Lutero, Agostino, gli ebrei
L’autorità del vescovo di Ippona è un essenziale punto di riferimento per comprendere il destino e le vicende degli ebrei in seno alla cristianità. Finché essa è unanimemente riconosciuta, come accade nel primo millennio, intatta permane la consapevolezza del mistero significato dal popolo ebraico, consapevolezza che limita le tentazioni di emarginazione e distoglie da velleità di conversioni forzate
di Massimo Borghesi
1. Riforma ed antiebraismo
Nel 1543, tre anni prima della sua morte, Lutero pubblica un saggio, Von den Juden und ihren Lügen, che esce ora in traduzione italiana, con il titolo Degli ebrei e delle loro menzogne1. Il libello, dal cui contenuto le comunità protestanti attuali hanno preso risolutamente le distanze, è di una violenza senza pari. «Esseri tanto disperati, cattivi, velenosi e diabolici fino al midollo sono questi ebrei, i quali in questi millequattrocento anni sono stati la nostra piaga, pestilenza, e ogni sventura, e continuano ad esserlo»2. Essi sono «velenose, aspre, vendicative, perfide serpi, assassini e figli del demonio, che pungono e nuocciono in segreto, non potendolo fare apertamente»3.
Di fronte a loro l’unica terapia possibile è un’«aspra misericordia» (scharfe Barmherzigkeit)4, una durezza impietosa che si traduce, verso la fine del libello, in «senza alcuna misericordia»5. Le misure drastiche che il riformatore richiede alle autorità civili e religiose per ripulire la Germania dalla “piaga” giudaica prevedono una serie di punti. «In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto»6. In secondo luogo «bisogna allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari»7. In terzo luogo «bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie»8. In quarto luogo «bisogna proibire ai loro rabbini – pena la morte – di continuare a insegnare»9. In quinto luogo «bisogna abolire completamente per gli ebrei il salvacondotto per le strade, perché essi non hanno niente da fare in campagna, visto che non sono né signori, né funzionari, né mercanti, o simili. Essi devono rimanere a casa»10. In sesto luogo «bisogna proibire loro l’usura, confiscare tutto ciò che possiedono in contante e in gioielli d’argento e d’oro, e tenerlo da parte in custodia»11. In settimo luogo «a ebrei ed ebree giovani e forti, si diano in mano trebbia, ascia, zappa, vanga, conocchia, fuso, in modo che si guadagnino il loro pane col sudore della fronte»12. A queste misure Lutero aggiunge il divieto di pronunciare il nome di Dio in presenza di cristiani. «Le boccaccie degli ebrei non devono, da noi cristiani, essere considerate degne di nominare il nome di Dio in nostra presenza: chiunque lo senta da un ebreo, lo segnali all’autorità, oppure gli getti addosso sterco di porco, se lo vede, e lo cacci via. E su questo punto nessuno sia misericordioso e benevolo»13. Lutero insiste a più riprese sul fatto che non si deve usare misericordia verso gli ebrei. Questi esseri «velenosi e diabolici» devono essere evitati: «Fate sì che non abbiano alcuna protezione né difesa, alcun salvacondotto, né vita in comune con noi»14. Lo scopo, com’è evidente, è di render loro la vita impossibile onde persuaderli ad andarsene. Per Lutero il rimedio effettivo è quello praticato dalla «saggezza comune di altre nazioni, come la Francia, la Spagna, la Boemia»15, cioè la loro definitiva cacciata dal Paese. «Io penso questo: se noi vogliamo rimanere immuni dall’empietà degli ebrei e non esserne partecipi, allora dobbiamo separarci e loro devono essere cacciati dalla nostra terra, che si ricordino della loro patria»16. Essi devono essere cacciati come «cani rabbiosi»17. «Io» scrive Lutero «ho fatto il mio dovere: qualcun altro, ora, veda di fare il suo! Io non ho colpa»18. Un’autoassoluzione, questa, che ha un suono cupo. Lutero, come padre spirituale della Germania moderna, ha una responsabilità gravissima nel processo di odio sviluppato verso la componente ebraica. Le pagine «sinistre»19 del suo pamphlet, le sue parole «indifendibili»20, giustificano la chiamata di correo che ne fu fatta al processo di Norimberga dal nazista Julius Streicher per il quale il dottor Martin Lutero «oggi, sarebbe sicuramente al mio posto sul banco degli accusati»21] Accusa questa che trova conferma in William Shirer, uno dei più insigni storici del nazismo22, così come, indirettamente, nel fatto che «oggi gli scritti polemici di Lutero contro gli ebrei non sono presenti in nessuna delle edizioni in tedesco contemporaneo»23 . In verità – posto che vi fosse bisogno di altri elementi per giudicare male Lutero – queste pagine sono vergognose.
2. Oltre Agostino e la pax christiana del primo millennio
La posizione di Lutero, che trova solo parzialmente comprensione nei pregiudizi antiebraici del tempo, è tanto più significativa quanto più si discosta da un iniziale scritto dell’autore, Dass Jesus Christus ein geborener Jude sei (Gesù Cristo è nato ebreo), del 1523, il quale, già nel titolo, indica un atteggiamento affatto ostile verso gli ebrei. Qui la diffidenza ebraica verso il cristianesimo è spiegata a partire dai limiti della cristianità che, chiusa e ostile verso il popolo ebraico, non ha manifestato il volto compassionevole di Gesù. In precedenza, nel febbraio del 1514, nel contesto della controversia sulla distruzione dei libri ebraici che tormentò il mondo tedesco del primo Cinquecento, egli si era dichiarato contrario al divieto del Talmud. La “tolleranza” del giovane Lutero dipendeva dalla sua fedeltà alla Scrittura. Come si deduce da una sua lettera a Georg Spalatin del febbraio 1514, i teologi di Colonia non potevano impedire agli ebrei di offendere Cristo e i suoi, attraverso la distruzione dei libri, poiché ciò era predetto dai profeti ed era contenuto nella Scrittura. La presenza della sinagoga, anche dopo la Chiesa, appare come un mistero che deve essere presente ai cristiani senza che essi pretendano di risolverlo in chiave politica. Le motivazioni luterane, come fa notare Adriano Prosperi, hanno un chiaro orientamento agostiniano. Prosperi, nella introduzione alla traduzione italiana di Degli ebrei e delle loro menzogne, mostra come il tardo Lutero, rompendo con la sua posizione iniziale, operi un «distacco dall’esegesi agostiniana»24, esegesi che aveva permesso la coabitazione tra ebrei e cristiani nel primo millennio. «Agostino» osserva Prosperi «aveva giustificato la permanenza storica della religione ebraica come provvidenziale funzione di testimonianza della verità nei confronti dei negatori – pagani, eretici – della continuità della tradizione biblica veterotestamentaria nella Chiesa cristiana. Ma aveva posto due condizioni a quella permanenza: l’una, che gli ebrei non dovessero essere maltrattati o uccisi per la loro colpa originaria; l’altra, che gli ebrei si sarebbero convertiti per ultimi alla fine dei tempi. Collegando il passo del Salmo 58, 15 con quello di Genesi 4, 15, aveva accostato la sopravvivenza degli ebrei come popolo unito da una religione a quella di Caino dopo l’uccisione di Abele. Il “segno” posto da Dio su Caino perché nessuno lo uccidesse era stato posto anche sugli ebrei: quel segno, secondo Agostino, era la loro religione. Accanto a questa funzione protettiva del “segno” posto sugli ebrei, Agostino aveva ripreso l’interpretazione paolina del Salmo 58, 15: convertentur ad vesperam: gli ebrei erano destinati a convertirsi per ultimi, alla fine dei tempi, in fine mundi»25. In tal modo «dall’attesa apocalittica della conversione finale e dal significato provvidenziale attribuito alla presenza ebraica era derivata per gli ebrei la garanzia di un libero esercizio della loro religione»26.
