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NOVA ET VETERA – SINDONE
tratto dal n. 04 - 2010

Ipotesi scientifiche sulla formazione dell’immagine della Sindone


Primi risultati di esperimenti tramite luce ultravioletta compiuti con il Laser nei laboratori dell’Enea


di Paolo Di Lazzaro


Il gruppo di lavoro che ha condotto gli esperimenti. Da sinistra a destra: Daniele Murra, Paolo Di Lazzaro e Giuseppe Baldacchini [© ENEA]

Il gruppo di lavoro che ha condotto gli esperimenti. Da sinistra a destra: Daniele Murra, Paolo Di Lazzaro e Giuseppe Baldacchini [© ENEA]

Premessa
La maggior parte delle informazioni scientifiche sulla Sindone di Torino, un telo di lino lungo 4,4 metri e largo 1,1 metri sul quale è visibile una debole immagine frontale e dorsale di un uomo supino, provengono dalle analisi fisiche e chimiche molto approfondite effettuate nel 1978 da un team di scienziati in maggioranza statunitensi (Sturp, acronimo di Shroud of Turin Research Project) ai quali fu concesso di effettuare misure ottiche ai raggi X, nell’ultravioletto e nell’infrarosso, e di prelevare polveri e fibrille superficiali. I risultati delle analisi dello Sturp furono pubblicati in articoli apparsi nei primi anni Ottanta sulle più importanti riviste internazionali dei rispettivi settori scientifici, in particolare sulla rivista statunitense Applied Optics. Provando a sintetizzare i risultati delle indagini degli scienziati dello Sturp, possiamo dire che essi hanno ampiamente dimostrato (al di là di teorie del tutto fantasiose che purtroppo, in contrasto con dati ormai certi, ancora circolano sull’argomento, in particolare in una persistente ascientifica divulgazione massmediatica) che la Sindone è un lino molto antico, con tracce di sangue, bruciature, macchie dovute ad acqua, residui di pollini e di terra; la compresenza di sangue, siero e bilirubina umani (la bilirubina è un pigmento di colore giallo-rossastro contenuto nella bile ed è un prodotto del catabolismo dell’emoglobina) porta alla conclusione che il telo ha avvolto un uomo già morto, che aveva subito forti traumi. La dislocazione delle macchie di sangue dimostra inoltre che la morte avvenne, dopo percosse e torture, per crocifissione, e corrisponde esattamente con quanto i Vangeli riportano a proposito della passione e morte di Gesù di Nazareth.
Successivamente alle macchie di sangue, generatesi in maniera del tutto evidente per contatto con il corpo, la “stratigrafia” evidenzia la successiva sovrapposizione a esse di una debole immagine giallognola, quella che cioè ci rende ora alla vista le fattezze di un corpo umano. Il rapporto di successione macchie di sangue – immagine del corpo è accertato, in quanto al di sotto delle zone macchiate di sangue l’immagine non c’è.
Questa immagine presenta circa quaranta caratteristiche fisiche e chimiche molto particolari, praticamente impossibili da replicare oggi, e a maggior ragione nel Medioevo o in tempi più remoti, tali da escludere che si tratti di un dipinto, o di colorazione ottenuta tramite bassorilievo scaldato o trattato con pigmenti o polvere ferrosa. Piuttosto, la colorazione sembra derivare da una reazione chimica di disidratazione della parte più superficiale delle fibrille dei fili di lino, accompagnata da ossidazione. In pratica, l’immagine deriva da un invecchiamento accelerato del lino, la cui origine è sconosciuta. Sono anche di estremo interesse le caratteristiche topologiche dell’immagine del viso, che portano a escludere si tratti di una immagine ottenuta a contatto, dato che in questo caso si otterrebbe una impronta allargata, e non perfettamente proporzionata come è. Una ulteriore e peculiare caratteristica è che le sfumature del colore dell’immagine contengono informazioni tridimensionali.
Nel 1988, dieci anni dopo le analisi dello Sturp, venne effettuata una misura di datazione mediante isotopo C-14 di un piccolo lembo prelevato da uno degli angoli del telo, diviso in tre parti. Il risultato dichiarato di questa misura, effettuata in parallelo da tre tra i migliori laboratori dell’epoca, fu di una età compresa tra il 1260 e il 1390 d.C. Questa misura collocherebbe dunque il telo (o almeno la parte di esso esaminata) a epoca medievale. È però opportuno sottolineare come la radiodatazione (un metodo che, per la sua natura statistica e dipendente dalla variabilità di molti fattori, gli archeologi utilizzano sempre in comparazione con tutto il complesso degli elementi, compresi quelli storici, datanti un oggetto) ha fornito una età del telo incompatibile con la cronologia suggerita da dati e indizi di carattere storico, iconografico e tessile, concordi nel ritenere il telo sindonico molto più antico. Alcune analisi recenti suggeriscono che il lembo analizzato tramite C-14 possa non essere rappresentativo della Sindone, e che la misura stessa possa aver sofferto di errori materiali di calcolo.

