CHIESA. Il nuovo segretario generale della Cei
Dalla Sicilia per servire
Intervista con monsignor Mariano Crociata: «Il compito della Chiesa è abbracciare la propria missione e mettersi al servizio del nostro paese, con delicatezza e rispetto, con chiarezza e convinzione, affinché tutti abbiano la possibilità di incontrare e amare il Signore Gesù Cristo»
Intervista con Mariano Crociata di Gianni Cardinale
Il 20 ottobre il vescovo
Mariano Crociata si è insediato nell’ufficio di segretario
generale della Conferenza episcopale italiana. Succede a Giuseppe Betori,
promosso arcivescovo di Firenze l’8 settembre. La nomina di Crociata
– che dal luglio 2007 era vescovo di Noto – è stata
pubblicata dalla Santa Sede il 25 settembre alla fine dei lavori del
Consiglio permanente. Il segretario generale della Cei infatti, al
contrario di quello che avviene normalmente negli altri episcopati del
mondo, non è eletto dall’assemblea del vescovi, ma nominato
dal Papa – che è il Primate d’Italia – su
indicazione della Presidenza e sentito il parere del Consiglio permanente. 30Giorni ha
l’opportunità di incontrare monsignor Crociata poco dopo il
suo insediamento nel palazzo della circonvallazione Aurelia, dove ha sede
il “quartier generale” della Cei. Il presule siciliano,
vincendo una naturale timidezza e una certa ritrosia nei confronti del
circolo mediatico, accetta di rispondere ad alcune nostre domande.
Eccellenza, come è nata la sua vocazione al
sacerdozio?
MARIANO CROCIATA: Ero un ragazzo di parrocchia della fine degli anni Cinquanta, a Partanna, dove sono cresciuto dopo che la mia famiglia si era trasferita dal mio paese di nascita, Castelvetrano. Una parrocchia di paese con la vitalità tipica di quegli anni: partecipavo all’Azione cattolica e facevo il chierichetto. Il parroco mi teneva un po’ d’occhio. Era un sacerdote buono, non particolarmente brillante, ma che lavorava con grande zelo apostolico. Una figura tipica, per l’epoca, molto attivo nell’accompagnare i riti e le celebrazioni che caratterizzavano la vita cristiana del paese. Già tra la quarta e la quinta elementare mi fece fare un’esperienza nel seminario estivo. E poi, finita la scuola elementare, mi chiese: «Perché non vai in seminario?». Mi sembrò quasi naturale passare dalla parrocchia al seminario. Poi la vocazione maturò poco a poco.
Che ricordo ha del seminario minore?
CROCIATA: Mi è rimasto impresso un passaggio importante. Nel 1968-’69 il seminario di Mazara era pieno: una cosa strepitosa, credo ci fossero più di cento ragazzi. Subito dopo, nel 1969-’70, ci fu un crollo, trenta ragazzi. Negli ultimi anni il nostro era un gruppo più ristretto, più curato, con maggiore partecipazione da parte nostra.
Era l’onda lunga del ’68…
CROCIATA: Sì, comunque il seminario maggiore a Mazara già non c’era più. O meglio, non era più in città, i seminaristi studiavano altrove. Ora ha la sua sede a Palermo.
Quali sono le figure che l’hanno accompagnata nel suo cammino verso il sacerdozio?
CROCIATA: Da seminarista sono cresciuto in un’altra parrocchia. In quegli anni ci fu il terremoto del Belice [gennaio 1968, ndr] con tutte le traversie che seguirono. La mia famiglia visse per un po’ di tempo in una baracca. E anche la parrocchia fu trasferita in un locale di fortuna. Ricordo bene come queste vicissitudini vennero condivise un po’ da tutti. In quegli anni ricordo particolarmente vicini, come educatori, i superiori del seminario.
Lei ha studiato alla Gregoriana come alunno dell’Almo Collegio Capranica…
CROCIATA: L’allora vescovo di Mazara, Giuseppe Mancuso, aveva già presentato al Capranica un altro seminarista. Siccome rendevo bene negli studi, sollecitato dal rettore, presentò anche me. Il Capranica e la Gregoriana mi hanno segnato nel senso che lì maturai la mia vocazione e i miei interessi culturali.
Correvano gli anni Settanta, un po’ tumultuosi, fuori e dentro la Chiesa…
CROCIATA: In effetti erano anni confusi, difficili. Ho visto evolvere me stesso e l’ambiente in cui vivevo da quel clima che tutto un po’ connotava, la cosiddetta contestazione, fino a una presa di coscienza del valore della Chiesa, anche come istituzione, e del valore di alcune idee teologiche di fondo. Lungo gli anni di collegio e di università sono stato accompagnato e sostenuto da diverse figure significative di educatori e colleghi, con cui ho condiviso il cammino di formazione.
