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SINDONE
tratto dal n. 06/07 - 2008

Intervista. I dati scientifici

Dati che pongono domande


Oltre un secolo di indagini scientifiche non hanno ancora potuto determinare la causa e le modalità della formazione dell’immagine umana impressa sul telo sindonico. Intervista con Emanuela Marinelli


Intervista con Emanuela Marinelli di Pina Baglioni


Il volto della Sindone

Il volto della Sindone

«Il mio interesse scientifico per la Sindone ha avuto inizio nel 1977, quando il dottor Max Frei, studioso di botanica, annunciò la scoperta sulla Sindone di granuli di polline appartenenti a specie vegetali che esistono in Medio Oriente ma non in Europa. Da allora ho raccolto sulla Sindone circa ottocento volumi e un enorme numero di articoli, ma in particolare circa trecento articoli scientifici, e ho scritto molti libri sull’argomento». Emanuela Marinelli, naturalista, è tra i più competenti studiosi italiani della Sindone. Carattere deciso e impulsivo, ha al suo attivo anche una vasta produzione di genere più informativo su un argomento che non è certo semplice trattare con equilibrio, in particolare di fronte a una divulgazione spesso approssimativa e, per un verso o per l’altro, preconcetta.

Il telo di lino – o Sindone – custodito a Torino è stato oggetto, nel corso dell’ultimo secolo, di numerosi studi che hanno indagato con i metodi di svariate discipline scientifiche (includendo in questa espressione anche i vari aspetti della ricerca storica e archeologica) le caratteristiche dell’immagine che vi appare visibile – l’impronta frontale e dorsale di un uomo con evidenti ferite da crocifissione –, e in particolare si sono interrogati – finora senza successo – sulle modalità della sua formazione. Quali sono i dati oggettivi che si possono ragionevolmente accettare come certi?
EMANUELA MARINELLI: L’interesse scientifico per la Sindone nacque alla fine del XIX secolo, nel 1898, quando nelle prime fotografie, eseguite da Secondo Pia, apparve evidente che parte delle immagini impresse sul telo di lino ha caratteristiche simili a quelle di un negativo fotografico. Dico “parte delle immagini” perché tali caratteristiche sono proprie della doppia impronta che appare sul lino – frontale e dorsale – dell’uomo con ferite identiche a quelle di Gesù crocifisso descritte dai Vangeli, ma non delle macchie, rivelatesi poi di sangue umano, che in corrispondenza delle ferite sembrano in parte coprire l’immagine “negativa” e che in realtà si impressero sul telo prima di essa.
Il primo dato assolutamente certo, dimostrato da studi diversi e indipendenti, è dunque che il rivestimento rosso dei fili del lino in corrispondenza delle ferite è sangue umano di gruppo AB. Questo risultato è confermato da indagini microspettroscopiche, dalla cromatografia e dalla reazione alla benzidina. Inoltre, il rivestimento rosso sui fili viene lisato (cioè sciolto) completamente dalle proteasi. Anche il test degli enzimi proteolitici dimostrò l’assenza di coloranti. In corrispondenza della zona dei piedi è stato rinvenuto un globulo rosso e alcune cellule epidermiche umane. Il sangue contiene Dna umano maschile. L’elevata quantità di bilirubina riscontrata nel sangue è indice di persona fortemente traumatizzata prima della morte. Inoltre, in numerosi rivoli sono evidenti componenti ematici tipici delle varie fasi della coagulazione: la crosta (con la formazione dei ponti di fibrina da parte del fattore XIII) e l’essudato sieroso; risulta quindi evidente che tali impronte si sono formate per contatto diretto del lino con un cadavere. Gli aloni di siero sono invisibili a occhio nudo, ma appaiono se illuminati con luce ultravioletta. Il sangue, coagulato sulla pelle ferita, si è trasposto sulla stoffa per fibrinolisi, fenomeno che causa una parziale lisi (cioè ridiscioglimento) dei coaguli di sangue durante le prime trentasei ore di contatto.
Mentre l’immagine “negativa” frontale e dorsale dell’Uomo della Sindone...
MARINELLI: L’immagine del corpo è impressa in modo ancora oggi scientificamente inspiegabile. Nonostante i più disparati tentativi sperimentali condotti (alcuni dei quali – occorre dirlo – riproposti, difesi e pubblicizzati con pervicacia nonostante il loro evidente insuccesso), le più sofisticate tecniche attuali non permettono di costruire nei dettagli un’immagine simile a quella della Sindone. Essa mostra caratteristiche tridimensionali, non ha linee nette di demarcazione e si è formata sicuramente dopo la deposizione del sangue sul lino, perché sotto le macchie di sangue non è presente. L’ingiallimento del tessuto che forma l’immagine interessa solo uno strato estremamente superficiale delle fibrille del lino con cui è fabbricata la stoffa. L’immagine dorsale, infine, non è influenzata dal peso del corpo. Si può dire anche con certezza che l’immagine non è dipinta: non esiste alcun pigmento organico o inorganico sul telo, e il colore giallo traslucido dell’immagine non è dovuto ad alcuna sostanza di apposizione, ma è causato dalla disidratazione e ossidazione delle fibrille più superficiali; venticinque diversi tipi di solventi, tra cui l’acqua, non degradano o cancellano l’immagine. E si può anche dire che essa non è stata ottenuta per strinatura: è impossibile ottenere un’immagine con le stesse caratteristiche chimiche e fisiche di quella della Sindone usando, ad esempio, un bassorilievo riscaldato.
Il tessuto della Sindone (A) a confronto con i tessuti egiziani simili (B e C) risalenti al II secolo d.C.