Il giudizio di Prosperi coincide qui con quello di Léon Poliakov per il quale, secondo «il più illustre padre della Chiesa, Agostino», gli ebrei dovevano «rimanere protetti nelle loro vite e nel loro culto, in quanto “popolo testimone della crocifissione”, per testimoniare così la verità del cristianesimo e l’errore dell’ebraismo. Così, in seguito, nel corso dei secoli, la Chiesa romana cercò di proteggere gli ebrei i quali, dal canto loro, considerarono i sovrani pontefici come l’ultima spiaggia. Ma generalmente, la condizione degli ebrei nel Medioevo non fu certo uniformemente tragica: certo, fu oscurata da sporadici massacri, da accuse di omicidio rituale ed altre ancora, ma per lo più essi vissero in accordo coi cristiani ed esercitarono (tranne l’agricoltura) i loro stessi mestieri»27. Questa tolleranza caratterizzò, secondo Poliakov, l’Occidente latino. «Viceversa, la Chiesa greca ortodossa, che si era debitamente astenuta dal canonizzare sant’Agostino, aveva rifiutato la sua dottrina. Per questo fatto, i primi zar rifiutarono di ammettere gli ebrei nelle loro terre e quando, nel XVIII secolo, la Russia imperiale si annetté ad ovest alcuni territori già popolati da ebrei, questi furono sottomessi a severe leggi eccezionali»28.
L’autorità di Agostino costituisce così, tanto per Prosperi quanto per Poliakov, un essenziale punto di riferimento per comprendere il destino e le vicende degli ebrei in seno alla cristianità. Finché essa è unanimemente riconosciuta, come accade nel primo millennio, intatta permane la consapevolezza del mistero significato dal popolo ebraico, consapevolezza che limita le tentazioni di emarginazione e distoglie da velleità di conversioni forzate. Come scrive Lucie Kaennel: «Fino all’XI secolo l’integrazione degli ebrei con la popolazione cristiana occidentale e con il mondo arabo spagnolo non presenta grandi difficoltà. Le comunità ebraiche godono della protezione dei sovrani. Mercanti ebrei assicurano le indispensabili relazioni fra la cristianità d’Occidente e il mondo islamico; tra le varie comunità religiose regna una relativa tolleranza»29. Tra il 1000 e il 1200 l’ebraismo diventa l’ideale punto d’incontro tra la cristianità latina e le grandi correnti del pensiero antico ed arabo-islamico, dando un apporto decisivo alla cultura medievale. È il tempo di Judah Halevi (1075-1141) e di Mosheh ben Maimôn, detto Maimonide (1135/38-1204), il più grande pensatore ebreo del Medioevo. La situazione cambia nel corso dei secoli XIII e XIV. Nello spirito nuovo, contrassegnato dalle crociate contro l’islam e gli Albigesi, matura anche un atteggiamento diverso. Nel 1290 gli ebrei vengono cacciati dall’Inghilterra, nel 1308 dalla Francia; è l’inizio di un processo che culmina, nel 1492, con la loro espulsione dalla Spagna. Non è facile spiegare i perché di questa «svolta netta rispetto al percorso segnato da Agostino»30. Amos Funkenstein chiama in causa l’indirizzo razionalistico della nuova filosofia e la maggior conoscenza del Talmud che faceva apparire gli ebrei moderni come “eretici” rispetto al deposito veterotestamentario31. Con ciò i vincoli posti da Agostino a tutela della componente ebraica venivano a cadere.
La cristianità, che riserra le sue file attorno alla “rivoluzione pontificia” del XII-XIII secolo, appare meno nelle vesti della Chiesa pellegrina, la civitas Dei agostiniana, che del regno compiuto. L’ansia di purificazione che la percorre si traduce, all’esterno, in una lotta serrata con l’impero, gli eretici, i non cristiani. Al fondo v’è il presagio che il tempo del mondo volge alla fine. «La Chiesa rinnovata» così Gioacchino da Fiore «sta entrando nell’età dello Spirito», l’epoca finale della storia. Anche Lutero condivide questa visione “apocalittica”; anche per lui è scoccata l’ora decisiva nella lotta pro o contro l’Evangelo. A partire da qui si precisa la sua concezione dell’avversario, ebreo, papista, turco, pagano, eretico32. Se ciò è vero, l’antiebraismo moderno, e ciò non è stato notato a sufficienza, troverebbe una chiave esplicativa nella tensione apocalittica che, a partire dal Medioevo, percorre gli animi. In ciò la rottura con la tradizione agostiniana – Gioacchino da Fiore contro Agostino33 – per la quale la civitas Dei e la civitas hominis restano perplexae sino alla fine, e il conseguente ultimatum, dato agli ebrei, di convertirsi o di andarsene dal mondo “cristiano”.
