenti. Che studino le missioni!»
Padre Haeck conosce bene alcuni “cervelloni” dell’istituto Massimo. Anche perché, come apostolato personale, va tutte le domeniche a confessarli. Molti di loro, oltre che a studiare, trovano anche il tempo di vendere francobolli, cartoline, carta da macero per aiutare le missioni. E ogni mattina, dalle otto alle otto e trenta, depongono nello studio di padre Massaruti il ricavato.
«Si realizzò un’idea semplicissima basata su studio, preghiera e raccolta di soldi in maniera libera e creativa», racconta padre Cristoforo Sironi, direttore della Lega dal 1970 al 1995. Ci riceve presso la residenza dei Gesuiti della provincia d’Italia, in via degli Astalli, a Roma, alle spalle della Chiesa del Gesù, sede, per molti anni, proprio della Lega missionaria studenti. «Haeck aveva notato la particolare intelligenza di alcuni ragazzi del Massimo tanto da parlarne al superiore generale. E proprio Ledochowski aveva commentato: “Questi sono studenti. Perché si devono ridurre solo a raccoglier soldi? Facciamo delle missioni oggetto di studio, per sostenere la preghiera e l’azione esterna”». L’“agenda” degli argomenti di studio sarebbe stata dettata, per la maggior parte, dalle intenzioni missionarie che Pio XI, “il Papa delle missioni”, destinava all’Apostolato della preghiera, associazione nata, anche questa, in seno alla Compagnia di Gesù. Insomma, un’operazione dalla logica schiacciante: c’era chi doveva studiare e chi doveva pregare. Anche se, in realtà, i giovani della Lega avrebbero fatto entrambe le cose. E, in occasione di uno dei primi congressi, Pio XI avrebbe donato alla Lega il motto: «Fede per fede, Dio per Dio».

Enrico Medi con la moglie

Enrico Medi con la moglie

Il nucleo storico: Enrico Medi e Gabrio Lombardi
In realtà prima di quella giornata di luglio del 1927, il 27 marzo dello stesso anno c’era già stata una specie di prova generale: una grande manifestazione al Massimo per raccogliere fondi a favore dell’Università Cattolica di Tokyo, andata completamente distrutta dopo il disastroso terremoto del 1° settembre 1923. Gli studenti avevano tenuto, davanti a un pubblico composto esclusivamente di parenti, delle conferenze illustrate sul Giappone. A impressionare particolarmente la platea era stato uno spettacolino teatrale intitolato Lo straniero, sulla storia dei primi martiri giapponesi, morti tutti all’età di quindici anni. Autore e “attore” un certo Gabrio Lombardi, studente di quinta ginnasio. Che, negli anni a venire, avrebbe infiammato anche la scena della politica italiana. E qualche giorno dopo quella manifestazione, mentre Lombardi e altri si trovavano da padre Massaruti a studiare lo “Student volunteer movement”, un movimento studentesco protestante capace di inviare undicimila laureati in missione, un ragazzo di seconda liceo aveva fatto irruzione per sbaglio nella stanza: «Medi, vieni qua! Abbiamo proprio bisogno di te», l’aveva esortato Massaruti. Era Enrico Medi, futuro fisico di fama internazionale. Laureato a ventun anni con Enrico Fermi, Medi parteciperà ai lavori dell’Assemblea costituente, sarà deputato nella prima legislatura, vicepresidente, a Bruxelles, dell’Euratom (Comunità europea dell’energia atomica) e commentatore alla Rai dello sbarco sulla luna, il 21 luglio del 1969. «Ma ciò che mi ha appassionato ancora di più della scienza e della politica è stata la Lega missionaria studenti», ricorderà in più di un’occasione. Primo presidente, ne manterrà la carica onorifica fino alla morte, avvenuta il 24 maggio del 1974. Anche nel 1967, in occasione del congresso mondiale degli ex alunni della Compagnia di Gesù, Medi aveva ricordato la Lega: «Cominciai a farne parte in seconda liceo, quando ancora portavo i calzoni a mezz’asta. Studiavamo un argomento al mese: Africa, Cina, India, Afghanistan, Norvegia… Quando poi ci si riuniva, uno di noi faceva da moderatore e poi, uno alla volta, con le schede di studio alla mano, presentavamo le ricerche. Il nostro lavoro era minuziosissimo, profondo, preciso. Le conferenze erano accuratamente preparate con diapositive e testi. Precorrevamo addirittura gli avvenimenti».

