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ARCHEOLOGIA CRISTIANA
tratto dal n. 02 - 2004

San Luca testimone della fede che unisce


Presentato a Padova il volume con i risultati scientifici della ricognizione delle reliquie di san Luca


di Lorenzo Bianchi


San Luca evangelista e il suo simbolo, miniatura tratta dai Vangeli detti di sant’Agostino, fine VI secolo, Corpus Christi College Library, Cambridge

San Luca evangelista e il suo simbolo, miniatura tratta dai Vangeli detti di sant’Agostino, fine VI secolo, Corpus Christi College Library, Cambridge

D
opo oltre cinque anni dall’apertura, avvenuta il 17 settembre 1998, dell’arca marmorea collocata nel lato sinistro del transetto della Basilica di Santa Giustina a Padova e contenente la cassa di piombo con uno scheletro privo del capo che la tradizione attribuisce a san Luca Evangelista, e a più di tre anni dalla presentazione dei primi risultati delle indagini nel congresso internazionale tenutosi a Padova dal 16 al 21 ottobre 2000, sono finalmente pubblicati nel dettaglio i dati raccolti dai singoli studiosi che hanno a vario titolo collaborato alle ricerche e le conclusioni proposte dalla Commissione scientifica, nominata a suo tempo dal vescovo di Padova Antonio Mattiazzo per la ricognizione delle reliquie avviata su esplicita richiesta del vescovo ortodosso di Tebe in Beozia per ottenerne, in gesto ecumenico, un frammento e collocarlo in quello che, a Tebe, la tradizione conosce come il primo sepolcro di san Luca.
La raccolta delle indagini scientifiche è apparsa infatti lo scorso mese di settembre, ed è stata presentata ufficialmente il 21 gennaio 2004 presso il Collegio Sacro a Padova. Il volume termina con la seguente dichiarazione, firmata dal presidente della commissione scientifica professor Vito Terribile Wiel Marin, anatomopatologo, e dai componenti professori monsignor Claudio Bellinati, Gianmario Molin e Mariantonia Capitanio: "In conclusione, non esiste un solo elemento contrario al fatto che si tratti dello scheletro di san Luca Evangelista".
Si ribadisce così sostanzialmente quanto già veniva emergendo in via provvisoria nel corso della prima giornata del congresso (cfr. anche quanto pubblicato su queste stesse pagine: 30Giorni, n. 10, ottobre 2000, pp. 78-89): ma, rispetto ad allora, quelle che erano prime anticipazioni sono ora dati analitici finalmente illustrati nella loro completezza, con esplicitazione e descrizione dei procedimenti metodologici che li hanno prodotti e la cui validità scientifica è dunque ora verificabile da chiunque. In più, rispetto a quel momento, nuove indagini sono state compiute. In particolare, a seguito del dibattito scientifico sviluppatosi al termine delle relazioni presentate il 16 ottobre 2000, chi scrive è stato cooptato, insieme a Margherita Cecchelli, titolare della cattedra di Archeologia cristiana presso l’Università di Roma "La Sapienza", nella Commissione scientifica con l’incarico dello studio archeologico della cassa di piombo contenente le reliquie, e in particolare del simbolo che vi appare a rilievo su uno dei due lati corti.
Occorre però, per comprendere e valutare appieno i risultati delle analisi scientifiche, richiamare rapidamente i termini della questione.