3. Ecclesia spiritualis. Marcionismo ed antiebraismo
Il pregiudizio antiebraico che contrassegna la modernità segue due strade. Una è data dal ritorno all’antico contro il moderno contrassegnato dalla tradizione ebraico-cristiana. È la via del neoclassicismo tedesco che, culminante in Nietzsche, assume la forma di un ritorno al paganesimo ellenico nei suoi valori e nelle sue divinità. Questa corrente, che troverà una sua espressione radicale nella mitologia nazionalsocialista, è palese nel pensiero di Walter Otto e di Martin Heidegger.
L’altra strada, che percorre il sentimento antiebraico, è quella che matura a partire da un “cristianesimo spirituale” fondato sull’antitesi tra Nuovo e Antico Testamento, tra l’amore e la legge. Un’antitesi che richiama la posizione di Marcione che Agostino aveva idealmente avversato opponendosi al manicheismo. Nel corso del moderno la posizione marcionita è un portato della Riforma nella misura in cui la nuova Ecclesia spiritualis vede negli ebrei i rappresentanti della legge intesa come utogiustificazione. «In essi, Lutero vede la Chiesa carnale, specchio negativo per la Chiesa spirituale che ha in mente. Il pericolo che essi rappresentano va molto al di là dell’ambito ebraico. Gloriarsi della propria giustizia, praticare una religione fatta di cerimonie e di riti esteriori, è quel che fanno molti cristiani»34. L’ebreo diviene, in tal modo, il criterio di paragone, in negativo, per stabilire la vera religione. L’ebreo, al pari del cattolico, persegue l’autogiustificazione tramite le opere della legge di contro alla dottrina evangelica che richiede la giustificazione attraverso la grazia di Dio. Con ciò il legalismo romano, “papista”, viene accostato a quello ebraico. Il cattolicesimo è un “cristianesimo ebraico”, mondano, che ha dimenticato la giustificazione mediante la grazia. Di contro a questo cristianesimo “carnale” sta quello “spirituale” ripristinato dalla Riforma. Si può osservare come questa contrapposizione non sia solo dei riformatori. Essa è presente anche negli umanisti. Per Erasmo da Rotterdam, che dimostra nei suoi scritti «una ostilità antiebraica profondamente radicata»35 al punto da rallegrarsi dell’espulsione degli ebrei dalla Francia, l’antitesi tra ebraismo e cristianesimo è antitesi tra la carne e lo spirito, tra una ritualità esteriore e una fede interiore.
È la stessa contrapposizione che, in forme mutate, ritroviamo nell’illuminismo per il quale al deismo come vera religione (interiore, razionale, universale) si oppone la fede ebraica (esteriore, legalistica, particolare) fondata sulla scandalosa pretesa dell’elezione divina e sulla “schiavitù” della legge. Da questo punto di vista non deve sorprendere, anche se la cosa può risultare non facile da accettare, l’ostilità che una parte cospicua dell’illuminismo nutre verso l’ebraismo36. Dal padre della tolleranza, Voltaire37, a Gibbon, Reimarus, Kant, il risentimento antiebraico è una costante. Come scrive Elena Loewenthal «antisemiti lo sono stati tutti: laici e religiosi, riformatori e conservatori, reazionari e rivoluzionari. Illuministi, atei. L’antisemitismo deve molto a questi “apporti trasversali”, lo sterminio nazista trovò non scarsa legittimazione e supporto anche nel fatto che i Voltaire, i Lutero, i Kant e via di seguito non avessero mostrato particolare simpatia per il popolo eletto e disperso»38.
Ciò che preme qui osservare è come questa “trasversalità” non sia casuale ma l’esito consequenziale di una “religione pura” che vede nell’ebreo l’anti-tipo, il modello di una fede esteriore, politica, particolaristica, carnale. Si tratta di un antisemitismo gnostico che rilegge alla luce di Marcione la dialettica luterana tra Legge ed Evangelo, Antico e Nuovo Patto. È quanto emerge dagli scritti giovanili di Hegel, colmi di furore antigiudaico39, così come in una parte consistente della cosiddetta teologia liberale tesa a liberare il cristianesimo da ogni possibile dipendenza veterotestamentaria. Jacob Taubes in Die Politische Theologie des Paulus ha colto molto bene questa direttrice di pensiero nell’opera di Adolf von Harnack la cui riflessione, non a caso, si è misurata a lungo con la figura di Marcione40. Era il padre di Harnack, Theodosius, che in un suo studio su Lutero aveva riletto la coppia Legge-Vangelo in termini decisamente marcioniti41ï Ripresa dal figlio, questa impostazione conduceva al rifiuto dell’elemento veterotestamentario. Questo rifiuto era, secondo Taubes, «il segreto del protestantesimo tedesco liberale, che nel 1933 non fu poi in grado di superare la prova»42.
4. La Chiesa e Israele
L’ideale apocalittico di una Chiesa di puri giunti all’epoca finale della storia, ideale che in forme ereticali ed utopiche solca la modernità, non può tollerare ciò che Heinrich Schlier, in una splendida conferenza del 1939, chiama il mistero di Israele, mistero fondato sul fatto che anche dopo la Chiesa «Dio non ritira la sua promessa a questo popolo»43. Ciò significa che «Israele non perirà giammai né per l’impazienza dei popoli né per la propria. Esso riposa sulla pazienza di Dio»44. Pazienza che porterà alfine alla salvezza dell’«intero Israele»45.
Schlier, commentando Paolo, reincontra idealmente la posizione di Agostino. Ciò non è senza significato. La riattualizzazione di tale posizione, alla luce dell’intolleranza moderna e della tragedia della Shoah, assume, infatti, un valore del tutto particolare per la Chiesa e per le confessioni cristiane.
L’esistenza ebraica è, innanzitutto, un’ammonizione per la Chiesa. Essa le ricorda che è pellegrina, civitas Dei in senso agostiniano; non è ancora la pienezza del Regno. Come scrive Franz Rosenzweig a Eugen Rosenstock: «Noi siamo il monumento che eternamente vi ammonisce del vostro non-ancora»46.
La Chiesa, in secondo luogo, ha bisogno di Israele, come popolo autentico che vive l’alleanza con Dio nella storia, per non cedere alla tentazione (gnostica) della Ecclesia spiritualis. È questa, secondo Alain Besançon, la lezione che ne trae Vladimir Solov’ëv, nel suo Gli ebrei e la questione cristiana, scritto dopo le leggi antisemite promulgate in Russia nel 1882. «La riflessione su Israele fa intravvedere a Solov’ëv che la religione non è un messaggio, ma una storia; e non è nemmeno “evoluzione”, o schema storiosofico, ma si legge in fatti non ripetibili, quali sono stati vissuti da un popolo scelto in una regione particolare, in un tempo dato, con le sue idiosincrasie irriducibili»47. Con ciò Solov’ëv «si sbarazza dell’eresia marcionita»48 presente nel sublime tolstojano così come nel patetismo dei Fratelli Karamazov o dell’Idiota. Analogamente a Solov’ëv anche Charles Péguy, secondo von Balthasar, ha colto in Israele il modello del point d’intersection tra il tempo e l’eterno. «Il fatto che Gesù era ebreo, solidale con il popolo, con il destino degli ebrei, rimane per Péguy il punto di partenza per il giusto equilibrio fra spirituel e charnel (temporel)»49.