Alla Gregoriana con quale tesi si è laureato?
CROCIATA: Ho presentato una tesi, sotto la guida del professor Peter Henrici, su un canonico regolare lateranense della prima metà del Cinquecento, originario di Gubbio, Agostino Steuco, un umanista che poteva vantare una erudizione sterminata per l’epoca. Pubblicò tra l’altro il De perenni philosophia, la cui idea portante era che c’è una rivelazione originaria, testimoniata nei documenti più antichi delle letterature – era quella una stagione in cui molto della letteratura orientale antica veniva alla luce – che poi si è perduta, e di cui rimangono frammenti più o meno consistenti. In Cristo questa Rivelazione viene ricostituita integralmente ed è possibile nel confronto vedere come quei frammenti di sapienza originaria, la prisca sapientia, facessero parte della rivelazione. Una visione piuttosto concordistica, molto indulgente nei confronti delle differenze.
Lei è conosciuto anche per i suoi studi sul dialogo interreligioso. A Palermo è stato direttore del Dipartimento di Teologia delle religioni presso la Pontificia Facoltà teologica di Sicilia. Quando nasce l’interesse per questa disciplina?
CROCIATA: Successivamente. Nell’84 sono stato invitato dal preside della Facoltà teologica di Palermo a insegnare Teologia fondamentale, su cui avevo conseguito la licenza in Gregoriana. Ma la mia attività accademica è andata sempre di pari passo con l’impegno pastorale. Dapprima come direttore dell’Ufficio catechistico diocesano di Mazara, poi come parroco a Marinella di Selinunte e quindi, dal 1989, come arciprete-parroco della Chiesa Madre di Marsala. Direi che, insieme al collegio e all’università, quella che ha lasciato un’impronta più consapevole è stata l’esperienza della parrocchia, soprattutto a Marsala, dove ho trascorso il periodo più lungo di servizio pastorale.
Come faceva a conciliare il lavoro di parroco con
l’attività accademica?
CROCIATA: Cercavo di distribuire il tempo come meglio potevo.
Ci teneva a fare tutte e due le cose…
CROCIATA: Sì. Mi ricordo che da ragazzo delle scuole medie, quando ero al seminario minore, lo dicevo già al mio educatore. Questa cosa mi è rimasta sempre nel cuore. E le cose sono anni Novanta emergeva ormai in maniera significativa la teologia delle religioni; ne fui incuriosito e fui spinto a riprendere gli interessi sorti fin dagli anni dell’università, dove avevo seguito i corsi di Pietro Rossano. Ho tenuto così un corso in cui analizzavo, tra gli altri, il discusso volume di Jacques Dupuis, uno dei maggiori esperti in materia, sulla teologia cristiana del pluralismo religioso.
Senza entrare in questioni personali, quali sono secondo lei gli aspetti critici della teologia delle religioni?
CROCIATA: C’è il rischio di una teologia pluralistica delle religioni che comporta una rimozione della Chiesa, una relativizzazione di Gesù Cristo o una alterazione della configurazione trinitaria. Ma le varianti sono tante. La grande sfida è mantenere integro il quadro teologico cristiano e riuscire a capire, a cogliere nell’orizzonte teologico della Rivelazione cristiana la pluralità delle religioni come fenomeno positivo – cioè come un fenomeno che rientra in un disegno per noi misterioso che vede Dio condurre tutti alla salvezza – senza ridurre, e tanto meno perdere, l’unicità di Cristo e la sua mediazione salvifica. Sono anch’io dell’idea che l’unica pista è quella indicata dal Concilio Vaticano II, secondo cui il mistero della Pasqua di Cristo, e per esso lo Spirito del Risorto, opera in un modo che Dio conosce, come ribadirà Giovanni Paolo II, anche nelle altre religioni, senza che queste diventino equiparabili al cristianesimo.
C’è chi ha detto che la dichiarazione Dominus Iesus sarebbe un tornare indietro rispetto al Concilio Vaticano II.
CROCIATA: Queste polemiche rischiano di alimentare posizioni di rottura, frutto di un pluralismo radicale secondo cui tutte le religioni sono uguali. La Dominus Iesus ha sostanzialmente ribadito il Vaticano II, di cui riporta un numero considerevole di citazioni e di cui ribadisce e attualizza l’insegnamento sulla Rivelazione, sull’unicità di Cristo, sulla necessità della Chiesa.
Lei è stato vicario generale a Mazara del Vallo, una diocesi a forte presenza musulmana. Ha potuto sperimentare sul campo i suoi studi?
