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PAOLO VI
tratto dal n. 07/08 - 2001

6 agosto 1978 • Muore a Castel Gandolfo Paolo VI

Lettere di misericordia


Il carteggio, iniziato nel 1928, tra Giovanni Battista Montini, allora giovane officiale della Segreteria di Stato, e don Orione, sull’aiuto da dare ad alcuni sacerdoti in difficoltà


di Flavio Peloso


Giovanni Battista Montini negli anni in cui era nella Segreteria di Stato. Sullo sfondo, una delle sue lettere indirizzate a don Orione per l’aiuto ai sacerdoti “lapsi”

Giovanni Battista Montini negli anni in cui era nella Segreteria di Stato. Sullo sfondo, una delle sue lettere indirizzate a don Orione per l’aiuto ai sacerdoti “lapsi”

A chi gli sbandierava le dolorose statistiche delle allora crescenti defezioni sacerdotali nel mondo, il cardinale Ottaviani rispondeva osservando che anche tra gli apostoli di Gesù uno su dodici venne meno. Ed anche per Ottaviani, se la prima reazione di fronte ad un sacerdote che "cadeva" era l’indignazione, immediata subentrava la misericordia, virtù che solo chi è entrato nelle cose di Dio può capire e vivere. Virtù propria di chi sperimenta e crede nella grazia di Dio vittoriosa. Misericordia che, peraltro, aveva brillato di esempi pieni di santa concretezza nell’aiutare, redimere e indirizzare al bene sacerdoti in difficoltà, allora chiamati "lapsi". A muoversi con discrezione in quest’opera di "buoni samaritani" furono sin dai primi decenni del Novecento personaggi illustri e santi: don Luigi Orione, che aveva steso tutta una rete di solidarietà, san Giovanni Calabria e il servo di Dio padre Mario Venturini, che si interessarono concretamente dei sacerdoti venuti meno alla vocazione. Ad un vescovo che gli affidava un povero sacerdote, ripudiato da tutti, don Orione risponde: "Non recuso laborem, ma ora tengo già oltre cinquanta di nostri fratelli "lapsi" per un verso o per un altro. Il Santo Padre mi ha confortato per quest’opera e mi ha dato consigli pieni di illuminata saggezza, e così cardinali e vescovi, e col divino aiuto, parecchi si sono riabilitati, e fanno bene".
Tra le congregazioni fondate da don Orione, don Calabria e padre Venturini si stabilì poi, negli anni Cinquanta, quasi un patto di solidarietà per meglio aiutare questi sacerdoti in difficoltà. "Senza dubbio questo genere di lavoro è tanto necessario ed è bene che il Signore ispiri molti ad occuparsene", scrive padre Venturini. "Fino dai primi anni del mio sacerdozio" scrive invece don Calabria "ho cercato di venire incontro a questi poveri nostri confratelli, aiutandoli a tornare al cuore dolcissimo di Gesù. L’opera senza dubbio è tanto cara a Gesù, ma insieme è altrettanto delicata e complessa".
Nelle carte dell’Archivio generale "Don Orione" vi è un copioso e commovente carteggio tenuto dal beato Orione sulla questione e "gestione" di questi delicati casi sacerdotali (cfr. Messaggi di don Orione 3/2001). E vi è anche un inedito e prolungato scambio di lettere tra don Orione e monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI.

Il noto fondatore e il giovane monsignore
Il giovane e promettente don Giovanni Battista Montini entrò negli uffici della Segreteria di Stato nel 1923. Dopo una breve esperienza nella nunziatura di Varsavia, nel 1925, fu nominato assistente ecclesiastico nazionale della Fuci. Risale a quest’epoca un carteggio autografo di monsignor Montini, venuto alla luce nell’Archivio "Don Orione" di Roma. Si tratta di una dozzina di lettere indirizzate al beato don Luigi Orione (1872-1940), a partire dall’anno 1928. Quasi tutte hanno per argomento l’aiuto a sacerdoti "lapsi" da sovvenire e da indirizzare al bene. Don Orione, in quegli anni, era già noto per essere stato in molti casi "buon samaritano" — glielo diede Buonaiuti questo epiteto — di molti sacerdoti in crisi di pensiero durante gli anni del modernismo o di fedeltà sacerdotale o con altri problemi di vita.
Don Luigi Orione