La Chiesa, da ultimo, come Chiesa pellegrina e al contempo radicata nella storia, non può non rispecchiarsi nel peculiare destino di Israele, popolo umiliato e offeso cui non è stato risparmiato nulla del dolore del mondo. Tutto ciò, dopo l’esperienza indicibile della Shoah assume un significato del tutto particolare. Come ha scritto Luigi Giussani «L’Olocausto è diventato una pedagogia per tutti i cristiani; come un marchio doloroso e ingiusto la Shoah è proposta dalla più fervida cultura ebraica come argomento cardine anche per l’umanità, quale debba essere»50. Per la Chiesa ciò significa consapevolezza, drammatica, che «la fatica della fedeltà nell’attesa di Dio si realizza anche come croce nella vita dei credenti»51.
La coscienza di questi tre fattori, per cui la Chiesa è itinerante nel mondo, radicata nella storia, segnata dal legno della croce, chiariscono l’importanza della figura e della realtà di Israele per la Chiesa. «Noi» affermava Pio XI opponendosi alle leggi razziali di Hitler «siamo spiritualmente degli ebrei». L’asserzione di questo grande Pontefice testimonia della consapevolezza del “mistero” di Israele, consapevolezza perdutasi nei meandri della modernità, delle sue utopie, delle sue aberrazioni.
NOTE
1 M. Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne, introduzione di A. Prosperi, tr. it. Torino 2000.
2 Op. cit., p. 200.
3 Op. cit., p. 203.
4 Op. cit., p. 187.
5 Op. cit., p. 221.
6 Op. cit., pp. 188-189.
7 Op. cit., p. 190.
8 Ivi.
9 Op. cit., p. 191.
10 Ivi.
11 Op. cit., p. 192.
12 Op. cit., p. 195.
13 Op. cit., p. 214.
14 Op. cit., p. 198.
15 Op. cit., p. 196.
16 Op. cit., p. 215.
17 Op. cit., p. 222.
18 Ivi.
19 D. Garrone, introduzione a: L. Kaennel, Luther était-il antisémite?, Genève 1997; tr. it.: Lutero era antisemita?, Torino 1999, p. 14.
20 L. Kaennel, Lutero era antisemita?, cit., p. 69.
21 Cit. in: L. Kaennel, cit., p. 21.
22 W. L. Shirer, The Rise and Fall of the Third Reich: a History of Nazi Germany, New York 1960, p. 236. Nella traduzione tedesca (Köln 1961) il passo su Lutero è omesso.
23 D. Garrone, introduzione a: L. Kaennel, cit., p. 15.
24 A. Prosperi, introduzione a: M. Lutero, cit., p. XXXVII.
25 Ivi.
26 Op. cit., p. XIX.
27 L. Poliakov, introduzione a: AA. VV., Histoire de l’antisémitisme 1945-1993, Paris 1994; tr. it.: Storia dell’antisemitismo 1945-1993, Firenze 1996, p. 7.
28 Op. cit., pp. 7-8.
29 L. Kaennel, cit., p. 29.
30 A. Prosperi, introduzione a: M. Lutero, cit., p. XXII.
31 A. Funkenstein, Basic Types of Christian Ant-Jewish Polemics in the Later Middle Ages, in Viator, 2 (1971), pp. 373-382.
32 Cfr. H. Oberman, Wurzeln des Antisemitismus. Christenangst und Judenplage im Zeitalter von Humanismus und Reformation, Berlin 1981; A. Agnoletto, La tragedia dell’Europa cristiana nel XVI secolo. Dalla giudeofobia di Lutero agli umanisti Jonas e Melantone, Milano 1996.
33 Cfr. M. Borghesi, L’“età dello Spirito” e la metamorfosi della città di Dio, in Il Nuovo Areopago, 4 (1994), pp. 3-27.
34 A. Prosperi, introduzione a: M. Lutero, cit., p. XXXVIII.
35 A. Prosperi, cit., p. XXXII. Sull’argomento cfr. G. Kisch, Erasmus’ Stellung zu Juden und Judentum, Tübingen 1969.
36 Cfr. AA. VV., Judentum im Zeitalter der Aufklärung, Bremen-Wolfenbüttel 1977.
37 Voltaire, Juifs, introduzione di E. Loewenthal, Milano 1997.
38 E. Loewenthal, L’illuminismo rovesciato, introduzione a: Voltaire, cit., p. XXIII.
39 Cfr. M. Borghesi, L’età dello Spirito in Hegel. Dal Vangelo “storico” al Vangelo “eterno”, Roma 1995, pp. 169 sgg.
40 A. von Harnack, Marcion. Das Evangelium vom fremden Gott. Eine Monographie zur Geschichte der Grundlegung der katholischen Kirche, Leipzig 1921.
41 Th. Harnack, Luthers Theologie mit besonderer Beziehung auf seine Versöhnungs- und Erlösungslehre, Erlangen 1862.
42 J. Taubes, Die politische Theologie des Paulus, München 1993; tr. it.: La teologia politica di san Paolo, Milano 1997, p. 116.
43 H. Schlier, Die Zeit der Kirche, Freiburg-Basel-Wien 31962; tr. it.: Il tempo della Chiesa, Bologna 1965, p. 389.
44 Op. cit., p. 390.
45 Ivi.
46 Fr. Rosenzweig, Gesammelte Schriften, I, The Hague 1979; tr. it. (parziale): F. Rosenzweig - E. Rosenstock, La radice che porta. Lettere su ebraismo e cristianesimo, Genova 1992, p. 111.
47 A. Besançon, La falsification du Bien. Soloviev et Orwell, Paris 1985; tr. it.: La falsificazione del bene. Solov’ëv e Orwell, Bologna 1987, p. 64.
