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REPORTAGE DALLA TERRA SANTA
tratto dal n. 04/05 - 2001

STORIA. Breve excursus sulle lotte tra i cristiani per i luoghi santi

La pace del sultano



di Gianni Valente



Quando nel 1187 Gerusalemme cade in potere del Saladino, la dominazione musulmana confisca tutte le Chiese cristiane. Alcune le trasforma in moschee. Altre, per benevola concessione, e per lucrare sulle offerte dei pellegrini, le lascia in uso ai vinti per l’esercizio del loro culto. Da quel momento, i governi musulmani di turno regolano a loro arbitrio l’ammissione delle diverse comunità all’officiatura dei luoghi santi. E inizia la battaglia tra i cristiani divisi e tra le rispettive nazioni di riferimento per accaparrarsene il controllo. Con tutti i mezzi.
Il diritto di poter abitare stabilmente nella chiesa del Santo Sepolcro viene riconosciuto ai francescani a partire dal 1333 solo grazie alle somme di denaro versate al sultano Melek-en-Naser Mohammed dai sovrani di Napoli e di Sicilia, Roberto e di Sancia. Per tre secoli, la protezione dei principi cattolici e in particolare della Repubblica di Venezia tutelano i diritti più o meno esclusivi, ma sempre contestati, dei figli di san Francesco. Ma nel 1633 i monaci greci, con un’offensiva a colpi di mazzette e di documenti falsi, ottengono dai nuovi dominatori turchi il controllo della cappella del Calvario e della Pietra dell’unzione. La Sacra Congregazione di Propaganda Fide, con una lettera inviata ai nunzi delle “nazioni cattoliche”, invoca una «pubblica guerra, ad imitazione dei buoni principi dei tempi andati, che con loro tanta gloria, spese e spargimento di sangue ricuperarono detti santi luoghi dalle mani degl’infedeli» e dalle pretese degli scismatici greci. Ma non è più tempo di crociate. In quegli anni sono solo i giannizzeri turchi ad impedire che le tensioni non degenerino nel sangue, soprattutto in occasione della settimana santa. Nel 1675, dietro pagamento di una nuova supertangente (un assegno annuo di mille piastre a favore della moschea di Ahmed), i greci ottengono un “berat” di Maometto IV che riconosce loro il possesso esclusivo dell’edicola del Santo Sepolcro. «I monaci greci spogliarono l’edicola di tutte le tappezzerie dei latini, delle lampade preziose, dono dei principi cattolici, e lavarono accuratamente con acqua e sapone l’altare, ritenendolo contaminato per avervi celebrato i cattolici» (lettera del padre Cagnizares, Archivio della Sacra Congregazione di Propaganda Fide). Davanti a tale scippo, i papi continuano a chiedere alle potenze cristiane un’azione di forza sul governo della Sublime Porta per ottenere riparazione. Tra i più solerti si mostrano il re di Polonia e l’imperatore Leopoldo I, che nel 1684 riceve dai frati la somma di 100mila scudi come contributo alle spese della guerra contro la Turchia. Dopo la sconfitta turca, un firmàno ottomano del 1690 reintegra i francescani nel godimento di diritti quasi esclusivi sul Santo Sepolcro. Nel 1719 la Custodia francescana di Terra Santa acquista anche la licenza per il restauro della basilica, “pagando” l’esclusiva con il riscatto di centocinquanta schiavi turchi sparpagliati per le corti d’Occidente.
Se intorno ai luoghi sacri crescono le interferenze e le pressioni delle potenze egemoni, dentro le mura sacre spesso la lotta per il controllo si risolve a cazzotti e bastonate. Nel 1757, ad esempio, la notte prima della domenica delle Palme «la plebaglia greca, eccitata dai suoi monaci» (così racconta una cronaca francescana) irrompe nella basilica con mazze, pale uncinate e pugnali. Rovescia i candelieri, strappa le tappezzerie preziose, infrange le lampade. Poi si dirige verso il convento dei francescani, che si devono barricare per fuggire alla ferocia «di quei facinorosi eccitati dal vino e dalla crapula». In seguito a tale episodio, i greci riescono a conquistare la comproprietà coi latini del Santo Sepolcro e della Pietra dell’unzione, allargando il loro possesso esclusivo ad altri ambienti dell’edificio, come i sette archi della Vergine. La reazione cattolica si affida come al solito alla richiesta di soccorso rivolta da papa Clemente XIII ai sempre più latitanti “principi cattolici”. Solo nel 1811 i frati latini, grazie alle pressioni di Austria e Francia, vengono reintegrati nel possesso della sacra tomba. Ma ormai si tratta di vittorie effimere: i greci conservano la custodia dell’edicola, e nel 1829 anche gli armeni strappano all’autorità ottomana un fìrmano che li rende comproprietari, insieme ai greci e ai latini, del Santo Sepolcro e della Pietra dell’unzione. Nel febbraio 1852, a por fine alle inesauste diatribe, la Sublime Porta emana il firmano che congela i diritti delle varie comunità e stabilisce in linea di massima il mantenimento dello statu quo riguardo ai santuari. Intanto lo zar Nicola, presentandosi come padrino di tutti gli ortodossi dell’Impero ottomano, usa anche la questione del luoghi santi per aumentare la sua influenza nell’area. La guerra di Crimea verrà presentata al mondo come una guerra di religione, combattuta dalle potenze d’Occidente per contrastare il disegno egemonico della Russia ortodossa nel Levante.
Il regime di statu quo che da allora governa il Santo Sepolcro rimane comunque una tregua armata, con continue violazioni. La più clamorosa, nell’ultimo secolo, è la rissa che la mattina del 4 novembre 1901 vede scorrere sangue francescano sulla soglia della basilica, quando un nugolo di monaci greci assale i frati, dopo che il loro sacrestano aveva osato spazzare pochi metri del sagrato, davanti alla scala esterna che conduce alla cappella latina dell’Addolorata. Violando, a loro giudizio, il “diritto di pulizia” che i greci ortodossi conservano ancora su tutto il sagrato. Quel giorno finirono piuttosto ammaccati diciotto frati. Mentre una squadra di monaci picchiatori li pestava, altri dalle terrazze sovrastanti lasciavano cadere su di loro grosse pietre opportunamente preparate. «Vi fu perfino chi vide sui terrazzi greci già pronte diverse casse di petrolio con stracci incendiari destinati ad essere gettati sui francescani boccheggianti nel sangue e non uccisi dalle percosse»: così ricorda una cronaca del tempo intitolata Il macello del 4 novembre 1901.



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