CROCIATA: Non proprio. È vero che la mia residenza era nella zona della cosiddetta “casbah”. Ho vissuto in mezzo agli immigrati, persone il cui tasso di religiosità è perfettamente analogo a quello di tanti nostri cristiani che vanno in processione e fanno battezzare i propri figli. Il livello è abbastanza simile. Tra loro ci sono anche persone di qualche cultura, ma per lo più si tratta di persone venute per lavorare, che poi si insediano e vivono come possono la loro religiosità. Siamo quindi al di qua della possibilità di un dialogo vero e proprio. L’esperienza vera è quella della condivisione della vita: si lavora, si vive insieme, si sta insieme, si collabora, si acquista stima reciproca, si sperimenta la possibilità di una convivenza serena. Il problema lì – ma vale anche altrove – sono le nuove generazioni, che spesso segnalano fenomeni di forte disagio sociale.
Lei ha sperimentato la possibilità di conversioni dall’islam al cristianesimo?
CROCIATA: Esperienze di conversione no. Ho conosciuto qualcuno che si è avvicinato alla Chiesa, ma bisogna fare attenzione. Nelle grandi città le cose possono presentarsi diversamente; è possibile incontrare musulmani sinceramente interessati al cristianesimo. A Mazara, come in altri centri del territorio, invece il fenomeno – in realtà raro – riguarda chi non ha più interesse a tornare in patria, e quindi è mosso da esigenze di inserimento nel nuovo ambiente di vita e di lavoro.
Come valuta il fenomeno dei matrimoni misti alla luce della sua esperienza pastorale?
CROCIATA: I matrimoni misti con musulmani, di cui si è occupato un documento dei vescovi italiani, non sono da incoraggiare, perché il passare degli anni porta spesso a ritornare alle condizioni culturali e ai rapporti sociali, religiosi e giuridici di origine, con conseguenze a volte drammatiche che possono ricadere sui figli. Quindi la richiesta è da accompagnare con grande prudenza. L’evoluzione è difficile da prevedere. A sentire i maggiori esperti, stanno nascendo progetti di formazione per le nuove generazioni di musulmani in Italia. Perché la sfida è questa: rimanere islamici ma integrandosi in una società che non è a maggioranza musulmana. Questo potrà assicurare una possibilità di convivenza.
Un tema che ritorna periodicamente è quello della costruzione delle moschee. Lei che opinione si è fatto?
CROCIATA: Qui si va per eccessi: dal rifiuto immotivato a una visibilità, a una invadenza che stonano. Nell’equilibrio, nei rapporti anche tra presenze numericamente differenti, credo che noi dobbiamo garantire che i musulmani presenti nel nostro Paese possano coltivare la loro religione in maniera appropriata. Il problema è un altro.
Quale?
CROCIATA: Di solito siamo in presenza di capi religiosi il cui riferimento è lo Stato di provenienza, non è un islam religioso che abbia uno statuto proprio. Non esiste infatti un islam unico e nemmeno indipendente dallo Stato. Allora far crescere un islam che abbia un riferimento italiano diventa una esigenza per tutti. Ma è necessario, pur in questa complessità, che le altre religioni siano coltivate perché diventino condizione di inserimento, di integrazione, di stabilità e anche di sviluppo religioso che preluda a un dialogo, a una possibilità di convivenza nel rispetto reciproco. D’altra parte c’è un’altra questione, culturale e religiosa insieme: non è possibile capire l’altro senza capire sé stessi. Vale per noi e vale per loro. Non possiamo pensare di essere riconosciuti per quello che siamo, qui in un’Italia ancora a maggioranza cattolica, pretendendo un abbandono del loro punto di vista. Ma vale anche l’inverso.
In che senso?
CROCIATA: Non possiamo pretendere, come fanno alcuni, di negare ogni presupposto, ogni punto di partenza culturale e religioso, per aprirsi all’altro. Perché conoscere l’altro è possibile se siamo noi stessi. Come dice il documento dei vescovi siciliani sul discernimento cristiano sull’islam, è necessario «conoscersi e conoscere». Questo è fondamentale. Il rispetto della propria dignità, della propria libertà, della propria storia, della propria presenza è rispetto per l’altro che viene, con la sua identità, con la sua coscienza. Non ci sono altre vie.
Cosa pensa dell’idea dell’accettazione, anche solo parziale, della sharia nei nostri ordinamenti giuridici?
CROCIATA: Sinceramente non capisco questa ipotesi, ventilata per esempio in Gran Bretagna. Ci sono orizzonti, in cui ci si inserisce, che non possono essere modificati arbitrariamente e improvvisamente. Un orizzonte culturale e storico non può essere perduto senza perdere anche ogni possibilità di comunicazione e di intesa vera. L’orizzonte in cui noi viviamo è costituito dalla nostra Costituzione e dalla cultura italiana ed europea. Qui dobbiamo dirci se alcuni valori conseguiti, alcune conquiste che fanno parte della coscienza cristiana e dell’evoluzione civile del nostro Paese e del nostro continente – come ad esempio i diritti umani – sono veramente irreversibili oppure no, in nome di una convivenza, a questo punto qualsivoglia e soprattutto instabile e mutevole.