48 Ivi.
49 H. U. von Balthasar, Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, vol. II/2, Laikale Stile, Einsiedeln 1969; tr. it.: Gloria. Una estetica teologica, vol. III. Stili laicali, Milano 1976, p. 393.
50 L. Giussani, Noi siamo degli ebrei, in la Repubblica, 2 gennaio 1999.
51 Ivi.
Nel 1543, tre anni prima della sua morte, Lutero pubblica un saggio, Von den Juden und ihren Lügen, che esce ora in traduzione italiana, con il titolo Degli ebrei e delle loro menzogne1. Il libello, dal cui contenuto le comunità protestanti attuali hanno preso risolutamente le distanze, è di una violenza senza pari. «Esseri tanto disperati, cattivi, velenosi e diabolici fino al midollo sono questi ebrei, i quali in questi millequattrocento anni sono stati la nostra piaga, pestilenza, e ogni sventura, e continuano ad esserlo»2. Essi sono «velenose, aspre, vendicative, perfide serpi, assassini e figli del demonio, che pungono e nuocciono in segreto, non potendolo fare apertamente»3.
Di fronte a loro l’unica terapia possibile è un’«aspra misericordia» (scharfe Barmherzigkeit)4, una durezza impietosa che si traduce, verso la fine del libello, in «senza alcuna misericordia»5. Le misure drastiche che il riformatore richiede alle autorità civili e religiose per ripulire la Germania dalla “piaga” giudaica prevedono una serie di punti. «In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto»6. In secondo luogo «bisogna allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari»7. In terzo luogo «bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie»8. In quarto luogo «bisogna proibire ai loro rabbini – pena la morte – di continuare a insegnare»9. In quinto luogo «bisogna abolire completamente per gli ebrei il salvacondotto per le strade, perché essi non hanno niente da fare in campagna, visto che non sono né signori, né funzionari, né mercanti, o simili. Essi devono rimanere a casa»10. In sesto luogo «bisogna proibire loro l’usura, confiscare tutto ciò che possiedono in contante e in gioielli d’argento e d’oro, e tenerlo da parte in custodia»11. In settimo luogo «a ebrei ed ebree giovani e forti, si diano in mano trebbia, ascia, zappa, vanga, conocchia, fuso, in modo che si guadagnino il loro pane col sudore della fronte»12. A queste misure Lutero aggiunge il divieto di pronunciare il nome di Dio in presenza di cristiani. «Le boccaccie degli ebrei non devono, da noi cristiani, essere considerate degne di nominare il nome di Dio in nostra presenza: chiunque lo senta da un ebreo, lo segnali all’autorità, oppure gli getti addosso sterco di porco, se lo vede, e lo cacci via. E su questo punto nessuno sia misericordioso e benevolo»13. Lutero insiste a più riprese sul fatto che non si deve usare misericordia verso gli ebrei. Questi esseri «velenosi e diabolici» devono essere evitati: «Fate sì che non abbiano alcuna protezione né difesa, alcun salvacondotto, né vita in comune con noi»14. Lo scopo, com’è evidente, è di render loro la vita impossibile onde persuaderli ad andarsene. Per Lutero il rimedio effettivo è quello praticato dalla «saggezza comune di altre nazioni, come la Francia, la Spagna, la Boemia»15, cioè la loro definitiva cacciata dal Paese. «Io penso questo: se noi vogliamo rimanere immuni dall’empietà degli ebrei e non esserne partecipi, allora dobbiamo separarci e loro devono essere cacciati dalla nostra terra, che si ricordino della loro patria»16. Essi devono essere cacciati come «cani rabbiosi»17. «Io» scrive Lutero «ho fatto il mio dovere: qualcun altro, ora, veda di fare il suo! Io non ho colpa»18. Un’autoassoluzione, questa, che ha un suono cupo. Lutero, come padre spirituale della Germania moderna, ha una responsabilità gravissima nel processo di odio sviluppato verso la componente ebraica. Le pagine «sinistre»19 del suo pamphlet, le sue parole «indifendibili»20, giustificano la chiamata di correo che ne fu fatta al processo di Norimberga dal nazista Julius Streicher per il quale il dottor Martin Lutero «oggi, sarebbe sicuramente al mio posto sul banco degli accusati»21] Accusa questa che trova conferma in William Shirer, uno dei più insigni storici del nazismo22, così come, indirettamente, nel fatto che «oggi gli scritti polemici di Lutero contro gli ebrei non sono presenti in nessuna delle edizioni in tedesco contemporaneo»23 . In verità – posto che vi fosse bisogno di altri elementi per giudicare male Lutero – queste pagine sono vergognose.
2. Oltre Agostino e la pax christiana del primo millennio
La posizione di Lutero, che trova solo parzialmente comprensione nei pregiudizi antiebraici del tempo, è tanto più significativa quanto più si discosta da un iniziale scritto dell’autore, Dass Jesus Christus ein geborener Jude sei (Gesù Cristo è nato ebreo), del 1523, il quale, già nel titolo, indica un atteggiamento affatto ostile verso gli ebrei. Qui la diffidenza ebraica verso il cristianesimo è spiegata a partire dai limiti della cristianità che, chiusa e ostile verso il popolo ebraico, non ha manifestato il volto compassionevole di Gesù. In precedenza, nel febbraio del 1514, nel contesto della controversia sulla distruzione dei libri ebraici che tormentò il mondo tedesco del primo Cinquecento, egli si era dichiarato contrario al divieto del Talmud. La “tolleranza” del giovane Lutero dipendeva dalla sua fedeltà alla Scrittura. Come si deduce da una sua lettera a Georg Spalatin del febbraio 1514, i teologi di Colonia non potevano impedire agli ebrei di offendere Cristo e i suoi, attraverso la distruzione dei libri, poiché ciò era predetto dai profeti ed era contenuto nella Scrittura. La presenza della sinagoga, anche dopo la Chiesa, appare come un mistero che deve essere presente ai cristiani senza che essi pretendano di risolverlo in chiave politica. Le motivazioni luterane, come fa notare Adriano Prosperi, hanno un chiaro orientamento agostiniano. Prosperi, nella introduzione alla traduzione italiana di Degli ebrei e delle loro menzogne, mostra come il tardo Lutero, rompendo con la sua posizione iniziale, operi un «distacco dall’esegesi agostiniana»24, esegesi che aveva permesso la coabitazione tra ebrei e cristiani nel primo millennio. «Agostino» osserva Prosperi «aveva giustificato la permanenza storica della religione ebraica come provvidenziale funzione di testimonianza della verità nei confronti dei negatori – pagani, eretici – della continuità della tradizione biblica veterotestamentaria nella Chiesa cristiana. Ma aveva posto due condizioni a quella permanenza: l’una, che gli ebrei non dovessero essere maltrattati o uccisi per la loro colpa originaria; l’altra, che gli ebrei si sarebbero convertiti per ultimi alla fine dei tempi. Collegando il passo del Salmo 58, 15 con quello di Genesi 4, 15, aveva accostato la sopravvivenza degli ebrei come popolo unito da una religione a quella di Caino dopo l’uccisione di Abele. Il “segno” posto da Dio su Caino perché nessuno lo uccidesse era stato posto anche sugli ebrei: quel segno, secondo Agostino, era la loro religione. Accanto a questa funzione protettiva del “segno” posto sugli ebrei, Agostino aveva ripreso l’interpretazione paolina del Salmo 58, 15: convertentur ad vesperam: gli ebrei erano destinati a convertirsi per ultimi, alla fine dei tempi, in fine mundi»25. In tal modo «dall’attesa apocalittica della conversione finale e dal significato provvidenziale attribuito alla presenza ebraica era derivata per gli ebrei la garanzia di un libero esercizio della loro religione»26.