Lo scheletro privo del capo era contenuto in una cassa parallelepipeda di piombo delle dimensioni di circa cm 180 x 48, alta circa cm 40, con un coperchio a spiovente con timpani triangolari. La cassa, forata sul fondo in tre diversi punti, conteneva anche altri resti ossei rivelatisi pertinenti ad animali. Nessun segno distintivo era presente, se non il simbolo a rilievo sull’esterno di uno dei lati corti, una specie di stella ad otto bracci. Insieme alla cassa erano vari oggetti, tra i quali due tavolette attestanti la pertinenza delle ossa a Luca Evangelista.
Di Luca, "antiocheno di Siria, medico per professione, discepolo degli apostoli", scrittore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli, sappiamo che visse nel I secolo, ma sembra non aver mai visto né seguito Gesù sulla terra. Fu discepolo di Paolo, lo accompagnò a Roma dove dovette incontrare Pietro e Marco. Dopo il martirio di Paolo, le notizie su Luca si fanno incerte. La tradizione più antica relativa alla morte e sepoltura di san Luca sembra doversi leggere nelle parole di un anonimo copista della fine del II secolo (un testo che però fu rivisto, e non sappiamo se integrato nella parte che ci interessa, nel IV secolo) che, in testa a un codice che conteneva i libri del Nuovo Testamento, inserì uno scritto contro l’eretico Marcione. Questo testo, il cosiddetto Prologo antimarcionita, parla del martirio di Luca in Beozia, e, secondo una variante, specificatamente a Tebe, capitale di quella regione greca, città dove sarebbe morto all’età di ottantaquattro anni e dove è conservato un sarcofago pagano riutilizzato, all’incirca della fine del II secolo, di imitazione attica, in pietra locale, che la tradizione orientale considera il luogo della prima sepoltura dell’Evangelista.
Un’altra tradizione, che potrebbe anch’essa essere veritiera, testimoniata da san Girolamo, parla invece della morte di Luca in Bitinia, sempre a ottantaquattro anni. Sicuramente da scartare sono invece altre testimonianze, sempre del IV secolo, risalenti sia a Gregorio di Nazianzo che a Gaudenzio vescovo di Brescia, che parlano, equivocando, del martirio di Luca a Patrasso, in Grecia.
La data della morte di Luca, come si deduce dalle fonti, deve dunque collocarsi ai primi anni del II secolo. Ancora da Girolamo sappiamo che nella seconda metà del IV secolo, e precisamente nell’anno 357, l’imperatore Costanzo portò i corpi di san Luca e sant’Andrea a Costantinopoli, nuova capitale dell’Impero (De viris illustribus III, 7, 6). Questa notizia è ripetuta dal Chronicon Paschale della prima metà del VII secolo, che testimonia anche, nell’anno precedente e cioè nel 356, la traslazione di Timoteo da Efeso a Costantinopoli. I corpi dei tre santi furono collocati nell’Apostoleion, la Basilica degli Apostoli; e quando, verso il 527, Giustiniano riedificò la Basilica, si ritrovarono, come testimonia Procopio di Cesarea (De aedificiis I, 4, 18-23), le loro bare: o meglio, furono viste, ma — particolare importante — non aperte (la fonte non lo specifica), le casse di legno che si era certi contenessero i corpi di Andrea, Luca e Timoteo.
La Basilica di Santa Giustina  a Padova, nel complesso del monastero benedettino. All’interno di essa, in un’arca marmorea, sono conservate  dal 1313 le spoglie attribuite a san Luca