Il tessuto della Sindone (A) a confronto con i tessuti egiziani simili (B e C) risalenti al II secolo d.C.

Un’altra serie di considerazioni può essere desunta dall’analisi interna del manufatto e dalle sostanze che nel tempo si sono depositate sul telo di lino. Che cosa si è potuto appurare?
MARINELLI: Per quanto riguarda il manufatto, i fili del telo sindonico furono filati a mano con la torcitura “Z”, diffusa nell’area siro-palestinese nel I secolo d.C. L’intreccio del tessuto, che è a “spina di pesce”, è riconducibile a un rudimentale telaio a pedale; esso presenta infatti salti ed errori di battuta. Il tessuto a spina di pesce è di origine mesopotamica o siriaca. Nei ritrovamenti di tessuti giudaici a Masada, in Israele, è documentata una speciale tipologia di cimosa, uguale a quella presente sulla Sindone, per il periodo compreso tra il 40 a.C. e la caduta di Masada, nel 74 d.C. Sulla Sindone c’è anche una cucitura longitudinale, identica a quella presente su frammenti di tessuto provenienti dai citati ritrovamenti di Masada. Dunque la tecnica di fabbricazione e la tipologia del tessuto danno come indizio una datazione coerente con l’epoca di Cristo. Si può aggiungere che le misure del telo (pure se le dimensioni del manufatto possono essere variate anche significativamente a causa delle ripetute ostensioni, con conseguenti arrotolature, spiegamenti, tensioni e stirature) sembrano potersi riportare a numeri interi espressi in cubiti siriani, un’unità di misura di lunghezza usata nell’antico Israele. Altri sistemi di unità di misura sembrano corrispondere meno, in termini di unità intere, ai valori di lunghezza e larghezza del telo. È interessante anche segnalare che nelle parti del tessuto della Sindone che si sono potute esaminare non sono state trovate tracce di fibre di origine animale, nel rispetto della legge mosaica che prescrive di tenere separata la lana dal lino (Dt 22, 11); le uniche (minime) tracce di altre fibre rinvenute nel telo sono di cotone del tipo Gossypium herbaceum, diffuso nel Medio Oriente ai tempi di Cristo.
Per quanto riguarda poi le sostanze che nel corso del tempo si sono depositate sul telo, si è scoperto che particelle di materiale terroso, prelevate dalla Sindone in corrispondenza dell’impronta dei piedi, contengono aragonite con impurezze di stronzio e ferro; campioni presi nelle grotte di Gerusalemme sono risultati essere molto simili. Un altro elemento rinvenuto sul telo sindonico è il natron (carbonato basico idrato di sodio), utilizzato in Egitto nell’imbalsamazione per la sua proprietà di assorbire l’acqua, e utilizzato anche in Palestina per la deidratazione dei cadaveri. Anche la presenza di aloe e mirra è stata identificata sulla Sindone. Erano, queste, sostanze usate in Palestina ai tempi di Cristo per la sepoltura dei cadaveri. Esperimenti hanno dimostrato che gli aloni dall’aspetto seghettato, lasciati dall’acqua sulla Sindone, si formano solo in una stoffa preventivamente imbevuta di aloe e mirra. Infine, l’analisi dei pollini presenti sulla Sindone conferma che essa è stata esposta in Palestina, a Edessa e a Costantinopoli. Delle cinquantotto specie di pollini identificati sulla Sindone dal botanico Max Frei, una trentina sono di piante che non esistono in Europa 7126378">, piante desertiche). In base alla classificazione di altri diciannove nuovi tipi di pollini (in totale quindi sono settantasette), risulta anche che la Sindone attraversò le alte terre del Libano. Fra i pollini trovati, due non esistono né in Europa né in Palestina, ma una di queste specie (Atraphaxis spinosa) esiste a Urfa (Edessa) e l’altra specie (Epimedium pubigerum) esiste a Istanbul (Costantinopoli).