Il volto della Sindone come appare sul negativo fotografico

Il volto della Sindone come appare sul negativo fotografico

Obiettivi delle ricerche
Ma non è la determinazione dell’età della Sindone l’obiettivo al quale tendono le ricerche svolte in questi ultimi anni dal gruppo di lavoro coordinato da chi scrive all’interno dell’Enea; né esse hanno voluto analizzare il telo sindonico nel suo complesso o in tutti i suoi singoli aspetti e problemi, ma hanno preso in considerazione solamente il problema della formazione dell’immagine frontale e dorsale del corpo. Hanno insomma cercato di provare a rispondere alla domanda: «Come si è formata l’immagine sulla Sindone?». Nessuno infatti, a oggi, tra i molti ricercatori che pure hanno riprodotto immagini macroscopicamente simili a quella sindonica, è stato in grado di riprodurre una immagine che ne avesse tutte le peculiari caratteristiche fisico-chimiche che si possono evidenziare tramite analisi al microscopio e con le stesse tecniche di indagine ottica utilizzate dallo Sturp.
Nel 2005 notammo che alcuni dei fili di lino che contribuiscono a formare l’immagine della Sindone presentavano al microscopio una struttura morfologica analoga a quella da noi ottenuta irraggiando diversi tessili con luce Laser ultravioletta (procedimento che stavamo sperimentando per motivi di interesse industriale: nobilitazione superficiale, effetti cangianti, ecc.).
I sistemi Laser (acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation – Amplificazione di luce tramite emissione stimolata di radiazione) sono macchinari complessi, in grado di generare luce continua oppure impulsi di luce molto brevi, nell’ordine dei miliardesimi di secondo. La luce Laser presenta caratteristiche completamente diverse dalla luce emessa da una lampadina; infatti è coerente, ossia tutti i fotoni emessi sono gemelli, hanno le stesse caratteristiche: stesso colore (luce monocromatica), stesso comportamento spaziale, cioè si muovono tutti nella stessa direzione (luce direzionale) e se vengono compressi spazialmente possono raggiungere livelli di intensità elevatissimi, fino a molti miliardi di watt per ogni centimetro quadrato di superficie.
I materiali colpiti da luce Laser subiscono una modifica della propria struttura che dipende dalle caratteristiche di spettro, intensità e durata della stessa luce. Una delle proprietà della luce Laser ultravioletta (la luce ultravioletta è una radiazione elettromagnetica invisibile, con una lunghezza d’onda inferiore alla luce visibile, ma più grande di quella dei raggi X) è di penetrare pochissimo dentro i materiali, inclusi i tessuti. E proprio una delle caratteristiche dell’immagine sindonica più difficili da riprodurre è la estrema superficialità del colore: infatti ogni filo di lino, che ha un diametro di circa 0,3 millimetri, contiene circa duecento fibrille (si tratta di fibre elementari a struttura cilindrica), e la parte colorata penetra dentro la fibrilla più esterna solo nel cosiddetto “primary cell wall”, una pellicola sottilissima spessa 0,2 millesimi di millimetro: è uno spessore talmente piccolo che è difficile da immaginare.
Dunque, abbiamo pensato che fosse opportuno tentare degli esperimenti di colorazione con il Laser; in particolare abbiamo utilizzato sistemi Laser a eccimeri perché sono i Laser con maggiore potenza emessa nell’ultravioletto. Abbiamo inviato gli impulsi di luce ultravioletta emessi dai nostri Laser a eccimeri a bombardare vari tessuti di lino, sia grezzi che sbiancati, fabbricati recentemente ma con antiche tecniche, come quella del telaio a mano. Non avendo trovato in letteratura esperimenti di colorazione di lino tramite luce Laser ultravioletta, abbiamo iniziato gli esperimenti in cieco, variando tutti i parametri Laser (durata temporale, intensità, numero di impulsi consecutivi) in un ampio intervallo di valori. Questa procedura ha richiesto circa due anni per essere completata. mo dimostrato che un impulso di luce ultravioletta estremamente breve (pochi miliardesimi di secondo) in un intervallo ristrettissimo di valori di energia e densità di potenza è in grado di colorare con la stessa cromaticità dell’immagine sindonica il tessuto di lino. Localmente siamo riusciti a colorare, come volevamo, solo il primo strato di fibrille esposto alla luce Laser, cioè il “primary cell wall”, lasciando la parte interna della stessa fibrilla non colorata. Inoltre abbiamo osservato che basta aumentare di pochissimo il valore di intensità per ottenere una colorazione sempre superficiale, ma molto più profonda di 0,2 millesimi di millimetro. Al contrario, basta una infinitesimale riduzione di quel valore per non ottenere più la colorazione, oppure, come abbiamo potuto dimostrare, ottenere una colorazione “latente”, cioè invisibile al momento, ma che si manifesta e appare dopo un invecchiamento superiore a un anno.
Si tratta della prima volta che, in analogia con l’immagine sindonica, si riesce a colorare solo il “primary cell wall” della fibrilla di lino tramite radiazione, un risultato mai ottenuto sinora con metodi chimici a contatto (coloranti, paste chimiche, polveri, acidi, vapori, ecc.) e avvicinato solo da una tecnica che utilizza la cosiddetta “scarica a effetto corona” (la “scarica corona” è un fenomeno per cui una corrente elettrica fluisce tra un conduttore a potenziale elettrico elevato e l’aria circostante ma senza provocare un arco; l’aria ionizzata emette radiazione visibile e ultravioletta), come ha sperimentato Giulio Fanti dell’Università di Padova, con il quale stiamo collaborando in questo lavoro di ricerca.
Una misura dello scalpore dei risultati ottenuti è data dal fatto che il primo articolo che descrive i nostri risultati è stato pubblicato nel marzo 2008 sulla nota rivista scientifica Applied Optics (mensile della Optical Society of America di Washington, la stessa dove furono pubblicati i risultati Sturp)1, e ciò a distanza di molti anni dall’ultimo articolo relativo a esperimenti riguardanti la Sindone pubblicato dalla stessa rivista: infatti, dopo la datazione del C-14 le principali riviste scientifiche si sono rifiutate, con atteggiamento di estrema cautela, di pubblicare articoli sull’argomento, e soltanto un risultato così clamoroso ha potuto superare questo atteggiamento. I nostri risultati sono stati poi presentati in forma ufficiale in due conferenze internazionali, la “High-Power Lasers” tenutasi presso l’Università di Lisbona2 e “The Shroud of Turin: Perspectives on a Multifaceted Enigma” tenutasi presso l’Università di Columbus, in Ohio (Usa) nell’agosto 20083, e i risultati più recenti sono ora in pubblicazione sulla rivista scientifica Journal of Imaging Science and Technology4.
Queste note sono state anche presentate e discusse all’Iwsai (International Workshop on the Scientific Approach to the Acheiropoietos Images), svoltosi a Frascati da 4 al 6 maggio 20105.
Per quanto significativi, i nostri risultati ancora non permettono di formulare un’ipotesi certa e praticabile sulla modalità di formazione dell’immagine sindonica: basti pensare che, se consideriamo la densità di potenza di radiazione che noi abbiamo utilizzato per ottenere la colorazione di un solo centimetro quadrato di lino, per riprodurre l’intera immagine della Sindone con un singolo flash di luce sarebbero necessari quattordicimila Laser che sparano contemporaneamente ciascuno in una zona diversa del lino per riprodurre l’immagine stessa; per intenderci meglio, una fonte di luce Laser avente le dimensioni di un intero palazzo.
Per ora, possiamo solo affermare con certezza che il nostro risultato di colorazione simil-sindonica, nei limiti degli strumenti che il progresso tecnologico ci ha finora messo a disposizione, è perfettamente riproducibile in laboratorio. Lo abbiamo verificato più volte, con attenzione. Di conseguenza, si tratta di un risultato scientifico a tutti gli effetti.