La Basilica di Santa Giustina a Padova, nel complesso del monastero benedettino. All’interno di essa, in un’arca marmorea, sono conservate dal 1313 le spoglie attribuite a san Luca

Fin qui la tradizione di epoca antica o tardoantica. Ad essa si aggiungono notizie che risalgono al medioevo. Una di queste testimonierebbe la traslazione del corpo di san Luca da Costantinopoli a Padova all’epoca dell’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363), per sottrarlo al pericolo di distruzione. Un’altra tradizione invece parla del trasferimento del corpo di san Luca da Costantinopoli a Padova ad opera del sacerdote Urio, custode dell’Apostoleion, per salvare le reliquie che lì si custodivano dalla furia degli iconoclasti (dunque in un periodo ipotizzabile tra il 740 e il 771): egli avrebbe portato con sé a Padova, dove esisteva una comunità greca, sia i resti di san Luca che quelli di san Mattia, anch’essi ritrovati nell’area della Basilica di Santa Giustina e lì ora conservati, insieme all’immagine lignea detta "Madonna costantinopolitana", tuttora presente, anch’essa, in basilica.
Ultima nota storica da aggiungere: sappiamo con certezza che alla fine del VI secolo ad opera di Gregorio Magno, all’epoca apocrisario del papa Pelagio II, giunge a Roma, prelevata dall’Apostoleion, la testa allora ritenuta di san Luca, e ora conservata in Vaticano. Quella testa non ha nulla a che vedere con lo scheletro di Padova, il cui capo è conservato nella cattedrale di San Vito a Praga, prelevato da Padova il 9 novembre 1354 per essere donato all’imperatore Carlo IV, che l’aveva richiesto per valorizzare come apostolica la nuova cattedrale della sua città d’origine. Come meglio specificato oltre, le indagini scientifiche hanno dimostrato che la testa prelevata da Gregorio Magno non può, con certezza, essere appartenuta a Luca, e questo mette fortemente in dubbio anche la presenza delle reliquie di Luca a Costantinopoli all’epoca della notizia di Procopio di Cesarea.
Il corpo attribuito a san Luca fu rinvenuto all’interno di una cassa di piombo nel cimitero di Santa Giustina a Padova il 14 aprile del 1177, come attesta un documento che riporta quella data. Nel racconto che descrive il momento del ritrovamento si legge che il riconoscimento del corpo come quello dell’Evangelista avvenne sulla base di tre vituli (non rinvenuti nella ricognizione del 1998) e di una doppia croce impressi all’esterno del contenitore, e per la presenza, all’interno di esso, di un’iscrizione che recava il nome del santo. La cassa con il corpo fu poi deposta nell’arca marmorea appositamente scolpita nel 1313 per volontà dell’abate Gualpertino Mussato e sistemata nella cappella chiamata appunto di San Luca. Una ricognizione venne effettuata nel 1463, in seguito a un processo per stabilire se fosse questo il vero corpo di san Luca o un altro custodito a Venezia (che si rivelò essere invece il corpo di un giovane morto duecento anni prima). Un’ulteriore ricognizione avvenne nel 1562, quando, essendo già a buon punto la costruzione dell’attuale Basilica, l’arca fu spostata nel transetto di sinistra, dove ancora oggi si trova. Infine, si arriva direttamente alla ricognizione avviata nel 1998, con la successiva rideposizione nel maggio del 2001.
Particolare della cassa di piombo contenente le reliquie attribuite a san Luca. Si nota il disegno a rilievo della doppia croce a stella

Particolare della cassa di piombo contenente le reliquie attribuite a san Luca. Si nota il disegno a rilievo della doppia croce a stella

Riassunti brevemente questi dati essenziali, veniamo ad illustrare che cosa hanno dimostrato le analisi scientifiche ora pubblicate. Esse sono precedute, nel volume, dalla dettagliata cronistoria delle sessioni di lavoro, tenutesi dal 17 settembre 1998 al 6 giugno 2001. È possibile così farsi un’idea puntuale di tutti gli interventi degli studiosi attorno ai reperti rinvenuti nell’arca marmorea di Santa Giustina. I singoli contributi contenuti nel volume danno quindi le seguenti principali conferme:
- lo scheletro risulta maschile, appartenente ad un uomo anziano, di statura di circa cm 163, normale per l’epoca romana antica, nella quale visse san Luca (Mariantonia Capitanio), sofferente in particolare di artrosi per invecchiamento (Terribile Wiel Marin), con episodi ciclici di deficienza nutrizionale durante la crescita (Raffaele Scapinelli - Luigi Capasso);
- le analisi del radiocarbonio 14C, condotte separatamente in due diversi laboratori (Tucson e Oxford), forniscono per lo scheletro una datazione probabile tra la seconda metà del I secolo d.C e l’inizio del V secolo d.C., con la massima probabilità tra il II e il IV secolo (Gianmario Molin et alii);
- il cranio conservato nella cattedrale di Praga corrisponde senza alcun dubbio allo scheletro di Padova, vista la perfetta articolazione con l’atlante (Emanuel Vlc�ek); il cranio portato a Roma da Gregorio Magno, viceversa, appartiene a un altro corpo ed è stato datato dalle analisi del radiocarbonio 14C al V-VI secolo d.C. (Gianmario Molin). Questo significa con certezza, ripetiamo, che questo cranio non è quello di san Luca; che a Gregorio Magno fu dato un cranio diverso o perché non ci si volle privare del vero cranio di san Luca oppure (cosa che a noi sembra molto più probabile) perché alla fine del VI secolo il corpo di san Luca non era più sepolto nell’Apostoleion di Costantinopoli; e questo perché era stato traslato altrove, o forse addirittura (ma meno probabilmente) perché a Costantinopoli non era mai arrivato il vero san Luca;
Monastero di Santa Giustina, 22 maggio 2001. La cassa di piombo con le reliquie di san Luca viene sigillata dopo tre anni di indagini per essere riposta in Basilica