Dunque, tutta la serie di elementi che lei ha illustrato vanno nella direzione di attribuire la Sindone all’epoca di Gesù, e anche a confermare alcuni dati della tradizione storica che identifica il telo sindonico con il Mandylion, l’immagine del volto di Gesù nota in Oriente fin dai primi secoli del cristianesimo. Eppure, la datazione con il metodo del C14, fatta nel 1988 dai tre laboratori di Tucson, Oxford e Zurigo, fornì un’età del tessuto compresa fra il 1260 e il 1390 d.C., del tutto incompatibile con i dati che lei ci ha appena illustrato.
MARINELLI: Le vorrei dire innanzitutto che è importante il suo riferimento alla tradizione storica. Io mi occupo principalmente di scienze fisiche e naturali, ma è anche mia impressione (come di altri studiosi che si sono occupati della Sindone) che su questo argomento si sia spesso trascurato il dato storico a scapito di quello scientifico, ritenuto troppe volte come di valore assoluto a confronto della presunta opinabilità della tradizione letteraria (a partire dai Vangeli), archeologica, iconografica, numismatica e archivistica. Spesso, ad esempio, si sente ripetere che sulla Sindone non esistono documenti prima della sua comparsa in Francia a metà del 1300 nelle mani di un nobile crociato, Geoffroy de Charny. Con banale deduzione qualcuno conclude che deve essere stata fabbricata in quell’epoca, e corrobora questa deduzione citando una lettera inviata nel 1389 dal vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, all’antipapa Clemente VII, in cui la Sindone viene dichiarata falsa perché ci sarebbe stata la confessione del pittore che l’avrebbe dipinta. Ma tutte le analisi fatte sul telo sindonico escludono che quell’immagine sia un dipinto: dunque che valore può avere una simile testimonianza che la critica storica, collocandola nel suo preciso contesto, può agevolmente dimostrare non veritiera? Non starò qui a discutere di tutti gli indizi storici e iconografici riferibili alla Sindone prima del 1300, ma è certo che quantomeno dal VI secolo si diffonde un particolare tipo di ritratto di Cristo che ha molte caratteristiche comuni con il volto sindonico. Lo studio delle pieghe del telo sindonico ci permette di capire come per un certo periodo di tempo esso dovette essere esposto ripiegato, in maniera da mostrare il solo volto di Cristo, e in un tempo successivo appeso in verticale mostrando anche parte del corpo, similmente all’imago pietatis, raffigurazione di Cristo morto che sporge dal sepolcro in posizione eretta fino alla vita, raffigurazione che forse proprio da questa particolare modalità di ostensione della Sindone prende origine. Per non parlare della miniatura della sepoltura di Cristo contenuta nel Manoscritto Pray di Budapest, risalente al 1192-1195, chiaramente derivata dalla Sindone. La Sindone inoltre viene citata nel 1204 da un cavaliere francese, Robert de Clari, che la vede a Costantinopoli durante la IV crociata.
Come si giustifica dunque tutto questo, se il C14 ha dato una datazione tra 1260 e 1390? Dobbiamo presupporre l’esistenza di una vera Sindone in seguito scomparsa, di cui quella pervenutaci sarebbe una imitazione? Ma ciò contrasterebbe ancora con i dati, in gran parte incontrovertibili, che si desumono dall’analisi del telo e dei residui presenti su di esso di cui abbiamo parlato prima. Contrasterebbe poi con l’impossibilità di riprodurre, anche ora e con le più moderne tecnologie, l’immagine sindonica.
Lo scienziato Samuel F. Pellicori esamina la Sindone con uno stereomicroscopio