Precorrere gli avvenimenti: i geopolitici ante litteram
Ci sono due episodi, accaduti nel 1950 a un Enrico Medi deputato, che chiariscono cosa significò l’esperienza della Lega missionaria: «Un giorno riuscii a zittire un mio collega alla Camera che aveva parlato in maniera inesatta e approssimativa della Cina», racconta. «Tanto che il ministro degli Esteri, Carlo Sforza, mi chiese quando fossi stato in Oriente. Poi, il 25 giugno, allo scoppio della guerra di Corea, consegnai ai deputati le copie di Gentes [il bollettino Lms dal 1947 aveva cambiato testata, ndr] con un articolo proprio sulla Corea. L’autore, il grande padre Eugenio Pellegrino, l’aveva scritto nel marzo dell’anno prima. E in gran fretta, su richiesta della Presidenza del Consiglio, si dovette ristampare quel vecchio numero per distribuirlo a senatori e deputati».
Senza tessere né iscrizioni, la Lega fu un movimento assolutamente “elastico”. All’inizio, i primi gruppetti del Massimo, una volta studiato il loro argomento mensile, se ne andavano di classe in classe a raccontare ai compagni tutto quello che avevano scoperto. Poi ci furono le trasferte presso altre scuole e parrocchie di Roma che generarono altri gruppi. Frequentatissimi i centri presso le chiese di Sant’Andrea al Quirinale e di Santa Maria in Aquiro. Strada facendo, quella vicenda tutta romana contagiò le diocesi d’Italia. Tanto che sarà proprio quell’esperienza missionaria studentesca a gettare le fondamenta dei futuri Centri missionari diocesani. Molto attiva la Lega di Milano, con un giovane Giuseppe Lazzati, studente di Lettere, che, nel 1931, naio del ’39) e un’ora di adorazione al Santissimo Sacramento ogni tre mesi.
Padre Hermann Haeck, considerato a tutti gli effetti il fondatore della Lega, fornisce un’immagine commovente di quei primi anni: «Mi ricordo un ragazzino di quinta ginnasio, ancora vestito alla marinara. Veniva tutto affaccendato e urlava: “Oggi mi tocca scrivere un articolo sull’Università Cattolica di Shanghai!”». Insomma, ragazzetti di sedici, diciassette anni, ma anche più piccoli, messi lì dai loro maestri gesuiti a studiare e a scrivere articoli magari sull’evangelizzazione dei vichinghi per opera di sant’Ascario. O sui concili e gli scismi della Chiesa. O sulla rivolta dei Boxer in Cina, i cristiani in India e il sistema delle caste. E ancora sulla Chiesa nazionale di Siria, le eresie nestoriane e monofisite, le sette protestanti. E poi, dati demografici, cifre, tabelle… Più di un motivo spingeva i ragazzi della Lega a impegnarsi. «I gesuiti, si sa, sono stati sempre molto astuti. Ai miei tempi, per esempio, c’era la gara a chi raccoglieva più soldi per le missioni», racconta Alberto Francesconi, presidente dell’Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo), studente del Massimo e attivista della Lega negli anni Sessanta: «Perché al vincitore veniva concesso un giorno di vacanza. Poveri parenti! Gli spillavamo un sacco di soldi. E poi quasi tutti i sabati e le domeniche ci trovavamo a piazza San Pietro, con una scatola di cartone, di quelle per le scarpe, col buco sul coperchio, per raccogliere i soldi “carpiti” ai pellegrini».