Don Luigi Orione

È del 27 dicembre 1928 la prima lettera con cui monsignor Montini tratta con don Orione dell’aiuto a un sacerdote in difficoltà. "La prego per la carità di nostro Signore di far accogliere in qualche sua casa di Roma l’ex sacerdote ***. Egli aveva lasciato l’abito e la vita sacerdotale, dopo sedici anni di buon ministero parrocchiale".
Monsignor Montini aveva già incontrato don Orione ad una riunione degli Amici del Piccolo Cottolengo genovese, il 18 marzo 1927. Ne restò affascinato. "Parlò con un candore così semplice", raccontò poi, "così disadorno, ma così sincero, così affettuoso, così spirituale che toccò anche il mio cuore, e rimasi meravigliato di quella trasparenza spirituale che emanava quest’uomo così semplice e umile". Proprio a questo incontro allude monsignor Montini nell’indirizzarsi a don Orione in nuova veste: "Non so se ella mi ricorda: io la conobbi a Genova, quando lei or son quasi due anni tenne una riunione per la sua opera: io stavo con Franco Costa [poi vescovo, assistente generale dell’Azione cattolica]. Ma certo io ricordo la sua bontà, ed è questa che mi lascia sperare di non esser ricorso indarno ad un amico dei poveri come lei".
Oltre a questo motivo di confidenza, la sua iniziativa è mossa semplicemente dalla carità sacerdotale: "Non ne ho alcun incarico, né alcuna autorità, salvo quella di chi prega per un confratello, incontrato casualmente. Questi è ancora abbastanza giovane, ha buone doti di attività, e sembra disposto a tutto pur di togliersi dalla penosa situazione in cui da alcuni giorni si trova: era presso un istituto che, stanco di averlo a carico, nonostante le preghiere di monsignor Canali e del vicariato, lo ha messo con i carabinieri alla porta. Ora sta in albergo tentato dalla miseria e dall’abbandono con disperati pensieri".
Don Orione comunicò subito, il 29 dicembre, a monsignor Montini la propria disponibilità a soddisfare la sua richiesta, solo chiese ulteriori informazioni e garanzie sul conto del sacerdote da aiutare.
"Veneratissimo don Orione, monsignor Canali la ringrazia della carità che ella dimostra per il sig. ***", scrive nuovamente monsignor Montini il 4 gennaio 1929. "Mi pare di poterla assicurare con tranquilla coscienza circa le clausole poste da lei per l’accettazione; e cioè del contegno corretto del sig. ***, della sua volontà di rimettersi a lavorare bene per la causa del Signore, e della sua disposizione a tenere il segreto circa la sua condizione di sacerdote finché non sia (se potrà essere) riabilitato. Non mi risulta che sia stato mai nelle Marche: egli accetta di andarvi sebbene preferisse restare a Roma per poter spingere in avanti la sua causa presso il Sant’Uffizio: ma fiducioso che lei, occorrendo, gli sarà anche in questo buon avvocato, partirà volentieri appena ella gli darà disposizioni precise. Non le dico quanto bene abbia fatto anche a me la lettera sua: l’esasperazione di questo poverino e l’impossibilità di poterlo trarre d’impaccio mi faceva assai pena. Speriamo che la sua opera sia la prima a risentire buoni vantaggi da questa opera di carità. […] È uno che ha bisogno d’essere trattato con forza e con amore e messo a lavorare molto, così egli desidera".
Montini in una borgata di Roma negli anni Trenta

Montini in una borgata di Roma negli anni Trenta

Quel sacerdote fu accolto nella casa dei Figli della Divina Provvidenza di San Severino Marche. A distanza di pochi giorni, monsignor Montini manifestò subito la propria gratitudine a don Orione: "La ringrazio della bontà che ella ha usato a quel poverino e che spero gli riuscirà di balsamo all’anima prima fuorviata, ora inasprita. Sua eccellenza monsignor Canali e lo stesso cardinale Merry del Val sono stati assai bene impressionati della soluzione che ella ha loro facilitato del caso pietoso" (lettera del 12 gennaio 1929).
Fu una vicenda a lieto fine che veniva a compensare tante amarezze e sacrifici di don Orione in quest’opera che lo occupava sempre più "poiché si è sparsa fra i vescovi la voce che io prendo a raddrizzare le gambe di quelli" (Scritti 7, 304). E confidò: "Le dirò che ne ho un po’ da per tutto, riabilitati e non ancora riabilitati, già in abito talare e chi ancora in borghese: ne ho che fanno da sacrista, da portinaio, da tipografo, da infermiere, da professore; ne ho che lavorano e altri che non ne vogliono sapere, e solo pensano alla mensa e a sfuggirsela in bicicletta, chi studia e prega e chi non parla che di politica e di sport; chi ha olio nella lampada e chi ne ha molto poco, forse alcuni non ne hanno mai avuto, e penso mancassero di vera vocazione" (Scritti 84, 9).