Monastero di Santa Giustina, 22 maggio 2001. La cassa di piombo con le reliquie di san Luca viene sigillata dopo tre anni di indagini per essere riposta in Basilica

- lo scheletro di Padova è in relazione cronologica di contemporaneità con la cassa di piombo in cui è stato trovato; infatti sia la presenza di pupe di ditteri necrofagi fossilizzati in cerussite (Sergio Zangheri), sia le analisi isotopiche del piombo della cassa e delle incrostazioni presenti sulle ossa del bacino (Molin), sia, ad abundantiam, l’integrità e la completezza dello scheletro anche per quello che riguarda le ossa più piccole (Capitanio) dimostrano che il corpo al quale apparteneva lo scheletro si è decomposto rapidamente proprio nella cassa di piombo, che è stata evidentemente destinata ad accoglierlo fin dal momento della morte;
- lo studio del Dna mitocondriale estratto da due denti permette di escludere che il corpo appartenesse a un individuo di origine greca, mentre l’appartenenza a un individuo di origine siriana, anche se non l’unica ad essere possibile, tuttavia risulta essere la maggiormente probabile (Guido Barbujani et alii);
- il ritrovamento di numerosi scheletri di colubridi (serpenti) tipici dell’area padana, datati dalle analisi del radiocarbonio 14C al periodo tra il 410 e il 545 d.C., all’interno della cassa di piombo, probabilmente entrativi attraverso i tre fori presenti sul fondo e lì morti durante il periodo di letargo a causa di un allagamento (la cassa era posta in una zona soggetta a inondazioni), dà la certezza che verso il V secolo la cassa medesima con le reliquie all’interno già si trovava a Padova (Benedetto Sala). Tre livelli di allagamento, da attribuirsi al periodo di permanenza della cassa a Padova, risultano ancora visibili all’interno della cassa (Eliana Fornaciari — Pier Paolo Vergerio); i fori — riteniamo — sono stati provocati probabilmente da un processo di naturale corrosione del piombo. Queste risultanze permettono di escludere come veritiera la tradizione della traslazione di san Luca a Padova nel periodo iconoclasta (VIII secolo);
- le analisi palinologiche dei reperti rinvenuti all’esterno della cassa di piombo evidenziano una palinoflora rappresentata da piante indigene del Padovano, ovvero da piante esotiche storicamente introdotte nel Padovano; al contrario, le analisi dei reperti rinvenuti all’interno della cassa di piombo evidenziano anche la presenza di specie tipiche dell’area del bacino del Mediterraneo, ma assenti nel Padovano. In particolare, la presenza di foglie e di polline di abete greco, il cui areale è circoscritto alla sola Grecia, dimostra oggettivamente che quello è il luogo di provenienza delle reliquie e molto probabilmente della cassa (Arturo Paganelli). La natura dei reperti dell’abete greco rinvenuti esclude che la loro presenza possa essere dovuta a una contaminazione occasionale e successiva alla deposizione;
- nella cassa di piombo è stata accertata la presenza di alcuni residui di graminacee e di larve di insetti che si nutrono di granaglie (Sergio Zangheri - Paolo Fontana). Questo potrebbe anche fare ipotizzare, tra le varie possibilità, una temporanea collocazione della cassa in un ambiente utilizzato per la conservazione o il trasporto del grano, come ad esempio una nave oneraria;
L’epigrafe rinvenuta nell’arca marmorea di Santa Giustina. La scritta, in latino e in greco, recita: “Ossa di Luca Evangelista”. 
Le caratteristiche formali della scrittura nonché la terminologia usata attestano che si tratta di copia di un originale antico, forse di epoca imperiale e certamente antecedente al VI secolo, redatto in Occidente