Il giudizio di Prosperi coincide qui con quello di Léon Poliakov per il quale, secondo «il più illustre padre della Chiesa, Agostino», gli ebrei dovevano «rimanere protetti nelle loro vite e nel loro culto, in quanto “popolo testimone della crocifissione”, per testimoniare così la verità del cristianesimo e l’errore dell’ebraismo. Così, in seguito, nel corso dei secoli, la Chiesa romana cercò di proteggere gli ebrei i quali, dal canto loro, considerarono i sovrani pontefici come l’ultima spiaggia. Ma generalmente, la condizione degli ebrei nel Medioevo non fu certo uniformemente tragica: certo, fu oscurata da sporadici massacri, da accuse di omicidio rituale ed altre ancora, ma per lo più essi vissero in accordo coi cristiani ed esercitarono (tranne l’agricoltura) i loro stessi mestieri»27. Questa tolleranza caratterizzò, secondo Poliakov, l’Occidente latino. «Viceversa, la Chiesa greca ortodossa, che si era debitamente astenuta dal canonizzare sant’Agostino, aveva rifiutato la sua dottrina. Per questo fatto, i primi zar rifiutarono di ammettere gli ebrei nelle loro terre e quando, nel XVIII secolo, la Russia imperiale si annetté ad ovest alcuni territori già popolati da ebrei, questi furono sottomessi a severe leggi eccezionali»28.
L’autorità di Agostino costituisce così, tanto per Prosperi quanto per Poliakov, un essenziale punto di riferimento per comprendere il destino e le vicende degli ebrei in seno alla cristianità. Finché essa è unanimemente riconosciuta, come accade nel primo millennio, intatta permane la consapevolezza del mistero significato dal popolo ebraico, consapevolezza che limita le tentazioni di emarginazione e distoglie da velleità di conversioni forzate. Come scrive Lucie Kaennel: «Fino all’XI secolo l’integrazione degli ebrei con la popolazione cristiana occidentale e con il mondo arabo spagnolo non presenta grandi difficoltà. Le comunità ebraiche godono della protezione dei sovrani. Mercanti ebrei assicurano le indispensabili relazioni fra la cristianità d’Occidente e il mondo islamico; tra le varie comunità religiose regna una relativa tolleranza»29. Tra il 1000 e il 1200 l’ebraismo diventa l’ideale punto d’incontro tra la cristianità latina e le grandi correnti del pensiero antico ed arabo-islamico, dando un apporto decisivo alla cultura medievale. È il tempo di Judah Halevi (1075-1141) e di Mosheh ben Maimôn, detto Maimonide (1135/38-1204), il più grande pensatore ebreo del Medioevo. La situazione cambia nel corso dei secoli XIII e XIV. Nello spirito nuovo, contrassegnato dalle crociate contro l’islam e gli Albigesi, matura anche un atteggiamento diverso. Nel 1290 gli ebrei vengono cacciati dall’Inghilterra, nel 1308 dalla Francia; è l’inizio di un processo che culmina, nel 1492, con la loro espulsione dalla Spagna. Non è facile spiegare i perché di questa «svolta netta rispetto al percorso segnato da Agostino»30. Amos Funkenstein chiama in causa l’indirizzo razionalistico della nuova filosofia e la maggior conoscenza del Talmud che faceva apparire gli ebrei moderni come “eretici” rispetto al deposito veterotestamentario31. Con ciò i vincoli posti da Agostino a tutela della componente ebraica venivano a cadere.
La cristianità, che riserra le sue file attorno alla “rivoluzione pontificia” del XII-XIII secolo, appare meno nelle vesti della Chiesa pellegrina, la civitas Dei agostiniana, che del regno compiuto. L’ansia di purificazione che la percorre si traduce, all’esterno, in una lotta serrata con l’impero, gli eretici, i non cristiani. Al fondo v’è il presagio che il tempo del mondo volge alla fine. «La Chiesa rinnovata» così Gioacchino da Fiore «sta entrando nell’età dello Spirito», l’epoca finale della storia. Anche Lutero condivide questa visione “apocalittica”; anche per lui è scoccata l’ora decisiva nella lotta pro o contro l’Evangelo. A partire da qui si precisa la sua concezione dell’avversario, ebreo, papista, turco, pagano, eretico32. Se ciò è vero, l’antiebraismo moderno, e ciò non è stato notato a sufficienza, troverebbe una chiave esplicativa nella tensione apocalittica che, a partire dal Medioevo, percorre gli animi. In ciò la rottura con la tradizione agostiniana – Gioacchino da Fiore contro Agostino33 – per la quale la civitas Dei e la civitas hominis restano perplexae sino alla fine, e il conseguente ultimatum, dato agli ebrei, di convertirsi o di andarsene dal mondo “cristiano”.
3. Ecclesia spiritualis. Marcionismo ed antiebraismo
Il pregiudizio antiebraico che contrassegna la modernità segue due strade. Una è data dal ritorno all’antico contro il moderno contrassegnato dalla tradizione ebraico-cristiana. È la via del neoclassicismo tedesco che, culminante in Nietzsche, assume la forma di un ritorno al paganesimo ellenico nei suoi valori e nelle sue divinità. Questa corrente, che troverà una sua espressione radicale nella mitologia nazionalsocialista, è palese nel pensiero di Walter Otto e di Martin Heidegger.