Una continuata collaborazione
Tra il giovane Montini, minutante della Segreteria di Stato, e don Orione si instaurò una continua collaborazione di soccorso ai sacerdoti in difficoltà. Quando monsignor Montini veniva a sapere di questi casi, sapeva di poter ricorrere a don Orione: "Voglia nella sua bontà dare un’occhiata anche a questa miseria e mi dica se la Madonna non gli ha suggerito il modo per recarvi qualche soccorso". Dal seguito della lettera, si capisce che monsignor Montini non "scaricava il problema" su don Orione, come fosse una qualunque pratica di ufficio, ma gli offriva il proprio coinvolgimento personale: "Se ella crede che si possa e si debba fare qualche cosa in proposito da parte mia (veramente non saprei a che sia capace la mia pochezza, specialmente in questo campo) me ne faccia cortesemente avvertito".
Don Orione dovette apprezzare molto l’impegno del giovane monsignore, perché in altra occasione si sfoga dicendo: "Avrei potuto fare di più, e, col divino aiuto, farei ben di più per questi e per altri, ma, lo dico con dolore, non sono aiutato! Tolto il Santo Padre e, per alcuni, il Sant’Officio in genere, gli altri, dopo che se ne sono liberati e me li hanno buttati sulle braccia, non se ne ricordano più: rimanga a lei!" (Scritti 84, 9).
Altro indizio della continuità dell’impegno di monsignor Montini in questo nascosto campo di carità sacerdotale si ha in una sua lettera del 2 agosto 1929, nella quale confida a don Orione: "Monsignor Canali ha di nuovo mandato a me simili casi con la preghiera di trovare qualche rimedio o almeno di dare qualche conforto".
Dopo qualche tempo, per la conoscenza acquisita e per la franchezza della carità, monsignor Montini si fa audace e propone al fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza: "Ho fatto una discreta esperienza sulla necessità che sorga un’opera di assistenza per questi infelici, a cui più nessuno vuol porgere la mano… Oh, se il Signore le ispirasse di fondare anche questa opera, don Orione, come anch’io ne lo benedirei!". Di fatto, proprio negli anni Trenta, don Orione destinò per l’aiuto a questi sacerdoti un ambiente riservato e capace di favorire la loro ripresa umana e spirituale. "Per raccogliere i preti caduti durante la guerra, e che mano mano ritornano pentiti" scrisse a un ecclesiastico che gli chiedeva aiuto in favore di un sacerdote "la Divina Provvidenza mi fece acquistare una casa adatta a Varallo Sesia, e anche là circa L. 200.000, e ho fatto un passo che ora sento fu troppo lungo" (lettera del 25 novembre 1932).
Paolo VI visita due opere degli Orionini a Roma; qui è con un ragazzo disabile del centro “Don Orione” di Monte Mario

Paolo VI visita due opere degli Orionini a Roma; qui è con un ragazzo disabile del centro “Don Orione” di Monte Mario

Nella collaborazione tra monsignor Montini e don Orione, il balsamo della carità congiunto all’azione giuridica portò alla redenzione di vari sacerdoti "lapsi". Se ne accenna anche in una lettera dell’11 settembre 1929: "Veneratissimo don Orione, l’ottimo dottor Costa, di Genova, mi ha portato i suoi saluti, con immenso mio piacere, per sapermi da lei ricordato, e, spero, nel ricordo della preghiera e della carità. La ringrazio sentitamente. Tempo fa le scrissi circa la riabilitazione d’un sacerdote: ha ricevuto la lettera? Mi potrà favorire un cenno di riscontro? In Domino. Dev.mo Sac. G.B. Montini".
L’interessamento verso i sacerdoti in difficoltà, per quanto generoso e sapiente, non sempre otteneva i buoni esiti sperati. Come nel caso di don Raffaele ***. Monsignor Montini scrive a don Orione nel novembre 1929. "Veneratissimo don Orione, mesi fa mi permisi segnalarle il caso pietoso di un sacerdote apostata da salvare, e nella lettera mettevo un promemoria con i dati precisi. […] Magari ella potesse, Deo adiuvante, stender la mano al poveretto!". Poi, però, monsignor Montini deve concludere: "Se non è possibile far qualcosa per lui, gradirei riavere le note di promemoria, che accompagnavano la lettera. Ho passato, nel settembre, qualche giorno con Franco Costa, ed insieme abbiamo parlato di lei: ci vuole ricordare entrambi nella sua caritatevole preghiera?".
_a corrispondenza autografa di monsignor Montini conservata nell’Archivio "Don Orione" si dirada durante la permanenza di don Orione in America Latina (1934-1937) e cessa per la sua morte (1940). L’ultimo documento dell’animo sensibile e amico di monsignor Montini nei confronti di don Orione è datato 26 ottobre 1939. Sapeva che il "padre dei poveri" trepidava per i suoi figli di Polonia dei quali non aveva notizie dopo la devastante invasione delle truppe di Hitler cominciata il 1� settembre. Lo rassicura: "Mi affretto a renderle noto che, secondo recentissime notizie pervenutemi, tutte le persone ospitate negli istituti della congregazione dei Figli della Divina Provvidenza in Polonia sono salve. Mi è stata anche recapitata una lettera indirizzatale da un suo figlio; dandomi premura di rimettergliela qui acclusa, la prego di non far pubblicare, nemmeno sui bollettini riservati alla Congregazione, notizie contenute nella medesima lettera".
Davvero un’amicizia singolare legava i due "buoni samaritani" dei sacerdoti in difficoltà. Ricordando questo periodo, a quarant’anni di distanza, Paolo VI ne rivivrà ancora l’incanto (udienza del 31 maggio 1972): "Lo vidi più di una volta quando venne a trovarmi in Segreteria di Stato, e non avrei mai finito di discorrere con lui perché sentivo proprio in lui un’anima speciale, uno spirito singolare, un santo e speriamo un giorno di poterlo proclamare tale da questa basilica".


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