Da esperto in materia, come ha vissuto alcuni momenti particolari di questo pontificato, come la lezione di Regensburg, o il battesimo di Magdi Allam?
CROCIATA: Benedetto XVI ha mostrato in maniera inequivocabile la pienezza di verità della nostra fede cristiana, che deve essere proposta, secondo il ribadito compito di evangelizzazione costitutivo del cristiano, nella sua compatibilità con la ragione, da un lato, e con il dialogo, dall’altro. Le due coppie – fede e ragione, fede e dialogo – non si contrappongono, al contrario si esigono reciprocamente.
È stato scritto della sua amicizia con il compianto monsignor Cataldo Naro. Che ricordo ha di lui?
CROCIATA: Poco prima di insediarmi in questo ufficio ho partecipato al secondo Convegno di studio promosso a Caltanissetta in sua memoria, e lì si è parlato del ruolo dello studio della storia, della sociologia in funzione del compito pastorale della Chiesa. In una piccola comunicazione ho ricordato che egli ha lavorato molto nel collegare questi ambiti di ricerca in funzione della missione pastorale della Chiesa. Aldo era una persona con una cultura davvero straordinaria, ma anche con una capacità di sintesi profondamente equilibrata. Noi stessi, colleghi e amici, cominciamo a capirlo meglio con il tempo. Un aspetto interessante è questo: era un uomo dal cuore generoso, libero, dalla mente aperta. Un aspetto tipico di chi possiede queste caratteristiche è che quando trova delle cose buone e significative, delle persone valide, le riconosce e le promuove. Senza nessuna grettezza e nessuna meschinità. Questa capacità di cogliere le potenzialità e di favorire, l’ho sperimentata di persona. Egli ha intuito che potevo sviluppare certi interessi, potevo studiare alcune questioni, potevo dare. Mi ha spinto, mi ha suggerito. È una cosa che mi commuove quando ci penso. Ha avuto a cuore la mia crescita intellettuale e spirituale, anche per la Chiesa, come se fosse una cosa che lo riguardasse. E lo faceva con tutti.
Si aspettava la nomina a segretario generale della Cei?
CROCIATA: No. Quest’anno è stato per me, oltre che molto gratificante, faticoso nell’intraprendere il ministero episcopale in diocesi, a Noto. Sono stato nominato nel luglio del 2007 e sono stato ordinato a ottobre. Mi sono messo subito a lavorare e mi sono organizzato poco a poco. Quando è arrivata la nomina, non avevo fatto tutto, avevo ancora cose da sistemare.
Lei quando l’ha saputo?
CROCIATA: Non molti giorni prima della data in cui la nomina è stata pubblicata. È una cosa che mi ha sorpreso totalmente. Era fuori del mio orizzonte. Non avrei mai immaginato che mi venisse fatta questa richiesta.
Conosce bene il cardinale Angelo Bagnasco, il presidente della Cei di cui sarà il più stretto collaboratore?
CROCIATA: Comincio ora.
E la struttura della Cei?
CROCIATA: Non molto. Ho conosciuto la Cei come struttura, in modo significativo a partire da quando ero amministratore diocesano a Mazara del Vallo. Poi da vescovo di Noto ho cominciato ad avere un collegamento più organico.
La nomina a Noto era arrivata in maniera meno
improvvisa?
CROCIATA: Forse sì, nel senso che persone con il mio stesso percorso vengono prese in considerazione. Ho avuto, poi, delle resistenze e dei timori dentro di me. Mi sono fidato della fiducia degli altri, del fatto che altri hanno creduto che potessi essere un buon vescovo.
Con quale spirito affronta questa nuova avventura?
CROCIATA: Con le capacità che ho di capire, di approfondire, di dedicarmi. Con l’aiuto di Dio sono disponibile a lasciarmi coinvolgere in questa avventura. È quello che sto facendo in questi primi tempi. Mi sono sentito inserito subito, assecondando quello che c’era da fare; lascio che mi dicano quello che c’è da fare.
Ha timore della visibilità mediatica che l’attende?
CROCIATA: Mi percepisco come un uomo piuttosto schivo. A parlare in pubblico ho imparato poco a poco, tra parrocchia e insegnamento, fino a farlo talvolta perfino con passione; ma rimane sempre una certa naturale preoccupazione.
Come valuta il clima politico e culturale che si respira in Italia? Ha timore anche di questo?
CROCIATA: No, timore no. Sono colpito un po’ dalla confusione, da un certo disorientamento, dalla perdita di alcune evidenze importanti. C’è come una grande agitazione in giro, ma nessuno che sappia dire veramente dove andare. Una sensazione proprio generale. Gente che si agita e fa chiasso. E in questo contesto il compito della Chiesa è abbracciare la propria missione e mettersi al servizio del nostro Paese, con delicatezza e rispetto, con chiarezza e convinzione, affinché tutti abbiano la possibilità di incontrare e amare il Signore Gesù Cristo.