L’altra strada, che percorre il sentimento antiebraico, è quella che matura a partire da un “cristianesimo spirituale” fondato sull’antitesi tra Nuovo e Antico Testamento, tra l’amore e la legge. Un’antitesi che richiama la posizione di Marcione che Agostino aveva idealmente avversato opponendosi al manicheismo. Nel corso del moderno la posizione marcionita è un portato della Riforma nella misura in cui la nuova Ecclesia spiritualis vede negli ebrei i rappresentanti della legge intesa come utogiustificazione. «In essi, Lutero vede la Chiesa carnale, specchio negativo per la Chiesa spirituale che ha in mente. Il pericolo che essi rappresentano va molto al di là dell’ambito ebraico. Gloriarsi della propria giustizia, praticare una religione fatta di cerimonie e di riti esteriori, è quel che fanno molti cristiani»34. L’ebreo diviene, in tal modo, il criterio di paragone, in negativo, per stabilire la vera religione. L’ebreo, al pari del cattolico, persegue l’autogiustificazione tramite le opere della legge di contro alla dottrina evangelica che richiede la giustificazione attraverso la grazia di Dio. Con ciò il legalismo romano, “papista”, viene accostato a quello ebraico. Il cattolicesimo è un “cristianesimo ebraico”, mondano, che ha dimenticato la giustificazione mediante la grazia. Di contro a questo cristianesimo “carnale” sta quello “spirituale” ripristinato dalla Riforma. Si può osservare come questa contrapposizione non sia solo dei riformatori. Essa è presente anche negli umanisti. Per Erasmo da Rotterdam, che dimostra nei suoi scritti «una ostilità antiebraica profondamente radicata»35 al punto da rallegrarsi dell’espulsione degli ebrei dalla Francia, l’antitesi tra ebraismo e cristianesimo è antitesi tra la carne e lo spirito, tra una ritualità esteriore e una fede interiore.
È la stessa contrapposizione che, in forme mutate, ritroviamo nell’illuminismo per il quale al deismo come vera religione (interiore, razionale, universale) si oppone la fede ebraica (esteriore, legalistica, particolare) fondata sulla scandalosa pretesa dell’elezione divina e sulla “schiavitù” della legge. Da questo punto di vista non deve sorprendere, anche se la cosa può risultare non facile da accettare, l’ostilità che una parte cospicua dell’illuminismo nutre verso l’ebraismo36. Dal padre della tolleranza, Voltaire37, a Gibbon, Reimarus, Kant, il risentimento antiebraico è una costante. Come scrive Elena Loewenthal «antisemiti lo sono stati tutti: laici e religiosi, riformatori e conservatori, reazionari e rivoluzionari. Illuministi, atei. L’antisemitismo deve molto a questi “apporti trasversali”, lo sterminio nazista trovò non scarsa legittimazione e supporto anche nel fatto che i Voltaire, i Lutero, i Kant e via di seguito non avessero mostrato particolare simpatia per il popolo eletto e disperso»38.
Ciò che preme qui osservare è come questa “trasversalità” non sia casuale ma l’esito consequenziale di una “religione pura” che vede nell’ebreo l’anti-tipo, il modello di una fede esteriore, politica, particolaristica, carnale. Si tratta di un antisemitismo gnostico che rilegge alla luce di Marcione la dialettica luterana tra Legge ed Evangelo, Antico e Nuovo Patto. È quanto emerge dagli scritti giovanili di Hegel, colmi di furore antigiudaico39, così come in una parte consistente della cosiddetta teologia liberale tesa a liberare il cristianesimo da ogni possibile dipendenza veterotestamentaria. Jacob Taubes in Die Politische Theologie des Paulus ha colto molto bene questa direttrice di pensiero nell’opera di Adolf von Harnack la cui riflessione, non a caso, si è misurata a lungo con la figura di Marcione40. Era il padre di Harnack, Theodosius, che in un suo studio su Lutero aveva riletto la coppia Legge-Vangelo in termini decisamente marcioniti41ï Ripresa dal figlio, questa impostazione conduceva al rifiuto dell’elemento veterotestamentario. Questo rifiuto era, secondo Taubes, «il segreto del protestantesimo tedesco liberale, che nel 1933 non fu poi in grado di superare la prova»42.
4. La Chiesa e Israele
L’ideale apocalittico di una Chiesa di puri giunti all’epoca finale della storia, ideale che in forme ereticali ed utopiche solca la modernità, non può tollerare ciò che Heinrich Schlier, in una splendida conferenza del 1939, chiama il mistero di Israele, mistero fondato sul fatto che anche dopo la Chiesa «Dio non ritira la sua promessa a questo popolo»43. Ciò significa che «Israele non perirà giammai né per l’impazienza dei popoli né per la propria. Esso riposa sulla pazienza di Dio»44. Pazienza che porterà alfine alla salvezza dell’«intero Israele»45.
Schlier, commentando Paolo, reincontra idealmente la posizione di Agostino. Ciò non è senza significato. La riattualizzazione di tale posizione, alla luce dell’intolleranza moderna e della tragedia della Shoah, assume, infatti, un valore del tutto particolare per la Chiesa e per le confessioni cristiane.
L’esistenza ebraica è, innanzitutto, un’ammonizione per la Chiesa. Essa le ricorda che è pellegrina, civitas Dei in senso agostiniano; non è ancora la pienezza del Regno. Come scrive Franz Rosenzweig a Eugen Rosenstock: «Noi siamo il monumento che eternamente vi ammonisce del vostro non-ancora»46.
La Chiesa, in secondo luogo, ha bisogno di Israele, come popolo autentico che vive l’alleanza con Dio nella storia, per non cedere alla tentazione (gnostica) della Ecclesia spiritualis. È questa, secondo Alain Besançon, la lezione che ne trae Vladimir Solov’ëv, nel suo Gli ebrei e la questione cristiana, scritto dopo le leggi antisemite promulgate in Russia nel 1882. «La riflessione su Israele fa intravvedere a Solov’ëv che la religione non è un messaggio, ma una storia; e non è nemmeno “evoluzione”, o schema storiosofico, ma si legge in fatti non ripetibili, quali sono stati vissuti da un popolo scelto in una regione particolare, in un tempo dato, con le sue idiosincrasie irriducibili»47. Con ciò Solov’ëv «si sbarazza dell’eresia marcionita»48 presente nel sublime tolstojano così come nel patetismo dei Fratelli Karamazov o dell’Idiota. Analogamente a Solov’ëv anche Charles Péguy, secondo von Balthasar, ha colto in Israele il modello del point d’intersection tra il tempo e l’eterno. «Il fatto che Gesù era ebreo, solidale con il popolo, con il destino degli ebrei, rimane per Péguy il punto di partenza per il giusto equilibrio fra spirituel e charnel (temporel)»49.