Lo scienziato Samuel F. Pellicori esamina la Sindone con uno stereomicroscopio

La stessa precisione anatomica, fin nei minimi dettagli, dell’immagine dell’Uomo della Sindone farebbe escludere – al di là di tutte le prove scientifiche che ha illustrato – che possa trattarsi di un manufatto di epoca medievale, cosa impossibile per il grado di conoscenza del corpo umano che allora si aveva.
MARINELLI: Certamente. Ma c’è di più: sull’immagine dell’Uomo della Sindone sono presenti tracce davvero sorprendenti, che ci indicano che la Sindone ha avvolto con certezza il cadavere di un uomo che è stato torturato e ucciso proprio come i Vangeli ci descrivono a proposito di Gesù.
E quali sono in particolare queste tracce?
MARINELLI: Innanzitutto l’Uomo della Sindone è stato flagellato. Tutto il corpo è stato colpito con un flagrum taxillatum romano, tranne il petto. Le ferite indicano due diverse zone di provenienza dei colpi, e si può dunque supporre che i flagellatori fossero due. Questa flagellazione non doveva essere mortale ed è stata inflitta come pena a sé stante, più abbondante del consueto preludio alla crocifissione: infatti furono dati circa centoventi colpi anziché i normali ventuno. Tanti se ne contano sul telo sindonico. Non si tratta di una flagellazione ebraica perché gli ebrei, per legge, non superavano le trentanove battute. Ogni colpo ha provocato sei contusioni indotte da altrettanti ossicini posti alle estremità delle tre corde del flagrum. Doveva seguire la liberazione; invece il condannato fu poi crocifisso (Sal 129, 3; Is 50, 6; Mt 27, 26; Mc 15, 15; Lc 23, 25; Gv 19, 1). La flagellazione non è avvenuta durante il trasporto del patibulum perché esistono segni di flagrum anche in corrispondenza delle spalle. Tali ferite sono diverse dalle altre presenti su tutto il corpo perché risultano compresse da un corpo pesante.
L’Uomo della Sindone fu coronato di spine: la testa presenta, su tutta la sua superficie, una cinquantina di ferite causate da corpi appuntiti. Fu intrecciato un casco di spine conforme alle corone regali dell’Oriente. Non si trattò, quindi, del cerchio di spine tramandato dalla tradizione occidentale (Mt 27, 29; Mc 15, 17; Gv 19, 2). Il rivolo a forma di 3 rovesciato che si vede sulla fronte (particolare, questo, che tra l’altro appare in varie raffigurazioni del volto di Cristo in Oriente già ben prima dell’anno Mille) corrisponde a una lenta e continua discesa di sangue venoso causata da una spina conficcata nella vena frontale; il particolare aspetto del 3 rovesciato è dovuto al corrugarsi del muscolo frontale sotto lo spasmo del dolore. La macchia di sangue a destra, alla radice dei capelli, è formata da un coagulo circolare di sangue arterioso, perché fuoriesce a getto intermittente.
Sul volto dell’Uomo della Sindone risultano evidenti diverse tumefazioni e la rottura del naso, verosimilmente provocata da una bastonata che ha colpito anche la guancia destra (Mt 27, 30; Mc 15, 19; Gv 19, 3).
L’Uomo della Sindone presenta un’ecchimosi a livello della scapola sinistra e una ferita sulla spalla destra, correlabili al trasporto della parte orizzontale della croce, il patibulum (Mt 27, 31-32; Mc 15, 20-21; Lc 23, 26; Gv 19, 17). Nella zona delle ecchimosi, le ferite da flagrum non sono state lacerate dallo sfregamento con il legno: infatti a Gesù fu fatta indossare la veste (Mt 27, 31; Mc 15, 20) che ha protetto le ferite dallo sfregamento, ma ha poi causato notevoli dolori quando gli è stata strappata prima della crocifissione (Mt 27, 35; Mc 15, 24; Lc 23, 34; Gv 19, 23-24). Le cadute, tramandateci dalla tradizione, sono confermate dalle particelle di terriccio misto a sangue trovate sul naso e sul ginocchio sinistro. La legatura del patibulum impediva al condannato di ripararsi con le mani. È stata identificata una notevole quantità di materiale terroso anche in corrispondenza del calcagno.