L’epigrafe rinvenuta nell’arca marmorea di Santa Giustina. La scritta, in latino e in greco, recita: “Ossa di Luca Evangelista”. Le caratteristiche formali della scrittura nonché la terminologia usata attestano che si tratta di copia di un originale antico, forse di epoca imperiale e certamente antecedente al VI secolo, redatto in Occidente

- le analisi geochimiche-isotopiche del carbonato di piombo delle incrostazioni dello scheletro, del piombo della cassa e di quello del coperchio attestano che i campioni delle incrostazioni e della cassa sono uguali fra loro, e nettamente diversi dai campioni del coperchio. Questo risulta anche avere nettamente uno stato di diversa e migliore conservazione rispetto alla cassa, indice di conservazione in condizioni ambientali diverse, ed è dunque, con assoluta certezza, di fattura diversa e posteriore, forse databile, dal confronto con altri reperti, ad epoca rinascimentale (Molin et alii; e questo nonostante un diverso risultato proponga il chimico organico Guido Galiazzo, il cui contributo — che tra l’altro in maniera singolare ritiene di avventurarsi in una sintesi generale dei dati delle altre discipline, omettendone alcuni e fraintendendone altri — lascia però al lettore parecchie perplessità in ordine al procedimento metodologico). Dalla diversità tra cassa e coperchio consegue — a nostro parere — che nessun significato può avere allo scopo dell’identificazione delle reliquie lo studio archeologico-tipologico della forma del coperchio, non essendo questo un reperto antico. Si può ipotizzare ragionevolmente che il coperchio originario sia andato perduto in epoca corrispondente o successiva al momento dell’inventio delle reliquie nel 1177. La composizione isotopica del piombo della cassa non è riconducibile, allo stato attuale delle conoscenze, alla produzione di specifici giacimenti, e può essere interpretabile come effetto del riciclaggio di varie miniere dell’area mediterranea, procedimento molto diffuso in epoca imperiale;
- anche se di fattura tarda, una delle iscrizioni relative a san Luca e un’altra, relativa alle reliquie di san Mattia, conservate anch’esse a Santa Giustina in una cassetta di piombo, hanno dato indicazioni interessanti. Le due iscrizioni sono entrambe incise su tavolette di piombo. Quella relativa a san Luca, bilingue, riporta una scritta rinascimentale corsiva in greco (Iesous Christos Parthenos Maria), e poi, in capitale: OSSA LVCAE EVANGELISTAE, in latino, e: OSTA TOU LOUKA EUAGGELHSTOU, in greco. Sebbene l’analisi isotopica del piombo situi la tavoletta in epoca rinascimentale (Molin et alii), l’analisi del testo e la terminologia richiamano con certezza una sua composizione di periodo anteriore al VI secolo (Franco Ghinatti). La superficie originaria su cui era inciso il testo andò dunque, per un motivo che ci sfugge, perduta, e il testo fu evidentemente ricopiato in occasione di una delle ricognizioni delle reliquie. Dell’iscrizione relativa a san Mattia è invece da sottolineare che il piombo della tavoletta, evidentemente riutilizzata (tracce di lettere al di sotto dell’attuale scritta), appare essere dello stesso tipo di quello della cassa di san Luca (Molin et alii; Ghinatti). Potrebbe forse trattarsi di un frammento dell’originario coperchio della cassa?
- i rilievi fotogrammetrici della cassa, il calco del simbolo, la ripetizione sperimentale del suo procedimento di realizzazione e dunque l’individuazione e lo studio di una tipologia, quella della croce a stella (Lorenzo Bianchi — Paolo Salonia — Margherita Cecchelli) hanno permesso di stabilire che la cassa di piombo, di tipologia classica ma priva di particolari decorazioni ornamentali, e di per sé indatabile con precisione, è tuttavia ampiamente compatibile con l’ambito cronologico, geografico e culturale di san Luca. Il simbolo è la combinazione di una croce greca con una croce decussata, impostate esattamente (anche se l’impressione ottica è diversa) sul medesimo centro, e richiama la forma di una stella a otto terminazioni, simbologia giudeo-cristiana che appare già negli ossuari della Palestina del I-II secolo. Quelle che per qualcuno potrebbero sembrare delle punte di freccia sono probabilmente invece, come lo studio analitico della tecnica di impressione ha indicato, l’esito di rudimentali ritocchi operati dall’artigiano durante la preparazione della cassa per tentare di correggere imperfezioni nel disegno. Cadono dunque così — a nostro avviso — tutti i tentativi di paragone con ben diverse iconografie richiamanti dardi, frecce o quant’altro, che altri, isolatamente e in polemica concorrenza con gli Atti del Congresso (ma utilizzandone sorprendentemente a piene mani le bozze, senza alcuna autorizzazione degli autori), presentano come risolutivi per giustificare a tutti i costi una tesi precostituita (datazione del reperto al IV secolo e significato pagano del segno). Una tesi argomentata con metodo di discutibilissimo valore scientifico, laddove ci si dimentica di citare quei dati oggettivi che si rivelano contrastanti e non funzionali. Al contrario, l’analisi archeologica della cassa non consente in nessun modo di smentire le risultanze di compatibilità date dalle altre analisi scientifiche, anzi le rafforza;
Tebe in Beozia. Sarcofago pagano riutilizzato, della fine del II secolo, da dove proverrebbe la cassa di piombo contenente le reliquie attribuite a san Luca Evangelista