Anche se nessun presidente della Cei finora è nato più a sud di Genova, sulla stampa è stato ampiamente sottolineato che lei è il primo vescovo del sud a ricoprire l’incarico di segretario generale...
CROCIATA: Già l’ho detto in altre interviste: questa considerazione non va esagerata. Mi rendo conto che un siciliano non ha le caratteristiche e la storia di chi viene, per esempio, dalla Lombardia. Comunque, la mia nomina è la dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, che la nostra è la Chiesa di tutti gli italiani.
Mariano Crociata [© Alessio Petrucci/Romano Siciliani]
MARIANO CROCIATA: Ero un ragazzo di parrocchia della fine degli anni Cinquanta, a Partanna, dove sono cresciuto dopo che la mia famiglia si era trasferita dal mio paese di nascita, Castelvetrano. Una parrocchia di paese con la vitalità tipica di quegli anni: partecipavo all’Azione cattolica e facevo il chierichetto. Il parroco mi teneva un po’ d’occhio. Era un sacerdote buono, non particolarmente brillante, ma che lavorava con grande zelo apostolico. Una figura tipica, per l’epoca, molto attivo nell’accompagnare i riti e le celebrazioni che caratterizzavano la vita cristiana del paese. Già tra la quarta e la quinta elementare mi fece fare un’esperienza nel seminario estivo. E poi, finita la scuola elementare, mi chiese: «Perché non vai in seminario?». Mi sembrò quasi naturale passare dalla parrocchia al seminario. Poi la vocazione maturò poco a poco.
Che ricordo ha del seminario minore?
CROCIATA: Mi è rimasto impresso un passaggio importante. Nel 1968-’69 il seminario di Mazara era pieno: una cosa strepitosa, credo ci fossero più di cento ragazzi. Subito dopo, nel 1969-’70, ci fu un crollo, trenta ragazzi. Negli ultimi anni il nostro era un gruppo più ristretto, più curato, con maggiore partecipazione da parte nostra.
Era l’onda lunga del ’68…
CROCIATA: Sì, comunque il seminario maggiore a Mazara già non c’era più. O meglio, non era più in città, i seminaristi studiavano altrove. Ora ha la sua sede a Palermo.
Quali sono le figure che l’hanno accompagnata nel suo cammino verso il sacerdozio?
CROCIATA: Da seminarista sono cresciuto in un’altra parrocchia. In quegli anni ci fu il terremoto del Belice [gennaio 1968, ndr] con tutte le traversie che seguirono. La mia famiglia visse per un po’ di tempo in una baracca. E anche la parrocchia fu trasferita in un locale di fortuna. Ricordo bene come queste vicissitudini vennero condivise un po’ da tutti. In quegli anni ricordo particolarmente vicini, come educatori, i superiori del seminario.
Lei ha studiato alla Gregoriana come alunno dell’Almo Collegio Capranica…
CROCIATA: L’allora vescovo di Mazara, Giuseppe Mancuso, aveva già presentato al Capranica un altro seminarista. Siccome rendevo bene negli studi, sollecitato dal rettore, presentò anche me. Il Capranica e la Gregoriana mi hanno segnato nel senso che lì maturai la mia vocazione e i miei interessi culturali.
Correvano gli anni Settanta, un po’ tumultuosi, fuori e dentro la Chiesa…
CROCIATA: In effetti erano anni confusi, difficili. Ho visto evolvere me stesso e l’ambiente in cui vivevo da quel clima che tutto un po’ connotava, la cosiddetta contestazione, fino a una presa di coscienza del valore della Chiesa, anche come istituzione, e del valore di alcune idee teologiche di fondo. Lungo gli anni di collegio e di università sono stato accompagnato e sostenuto da diverse figure significative di educatori e colleghi, con cui ho condiviso il cammino di formazione.
Alla Gregoriana con quale tesi si è laureato?
CROCIATA: Ho presentato una tesi, sotto la guida del professor Peter Henrici, su un canonico regolare lateranense della prima metà del Cinquecento, originario di Gubbio, Agostino Steuco, un umanista che poteva vantare una erudizione sterminata per l’epoca. Pubblicò tra l’altro il De perenni philosophia, la cui idea portante era che c’è una rivelazione originaria, testimoniata nei documenti più antichi delle letterature – era quella una stagione in cui molto della letteratura orientale antica veniva alla luce – che poi si è perduta, e di cui rimangono frammenti più o meno consistenti. In Cristo questa Rivelazione viene ricostituita integralmente ed è possibile nel confronto vedere come quei frammenti di sapienza originaria, la prisca sapientia, facessero parte della rivelazione. Una visione piuttosto concordistica, molto indulgente nei confronti delle differenze.