L’Uomo della Sindone non era cittadino romano, altrimenti non sarebbe stato crocifisso. Le ferite dei polsi e dei piedi corrispondono a quelle di un uomo fissato alla croce con chiodi. Nell’immagine sindonica non si vedono i pollici: la lesione del nervo mediano, causata dalla penetrazione del chiodo nel polso, causa, infatti, la contrazione del pollice.
Dall’analisi medico-legale risulta che l’Uomo della Sindone, quando morì, era disidratato (Mt 27, 48; Mc 15, 36; Lc 23, 36; Gv 19, 28-29; Sal 69, 4; Sal 69, 22; Sal 22, 16). Per accelerare la morte, molto spesso venivano spezzate le gambe dei crocifissi: così il condannato moriva per asfissia poiché restava appeso per le braccia. Risulta dalla Sindone che le gambe non furono spezzate (Gv 19, 33; Es 12, 46). L’Uomo della Sindone è stato trafitto al lato destro della cassa toracica. I margini della ferita sono allargati, precisi e lineari, tipici di un colpo dato dopo la morte. L’infarto seguito da emopericardio si ritiene la più attendibile causa di decesso. L’emopericardio è il momento terminale di un infarto miocardico ed è causato da spasmi in rami coronarici sotto la spinta di violenti stress psicofisici. La morte per emopericardio si deduce dalla chiazza di sangue che fuoriesce dalla ferita, in cui si notano grumi densi separati da un alone di siero; ciò può avvenire in un uomo deceduto in seguito a un notevole accumulo di sangue nella regione toracica. Questo accumulo può essere spiegato dalla rottura del cuore e dal conseguente versamento di sangue fra il cuore stesso e il foglietto pericardico esterno, che causa un dolore retrosternale lancinante. Nel Vangelo si legge che Gesù prima di spirare lancia un grido (Mt 27, 50; Mc 15, 37; Lc 23, 46; Sal 69, 21; Sal 22, 15). La ferita, praticata con la lancia sul cadavere dopo un certo tempo, ha quindi permesso la fuoriuscita del sangue che si era già separato dal siero (Gv 19, 34; Is 53, 5; Zc 12, 10; 1Gv 5, 6; Ez 47, 1).
La Sindone è un lenzuolo di lino dalla tessitura pregiata: i Vangeli ci dicono che il telo funerario di Gesù fu acquistato da Giuseppe d’Arimatea, un uomo ricco (Mt 27, 57-60; Mc 15, 42-46; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-40). Sulla Sindone sono state trovate tracce di aloe e mirra, le sostanze profumate portate da Nicodemo (Gv 19, 39-40). L’Uomo della Sindone non fu lavato perché vittima di morte violenta. Dai decalchi ematici si deduce che il suo corpo è stato avvolto nel lenzuolo entro due ore e mezza dopo il decesso ed è rimasto nel lenzuolo meno di quaranta ore. Non ci sono infatti segni di putrefazione (Sal 16, 10).
Infine, il contatto tra corpo e lenzuolo si è interrotto senza alterare i decalchi di sangue che sono rimasti estremamente nitidi. Se il corpo fosse stato estratto dal lenzuolo, ci sarebbero sbavature che invece non si notano. Ma le impronte dimostrano che non c’è stata estrazione meccanica.
Papa Benedetto XVI riceve in dono dalla diocesi di Torino una copia della Sindone a grandezza naturale (437 centimetri di lunghezza per 111 di altezza), Aula Paolo VI,  2 giugno 2008