Tebe in Beozia. Sarcofago pagano riutilizzato, della fine del II secolo, da dove proverrebbe la cassa di piombo contenente le reliquie attribuite a san Luca Evangelista

- è infine da sottolineare (Claudio Bellinati) che la stessa decorazione dell’arca marmorea, che nel XIV secolo fu costruita per accogliere la cassa di piombo (a meno che non si voglia affermare che sia stata una voluta e ben riuscita mistificazione), è indizio a sostegno di quanto ci narra il racconto dell’inventio, quando riproduce i vituli, decorazioni scomparse forse con la distruzione del coperchio di piombo originale, e ancor di più quando riproduce, sulla manica di un angelo turiferario, il simbolo presente sulla cassa di piombo chiaramente nella forma di una croce a stella.
Di fronte alla serie disparata di testimonianze della tradizione relativamente alla traslazione di san Luca a Padova, i dati escludono il periodo medievale; ci riportano piuttosto al IV secolo, ma resta incerta la provenienza (Costantinopoli o forse direttamente Tebe) e ipotetica l’occasione (le persecuzioni di Giuliano l’Apostata), anche se naturalmente non esclusa. Certamente nuovi dati potranno venire dallo studio analitico della tomba che si conserva a Tebe, dalla quale sarebbe stata traslata la cassa di piombo ora a Padova. Ed altri chiarimenti potrebbero emergere da un nuovo studio sulla storia e la tradizione relative alle sepolture dell’Apostoleion di Costantinopoli, sia per quanto riguarda Luca stesso, sia per quanto riguarda Andrea e Timoteo, che la tradizione vuole giunti in Italia per altre vie e in altro momento, successivamente al sacco della città operato dai combattenti della IV crociata nel 1204.


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