La Chiesa, da ultimo, come Chiesa pellegrina e al contempo radicata nella storia, non può non rispecchiarsi nel peculiare destino di Israele, popolo umiliato e offeso cui non è stato risparmiato nulla del dolore del mondo. Tutto ciò, dopo l’esperienza indicibile della Shoah assume un significato del tutto particolare. Come ha scritto Luigi Giussani «L’Olocausto è diventato una pedagogia per tutti i cristiani; come un marchio doloroso e ingiusto la Shoah è proposta dalla più fervida cultura ebraica come argomento cardine anche per l’umanità, quale debba essere»50. Per la Chiesa ciò significa consapevolezza, drammatica, che «la fatica della fedeltà nell’attesa di Dio si realizza anche come croce nella vita dei credenti»51.
La coscienza di questi tre fattori, per cui la Chiesa è itinerante nel mondo, radicata nella storia, segnata dal legno della croce, chiariscono l’importanza della figura e della realtà di Israele per la Chiesa. «Noi» affermava Pio XI opponendosi alle leggi razziali di Hitler «siamo spiritualmente degli ebrei». L’asserzione di questo grande Pontefice testimonia della consapevolezza del “mistero” di Israele, consapevolezza perdutasi nei meandri della modernità, delle sue utopie, delle sue aberrazioni.
NOTE
1 M. Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne, introduzione di A. Prosperi, tr. it. Torino 2000.
2 Op. cit., p. 200.
3 Op. cit., p. 203.
4 Op. cit., p. 187.
5 Op. cit., p. 221.
6 Op. cit., pp. 188-189.
7 Op. cit., p. 190.
8 Ivi.
9 Op. cit., p. 191.
10 Ivi.
11 Op. cit., p. 192.
12 Op. cit., p. 195.
13 Op. cit., p. 214.
14 Op. cit., p. 198.
15 Op. cit., p. 196.
16 Op. cit., p. 215.
17 Op. cit., p. 222.
18 Ivi.
19 D. Garrone, introduzione a: L. Kaennel, Luther était-il antisémite?, Genève 1997; tr. it.: Lutero era antisemita?, Torino 1999, p. 14.
20 L. Kaennel, Lutero era antisemita?, cit., p. 69.
21 Cit. in: L. Kaennel, cit., p. 21.
22 W. L. Shirer, The Rise and Fall of the Third Reich: a History of Nazi Germany, New York 1960, p. 236. Nella traduzione tedesca (Köln 1961) il passo su Lutero è omesso.
23 D. Garrone, introduzione a: L. Kaennel, cit., p. 15.
24 A. Prosperi, introduzione a: M. Lutero, cit., p. XXXVII.
25 Ivi.
26 Op. cit., p. XIX.
27 L. Poliakov, introduzione a: AA. VV., Histoire de l’antisémitisme 1945-1993, Paris 1994; tr. it.: Storia dell’antisemitismo 1945-1993, Firenze 1996, p. 7.
28 Op. cit., pp. 7-8.
29 L. Kaennel, cit., p. 29.
30 A. Prosperi, introduzione a: M. Lutero, cit., p. XXII.
31 A. Funkenstein, Basic Types of Christian Ant-Jewish Polemics in the Later Middle Ages, in Viator, 2 (1971), pp. 373-382.
32 Cfr. H. Oberman, Wurzeln des Antisemitismus. Christenangst und Judenplage im Zeitalter von Humanismus und Reformation, Berlin 1981; A. Agnoletto, La tragedia dell’Europa cristiana nel XVI secolo. Dalla giudeofobia di Lutero agli umanisti Jonas e Melantone, Milano 1996.
33 Cfr. M. Borghesi, L’“età dello Spirito” e la metamorfosi della città di Dio, in Il Nuovo Areopago, 4 (1994), pp. 3-27.
34 A. Prosperi, introduzione a: M. Lutero, cit., p. XXXVIII.
35 A. Prosperi, cit., p. XXXII. Sull’argomento cfr. G. Kisch, Erasmus’ Stellung zu Juden und Judentum, Tübingen 1969.
36 Cfr. AA. VV., Judentum im Zeitalter der Aufklärung, Bremen-Wolfenbüttel 1977.
37 Voltaire, Juifs, introduzione di E. Loewenthal, Milano 1997.
38 E. Loewenthal, L’illuminismo rovesciato, introduzione a: Voltaire, cit., p. XXIII.
39 Cfr. M. Borghesi, L’età dello Spirito in Hegel. Dal Vangelo “storico” al Vangelo “eterno”, Roma 1995, pp. 169 sgg.
40 A. von Harnack, Marcion. Das Evangelium vom fremden Gott. Eine Monographie zur Geschichte der Grundlegung der katholischen Kirche, Leipzig 1921.
41 Th. Harnack, Luthers Theologie mit besonderer Beziehung auf seine Versöhnungs- und Erlösungslehre, Erlangen 1862.
42 J. Taubes, Die politische Theologie des Paulus, München 1993; tr. it.: La teologia politica di san Paolo, Milano 1997, p. 116.
43 H. Schlier, Die Zeit der Kirche, Freiburg-Basel-Wien 31962; tr. it.: Il tempo della Chiesa, Bologna 1965, p. 389.
44 Op. cit., p. 390.
45 Ivi.
46 Fr. Rosenzweig, Gesammelte Schriften, I, The Hague 1979; tr. it. (parziale): F. Rosenzweig - E. Rosenstock, La radice che porta. Lettere su ebraismo e cristianesimo, Genova 1992, p. 111.
47 A. Besançon, La falsification du Bien. Soloviev et Orwell, Paris 1985; tr. it.: La falsificazione del bene. Solov’ëv e Orwell, Bologna 1987, p. 64.
48 Ivi.
49 H. U. von Balthasar, Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, vol. II/2, Laikale Stile, Einsiedeln 1969; tr. it.: Gloria. Una estetica teologica, vol. III. Stili laicali, Milano 1976, p. 393.
50 L. Giussani, Noi siamo degli ebrei, in la Repubblica, 2 gennaio 1999.
51 Ivi.