Papa Benedetto XVI riceve in dono dalla diocesi di Torino una copia della Sindone a grandezza naturale (437 centimetri di lunghezza per 111 di altezza), Aula Paolo VI, 2 giugno 2008

E dunque, per ritornare alla domanda precedente, come si spiega la datazione 1260-1390 uscita dalle analisi del C14 del 1988?
MARINELLI: Molti studiosi, già da subito dopo la comunicazione dei risultati delle analisi e poi anche recentemente, si sono convinti che non possa essere ritenuta valida. È stato detto che il campione esaminato non era rappresentativo dell’intero lenzuolo. Sui fili è stata riscontrata la presenza di un rivestimento bioplastico di funghi e batteri; inoltre ci sono fibrille di cotone e incrostazioni di coloranti, indizio di un rammendo invisibile che può avere inficiato la validità di tale prova. Purtroppo i tre laboratori non fornirono all’epoca i dati grezzi delle analisi, e questo impone di dover accettare il risultato senza una sia pure parziale possibilità di controverifica. Ma di queste analisi si è parlato moltissimo e forse anche troppo, e nell’opinione comune si tende a dare al C14 un valore quasi “miracolisticamente” definitivo. Si tratta invece di analisi complesse naturalmente soggette anch’esse a errore.
In un documentario della Bbc, recentemente trasmesso anche dalla televisione italiana, il professor Christopher Ramsey, attuale direttore del laboratorio di Oxford, che all’epoca firmò i risultati delle analisi, è sembrato possibilista su un ripensamento circa i risultati del 1988. Si è detto da più parti che potrebbero essere rimessi in discussione...
MARINELLI: Ho avuto uno scambio epistolare diretto con lui proprio a questo proposito e mi sembra che il suo pensiero sia stato un poco forzato, forse anche per dare pubblicità al documentario. In buona sostanza, egli afferma che di fronte a nuovi elementi sarebbe disposto a rimettere in discussione la questione, ma che al momento attuale non vede motivo per cui debba essere riaperta. Piuttosto speriamo che in occasione della nuova ostensione prevista per il 2010 possa essere condotto un nuovo programma di indagini a più ampio spettro. Il problema dei metodi di datazione, sia pure importante, è certamente secondario rispetto al quesito di come si sia formata l’immagine sul telo della Sindone. E il come ci aiuterebbe anche a capire il quando e il perché.


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