Lei è conosciuto anche per i suoi studi sul dialogo interreligioso. A Palermo è stato direttore del Dipartimento di Teologia delle religioni presso la Pontificia Facoltà teologica di Sicilia. Quando nasce l’interesse per questa disciplina?
CROCIATA: Successivamente. Nell’84 sono stato invitato dal preside della Facoltà teologica di Palermo a insegnare Teologia fondamentale, su cui avevo conseguito la licenza in Gregoriana. Ma la mia attività accademica è andata sempre di pari passo con l’impegno pastorale. Dapprima come direttore dell’Ufficio catechistico diocesano di Mazara, poi come parroco a Marinella di Selinunte e quindi, dal 1989, come arciprete-parroco della Chiesa Madre di Marsala. Direi che, insieme al collegio e all’università, quella che ha lasciato un’impronta più consapevole è stata l’esperienza della parrocchia, soprattutto a Marsala, dove ho trascorso il periodo più lungo di servizio pastorale.
La Cattedrale di Noto, Siracusa [© Afp/Grazia Neri]
CROCIATA: Cercavo di distribuire il tempo come meglio potevo.
Ci teneva a fare tutte e due le cose…
CROCIATA: Sì. Mi ricordo che da ragazzo delle scuole medie, quando ero al seminario minore, lo dicevo già al mio educatore. Questa cosa mi è rimasta sempre nel cuore. E le cose sono anni Novanta emergeva ormai in maniera significativa la teologia delle religioni; ne fui incuriosito e fui spinto a riprendere gli interessi sorti fin dagli anni dell’università, dove avevo seguito i corsi di Pietro Rossano. Ho tenuto così un corso in cui analizzavo, tra gli altri, il discusso volume di Jacques Dupuis, uno dei maggiori esperti in materia, sulla teologia cristiana del pluralismo religioso.
Senza entrare in questioni personali, quali sono secondo lei gli aspetti critici della teologia delle religioni?
CROCIATA: C’è il rischio di una teologia pluralistica delle religioni che comporta una rimozione della Chiesa, una relativizzazione di Gesù Cristo o una alterazione della configurazione trinitaria. Ma le varianti sono tante. La grande sfida è mantenere integro il quadro teologico cristiano e riuscire a capire, a cogliere nell’orizzonte teologico della Rivelazione cristiana la pluralità delle religioni come fenomeno positivo – cioè come un fenomeno che rientra in un disegno per noi misterioso che vede Dio condurre tutti alla salvezza – senza ridurre, e tanto meno perdere, l’unicità di Cristo e la sua mediazione salvifica. Sono anch’io dell’idea che l’unica pista è quella indicata dal Concilio Vaticano II, secondo cui il mistero della Pasqua di Cristo, e per esso lo Spirito del Risorto, opera in un modo che Dio conosce, come ribadirà Giovanni Paolo II, anche nelle altre religioni, senza che queste diventino equiparabili al cristianesimo.
C’è chi ha detto che la dichiarazione Dominus Iesus sarebbe un tornare indietro rispetto al Concilio Vaticano II.
CROCIATA: Queste polemiche rischiano di alimentare posizioni di rottura, frutto di un pluralismo radicale secondo cui tutte le religioni sono uguali. La Dominus Iesus ha sostanzialmente ribadito il Vaticano II, di cui riporta un numero considerevole di citazioni e di cui ribadisce e attualizza l’insegnamento sulla Rivelazione, sull’unicità di Cristo, sulla necessità della Chiesa.
Lei è stato vicario generale a Mazara del Vallo, una diocesi a forte presenza musulmana. Ha potuto sperimentare sul campo i suoi studi?
CROCIATA: Non proprio. È vero che la mia residenza era nella zona della cosiddetta “casbah”. Ho vissuto in mezzo agli immigrati, persone il cui tasso di religiosità è perfettamente analogo a quello di tanti nostri cristiani che vanno in processione e fanno battezzare i propri figli. Il livello è abbastanza simile. Tra loro ci sono anche persone di qualche cultura, ma per lo più si tratta di persone venute per lavorare, che poi si insediano e vivono come possono la loro religiosità. Siamo quindi al di qua della possibilità di un dialogo vero e proprio. L’esperienza vera è quella della condivisione della vita: si lavora, si vive insieme, si sta insieme, si collabora, si acquista stima reciproca, si sperimenta la possibilità di una convivenza serena. Il problema lì – ma vale anche altrove – sono le nuove generazioni, che spesso segnalano fenomeni di forte disagio sociale.
Lei ha sperimentato la possibilità di conversioni dall’islam al cristianesimo?
