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VATICANO
tratto dal n. 09 - 2001

Mai la fede in Dio può autorizzare crimini


Una riflessione del prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, che ha accompagnato Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio in Kazakistan e Armenia


del cardinale Ignace Moussa I Daoud


Il cardinale Daoud Moussa I, patriarca emerito di Antiochia dei Siri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali

Il cardinale Daoud Moussa I, patriarca emerito di Antiochia dei Siri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali

Gli avvenimenti di New York sono ancora ben presenti nella memoria di tutti. Da quel giorno l’apprensione per le sorti immediate della pace non ci ha più lasciato. Sono profondamente vicino alle famiglie delle vittime, per le quali chiedo al Signore conforto e speranza, e continuo ad affidargli nella preghiera tutti coloro che hanno perduto la vita in modo tanto drammatico.
Con amarezza mi sono più volte domandato chi avesse potuto essere il responsabile di un tale orrore, e se questi avesse un cuore, una coscienza! E come sia stato possibile immaginare, coordinare, pianificare, eseguire un atto così crudele e disumano. Ora mi chiedo se almeno le grida delle vittime innocenti siano state ascoltate… Ma la ricerca precipitosa degli autori della terribile tragedia può portare al coinvolgimento di ogni tipo di persona e creare confusione tra gli innocenti e i veri colpevoli. Le accuse non vanno mai generalizzate.
Una più pacata riflessione sui fatti avvenuti impone prima di tutto alcuni chiarimenti e distinzioni, che non sono scontati, come potrebbero apparire.
Non tutti gli arabi sono musulmani; e tra i musulmani non tutti sono arabi. “Arabo” non è sinonimo di “musulmano”. All’interno della vasta comunità di lingua e cultura araba troviamo espressioni religiose e di pensiero molto diverse tra loro. Una significativa comunità cristiana, e tra le sue componenti c’è appunto la comunità cattolica, vive nel contesto arabo e ne condivide i valori pur professando la fede cristiana, la quale ha saputo dire se stessa in modo fecondo proprio nella realtà araba.
Ma, soprattutto, si deve fortemente rimuovere la tentazione, quasi istintiva in molti da quel triste 11 settembre, di accostare il termine “arabo” o “musulmano” all’idea del terrorismo. E va affermato con convinzione assoluta che l’islam è religione di pace, aggiungendo che la civiltà araba ha dato un inestimabile contributo all’umanità.
In questi giorni penso spesso ai molti connazionali e fratelli provenienti dall’area mediorientale, e ai tanti figli delle Chiese orientali cattoliche e ortodosse che hanno dovuto lasciare le loro amate terre ed hanno trovato in Occidente, numerosissimi proprio negli Stati Uniti d’America, accoglienza e possibilità di guardare con più sicurezza al futuro. Io stesso ho avuto l’opportunità di visitare come vescovo e patriarca della Chiesa siro-cattolica diverse comunità presenti in America, rilevando la proficua integrazione in atto, nella custodia attenta della propria tradizione religiosa e culturale. Ma anche in Medio Oriente assistiamo ad una provvidenziale convivenza e collaborazione tra cattolici e ortodossi, e con i fratelli di fede islamica. Provengo dalla Siria, ed ho avuto la gioia di partecipare allo storico viaggio apostolico della scorsa primavera. I patriarchi ortodossi e quelli cattolici hanno accolto il Papa insieme, ed hanno fatto parte del seguito papale, partecipando a tutte le fasi della visita. E i rappresentanti dell’islam, oltre al memorabile incontro nella Moschea degli Omayyadi di Damasco, hanno riservato piena ospitalità al Santo Padre unendosi alla comunità ecclesiale. Indipendentemente dalla professione religiosa, indistintamente, i siriani si sono stretti attorno al Papa. Nella vita ordinaria, gli uni accanto agli altri in una collaborazione ecumenica e interreligiosa talora non dichiarata ma effettiva, in tante parti del mondo si sta seminando un futuro di comprensione. Voglio pensare alle prospettive aperte da queste esperienze e sperare fermamente nel Signore che esse non vengano soffocate dai gravi eventi terroristici che hanno sconvolto l’America e il mondo.
Evidentemente ai responsabili degli Stati spetta di trovare, grazie alla solidarietà internazionale, il modo più giusto ed appropriato per impedire con tutte le forze che altre vite innocenti vengano trascinate nella spirale dell’odio e della violenza. Ma è una questione di giustizia che deve coinvolgere le nazioni civili di tutti i continenti, i responsabili e i cittadini con le loro istituzioni, associazioni, luoghi di cultura e di pensiero, di lavoro ed educazione, impegnando tutto il patrimonio spirituale e religioso che l’umanità possiede. La risposta a questi crimini non dovrà nel modo più assoluto far pensare ad una guerra tra Occidente e Oriente, tra società più evolute sotto il profilo economico e politico e altre più svantaggiate. Nessuna guerra tra religioni e culture, tra mondo arabo e mondo occidentale. Nessun cedimento all’odio e alla violenza, e ancor meno alla vendetta.
Quella di New York, infatti, è una ferita per tutta l’umanità. Dovrà essere lenita con l’olio della fraterna condivisione nel dolore e nella ripresa fiduciosa di un cammino di collaborazione tra le nazioni, le culture, le religioni; un cammino che i popoli stanno già compiendo insieme. Le sorti e le prospettive del futuro potranno essere solo comuni.
Il viaggio pontificio in Kazakistan e Armenia ha offerto al Papa una straordinaria occasione per ribadire la scelta irreversibile dell’incontro e del dialogo tra le religioni e le culture in seno alla comunità dei popoli. Nella città di Astana, capitale del Kazakistan, domenica 23 settembre sono risuonate con particolare forza queste sue parole: «La religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto… Invito sia i cristiani sia i musulmani a pregare intensamente l’unico Dio onnipotente che tutti ci ha creati, affinché possa regnare nel mondo il bene fondamentale della pace… Con tutto il cuore imploro Dio di mantenere la pace nel mondo» (L’Osservatore Romano, 24-25 settembre 2001, p.1).
Non con le armi, bensì con il dialogo paziente e perseverante si risolvono le controversie. E mai si potrà invocare il santo nome di Dio per compiere violenze contro l’uomo; mai la fede in Lui potrà autorizzare crimini contro i suoi figli.


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