Padre Eugenio Pellegrino attorniato dai giovani durante la Giornata missionaria mondiale presso il Collegio brasiliano a Roma, il 9 ottobre 1950

Padre Eugenio Pellegrino attorniato dai giovani durante la Giornata missionaria mondiale presso il Collegio brasiliano a Roma, il 9 ottobre 1950

Eugenio Pellegrino, «un predicatore che dava la fede»
Duecento centri e cinquemila studenti in tutta Italia in dieci anni di vita. Il fascino per le missioni, grazie alla Lega, ha contagiato molte scuole e università italiane. E, nel 1936, quando padre Massaruti lascia la direzione, il padre generale della Compagnia di Gesù va a pescare, dalla provincia napoletana, padre Eugenio Pellegrino: un autentico fuoriclasse. Con lui la Lega si conforma attorno al suo carisma: scrittore geniale, grande oratore dotato di una logica implacabile. Organizza convegni memorabili, il cui ricordo, a Roma soprattutto, non si è mai estinto. A raffica, Pellegrino ne infila tre sulla conversione dell’India, sull’Etiopia e, tra agosto e settembre del ’39, a Mondragone, vicino a Roma, dà vita alla «Settimana islam». Interrotte le pubblicazioni di Lms per via della guerra, realizza nove studi sulla penetrazione del cristianesimo in Africa, finora rimasti unici nel genere in Italia. Nel 1947 trasforma il vecchio bollettino in una rivista di tale prestigio da annoverare tra i lettori, politici, ambasciatori, studiosi. La chiama Gentes, «dal latino biblico che indica i gentili». Padre Vincenzo Cardillo, collaboratore e successore di Pellegrino alla guida della Lega, spiega il metodo giornalistico del padre gesuita in un articolo scritto subito dopo la morte, avvenuta nel ’57: «Dava la parola ai fatti. Affrontava le questioni in modo critico, imparziale. Prendeva note, appuntava notizie, intervistava missionari o personalità di passaggio a Roma, chiedeva informazioni alle ambasciate». E quando, nel dopoguerra, tutti gli consigliano di mettere da parte l’impegno missionario per pensare alla ricostruzione morale dell’Italia, lui non ci sta. In occasione del congresso sulla stampa missionaria, tenuto, nel gennaio del ’46, nel palazzo di Propaganda Fide, chiede, soprattutto ai giovani, di «non lasciarsi mozzare il respiro dal problema personale del proprio posto nella vita» perché quello è un momento decisivo per la storia della Chiesa. «Dobbiamo creare la medesima ondata di entusiasmo per le missioni che percorse tutta l’Europa negli anni successivi all’altra guerra». Esattamente un anno dopo chiama a raccolta duecento giovani nei sotterranei della Chiesa del Gesù per una “tre sere” sul tema “Studenti e missioni”. Una data, il 1947, che segnò il vero periodo di ripresa del movimento e spinse centinaia di giovani a partire come volontari per le terre di missione. Dopo diciassette anni vissuti lavorando indefessamente, nel 1953 Pellegrino parte per l’Oriente e ci rimane per cinque mesi: Giappone, Formosa, Hong Kong, India e Ceylon le tappe del suo viaggio. Quando torna, è stremato. Si ammala gravemente. Ma continua a lavorare e a tenere esercizi spirituali ai giovani e agli strati più popolari di Roma. Muore il 16 settembre del 1957. Chi l’ha conosciuto lo ricorda come «un predicatore che dava la fede». Le ultime parole sono state per i suoi ragazzi e per le missioni: «La vocazione missionaria è il più nobile impiego che i giovani possano fare della giovinezza. Raccomando loro di pregare, di pregare molto; altrimenti il nostro lavoro si riduce a una generica attività esteriore senza efficacia alcuna».


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