CROCIATA: Esperienze di conversione no. Ho conosciuto qualcuno che si è avvicinato alla Chiesa, ma bisogna fare attenzione. Nelle grandi città le cose possono presentarsi diversamente; è possibile incontrare musulmani sinceramente interessati al cristianesimo. A Mazara, come in altri centri del territorio, invece il fenomeno – in realtà raro – riguarda chi non ha più interesse a tornare in patria, e quindi è mosso da esigenze di inserimento nel nuovo ambiente di vita e di lavoro.
Come valuta il fenomeno dei matrimoni misti alla luce della sua esperienza pastorale?
CROCIATA: I matrimoni misti con musulmani, di cui si è occupato un documento dei vescovi italiani, non sono da incoraggiare, perché il passare degli anni porta spesso a ritornare alle condizioni culturali e ai rapporti sociali, religiosi e giuridici di origine, con conseguenze a volte drammatiche che possono ricadere sui figli. Quindi la richiesta è da accompagnare con grande prudenza. L’evoluzione è difficile da prevedere. A sentire i maggiori esperti, stanno nascendo progetti di formazione per le nuove generazioni di musulmani in Italia. Perché la sfida è questa: rimanere islamici ma integrandosi in una società che non è a maggioranza musulmana. Questo potrà assicurare una possibilità di convivenza.
Un tema che ritorna periodicamente è quello della costruzione delle moschee. Lei che opinione si è fatto?
CROCIATA: Qui si va per eccessi: dal rifiuto immotivato a una visibilità, a una invadenza che stonano. Nell’equilibrio, nei rapporti anche tra presenze numericamente differenti, credo che noi dobbiamo garantire che i musulmani presenti nel nostro Paese possano coltivare la loro religione in maniera appropriata. Il problema è un altro.
Benedetto XVI con Mariano Crociata il 30 marzo 2007 [© Osservatore Romano]
CROCIATA: Di solito siamo in presenza di capi religiosi il cui riferimento è lo Stato di provenienza, non è un islam religioso che abbia uno statuto proprio. Non esiste infatti un islam unico e nemmeno indipendente dallo Stato. Allora far crescere un islam che abbia un riferimento italiano diventa una esigenza per tutti. Ma è necessario, pur in questa complessità, che le altre religioni siano coltivate perché diventino condizione di inserimento, di integrazione, di stabilità e anche di sviluppo religioso che preluda a un dialogo, a una possibilità di convivenza nel rispetto reciproco. D’altra parte c’è un’altra questione, culturale e religiosa insieme: non è possibile capire l’altro senza capire sé stessi. Vale per noi e vale per loro. Non possiamo pensare di essere riconosciuti per quello che siamo, qui in un’Italia ancora a maggioranza cattolica, pretendendo un abbandono del loro punto di vista. Ma vale anche l’inverso.
In che senso?
CROCIATA: Non possiamo pretendere, come fanno alcuni, di negare ogni presupposto, ogni punto di partenza culturale e religioso, per aprirsi all’altro. Perché conoscere l’altro è possibile se siamo noi stessi. Come dice il documento dei vescovi siciliani sul discernimento cristiano sull’islam, è necessario «conoscersi e conoscere». Questo è fondamentale. Il rispetto della propria dignità, della propria libertà, della propria storia, della propria presenza è rispetto per l’altro che viene, con la sua identità, con la sua coscienza. Non ci sono altre vie.
Cosa pensa dell’idea dell’accettazione, anche solo parziale, della sharia nei nostri ordinamenti giuridici?
CROCIATA: Sinceramente non capisco questa ipotesi, ventilata per esempio in Gran Bretagna. Ci sono orizzonti, in cui ci si inserisce, che non possono essere modificati arbitrariamente e improvvisamente. Un orizzonte culturale e storico non può essere perduto senza perdere anche ogni possibilità di comunicazione e di intesa vera. L’orizzonte in cui noi viviamo è costituito dalla nostra Costituzione e dalla cultura italiana ed europea. Qui dobbiamo dirci se alcuni valori conseguiti, alcune conquiste che fanno parte della coscienza cristiana e dell’evoluzione civile del nostro Paese e del nostro continente – come ad esempio i diritti umani – sono veramente irreversibili oppure no, in nome di una convivenza, a questo punto qualsivoglia e soprattutto instabile e mutevole.
Da esperto in materia, come ha vissuto alcuni momenti particolari di questo pontificato, come la lezione di Regensburg, o il battesimo di Magdi Allam?
CROCIATA: Benedetto XVI ha mostrato in maniera inequivocabile la pienezza di verità della nostra fede cristiana, che deve essere proposta, secondo il ribadito compito di evangelizzazione costitutivo del cristiano, nella sua compatibilità con la ragione, da un lato, e con il dialogo, dall’altro. Le due coppie – fede e ragione, fede e dialogo – non si contrappongono, al contrario si esigono reciprocamente.
È stato scritto della sua amicizia con il compianto monsignor Cataldo Naro. Che ricordo ha di lui?