Note
1 G. Baldacchini – P. Di Lazzaro – D. Murra – G. Fanti, Coloring linens with excimer lasers to simulate the body image of the Turin Shroud, Applied Optics, vol. 47, pp. 1278-1283 (2008).
2 P. Di Lazzaro – G. Baldacchini – G. Fanti – D. Murra – A. Santoni, Colouring fabrics with excimer lasers to simulate encoded images: the case of the Shroud of Turin, XVIII International Symposium on Gas Flow, Chemical Lasers, High-Power Lasers, edito da R. Vilar, Proceedings SPIE, vol. 7131 (2009), pp. 71311R-1 – 71311R-6.
3 P. Di Lazzaro – G. Baldacchini – G. Fanti – D. Murra – E. Nichelatti – A. Santoni, “A physical hypothesis on the origin of the body image embedded into the Turin Shroud”. Proceedings of the International Conference on The Shroud of Turin: Perspectives on a Multifaceted Enigma, edito da G. Fanti (Edizioni Libreria Progetto, Padova 2009), pp. 116 - 125.
4 P. Di Lazzaro – G. Fanti – D. Murra – E. Nichelatti – A. Santoni – G. Baldacchini, Deep ultraviolet radiation simulates the Turin Shroud image, Journal of Imaging Science and Technology, in stampa (agosto 2010).
5 P. Di Lazzaro – G. Fanti – D. Murra – A. Santoni – G. Baldacchini, Sub-micrometer coloration depth of linens by deep ultraviolet radiation, lavoro su invito all’International Workshop on the Scientific Approach to the Acheiropoietos Images (Iwsai, 4-6 maggio 2010, Centro Enea di Frascati).


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