CROCIATA: Poco prima di insediarmi in questo ufficio ho partecipato al secondo Convegno di studio promosso a Caltanissetta in sua memoria, e lì si è parlato del ruolo dello studio della storia, della sociologia in funzione del compito pastorale della Chiesa. In una piccola comunicazione ho ricordato che egli ha lavorato molto nel collegare questi ambiti di ricerca in funzione della missione pastorale della Chiesa. Aldo era una persona con una cultura davvero straordinaria, ma anche con una capacità di sintesi profondamente equilibrata. Noi stessi, colleghi e amici, cominciamo a capirlo meglio con il tempo. Un aspetto interessante è questo: era un uomo dal cuore generoso, libero, dalla mente aperta. Un aspetto tipico di chi possiede queste caratteristiche è che quando trova delle cose buone e significative, delle persone valide, le riconosce e le promuove. Senza nessuna grettezza e nessuna meschinità. Questa capacità di cogliere le potenzialità e di favorire, l’ho sperimentata di persona. Egli ha intuito che potevo sviluppare certi interessi, potevo studiare alcune questioni, potevo dare. Mi ha spinto, mi ha suggerito. È una cosa che mi commuove quando ci penso. Ha avuto a cuore la mia crescita intellettuale e spirituale, anche per la Chiesa, come se fosse una cosa che lo riguardasse. E lo faceva con tutti.
Si aspettava la nomina a segretario generale della Cei?
CROCIATA: No. Quest’anno è stato per me, oltre che molto gratificante, faticoso nell’intraprendere il ministero episcopale in diocesi, a Noto. Sono stato nominato nel luglio del 2007 e sono stato ordinato a ottobre. Mi sono messo subito a lavorare e mi sono organizzato poco a poco. Quando è arrivata la nomina, non avevo fatto tutto, avevo ancora cose da sistemare.
Lei quando l’ha saputo?
CROCIATA: Non molti giorni prima della data in cui la nomina è stata pubblicata. È una cosa che mi ha sorpreso totalmente. Era fuori del mio orizzonte. Non avrei mai immaginato che mi venisse fatta questa richiesta.
Conosce bene il cardinale Angelo Bagnasco, il presidente della Cei di cui sarà il più stretto collaboratore?
CROCIATA: Comincio ora.
E la struttura della Cei?
CROCIATA: Non molto. Ho conosciuto la Cei come struttura, in modo significativo a partire da quando ero amministratore diocesano a Mazara del Vallo. Poi da vescovo di Noto ho cominciato ad avere un collegamento più organico.
Musulmani in preghiera per la fine del Ramadan, nel Foro Umberto I a Palermo [© Agenzia Sintesi]
CROCIATA: Forse sì, nel senso che persone con il mio stesso percorso vengono prese in considerazione. Ho avuto, poi, delle resistenze e dei timori dentro di me. Mi sono fidato della fiducia degli altri, del fatto che altri hanno creduto che potessi essere un buon vescovo.
Con quale spirito affronta questa nuova avventura?
CROCIATA: Con le capacità che ho di capire, di approfondire, di dedicarmi. Con l’aiuto di Dio sono disponibile a lasciarmi coinvolgere in questa avventura. È quello che sto facendo in questi primi tempi. Mi sono sentito inserito subito, assecondando quello che c’era da fare; lascio che mi dicano quello che c’è da fare.
Ha timore della visibilità mediatica che l’attende?
CROCIATA: Mi percepisco come un uomo piuttosto schivo. A parlare in pubblico ho imparato poco a poco, tra parrocchia e insegnamento, fino a farlo talvolta perfino con passione; ma rimane sempre una certa naturale preoccupazione.
Come valuta il clima politico e culturale che si respira in Italia? Ha timore anche di questo?
CROCIATA: No, timore no. Sono colpito un po’ dalla confusione, da un certo disorientamento, dalla perdita di alcune evidenze importanti. C’è come una grande agitazione in giro, ma nessuno che sappia dire veramente dove andare. Una sensazione proprio generale. Gente che si agita e fa chiasso. E in questo contesto il compito della Chiesa è abbracciare la propria missione e mettersi al servizio del nostro Paese, con delicatezza e rispetto, con chiarezza e convinzione, affinché tutti abbiano la possibilità di incontrare e amare il Signore Gesù Cristo.
Anche se nessun presidente della Cei finora è nato più a sud di Genova, sulla stampa è stato ampiamente sottolineato che lei è il primo vescovo del sud a ricoprire l’incarico di segretario generale...
CROCIATA: Già l’ho detto in altre interviste: questa considerazione non va esagerata. Mi rendo conto che un siciliano non ha le caratteristiche e la storia di chi viene, per esempio, dalla Lombardia. Comunque, la mia nomina è la dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, che la nostra è la Chiesa di tutti gli italiani.