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EDITORIALE
tratto dal n. 02 - 2003

In morte di Gianni Agnelli



di Giulio Andreotti


Gianni Agnelli

Gianni Agnelli

Nel commiato religioso dall’Avvocato, pochi hanno rilevato che tra i concelebranti con il cardinale di Torino era l’abate di Montecassino. Da parte mia l’ho collegato con intatta emozione al giorno in cui nella piana di Cassino si inaugurò il grande stabilimento Fiat che fece compiere il salto di qualità all’industrializzazione di una zona non solo storicamente depressa, ma vittima, nel corso dell’ultima guerra, di inumani bombardamenti, di azioni belliche laceranti e di soperchierie tremende, prima dei soldati occupanti e poi di quelli liberanti.
Nella fausta occasione inaugurale accanto a discorsi ufficiali, vi furono parole di benedizione verso i torinesi, pronunciate con grande spontaneità da donne e uomini del circondario. Da parte di noi rappresentanti politici si era rimosso anche un timore, collegato all’annuncio della decisione della Fiat. Senza mancar di riguardo a Sesto San Giovanni (città dove peraltro vissi nel 1972 un momento di forte contestazione antigovernativa nonostante la visita fosse per consegnare la Medaglia al valor civile per gli eventi bellici), far nascere una Sesto San Giovanni nel Cassinate inquietava. Né potevamo, peraltro, far rinunciare a questa vitale fonte di reddito. A rimuovere dubbi era venuta la saggia decisione di non dar vita ad un nuovo agglomerato abitativo, ma di fare in modo che i lavoratori rimanessero nelle loro case, in tutti i comuni vicini. Salvo un gravissimo fatto di terrorismo negli anni di piombo, la vita della Fiat di Cassino, ovviamente con momenti alterni di ottimismo e preoccupazione, si è sviluppata senza ostacoli. Oggi risente della crisi del gruppo, ma credo che non vi siano… lotte tra poveri e che nessuno contesti in loco la necessità di trovare soluzioni generali, compresa Torino.
Tornando alle esequie del senatore Agnelli, non si è avuta quella solennità distraente che di norma hanno queste "cerimonie" di Stato. Tutto si è svolto in un ambito di alta religiosità e di effettiva partecipazione al dolore. Le stesse letture della messa — specie un passo del libro della Sapienza — erano state scelte con forte opportunità, che il cardinale arcivescovo ha accentuato nella sua meditazione.
È emerso un Agnelli silenziosamente devoto della Consolata e disponibile a prepararsi alla morte in modo edificante.
Sia come industriale di insuperate dimensioni sia come rappresentante massimo della categoria (tanto nel periodo di presidenza della Confindustria che prima e dopo) ebbe sempre un atteggiamento corretto verso i governi e verso il mondo politico. Pur se vi furono circostanze e fasi di forte divergenza. Ma anche su tesi contrapposte uno spazio al dialogo rimase sempre aperto. Io stesso dovetti in una circostanza (mi pare durante un incontro con gli industriali a Parma) notare la contraddizione tra la critica ad un presunto assistenzialismo dello Stato e le frequenti richieste di messa in cassa di integrazione a tutti i livelli, con un onere pubblico dell’ottanta per cento.
Ma sempre senza rancore ed in un modo garbato, almeno in prima persona. In scala più bassa (poteva non saperlo?) qualche volta le frecciate contro le partecipazioni statali erano molto dure. Sul tema osservo incidentalmente che occorre reagire ad un qualunquismo cronistorico che rischia di dare dell’Iri, dell’Eni e delle altre società pubbliche una immagine distorta, negandone le finalità, i meriti congiunturali e l’apporto nella ricostruzione postbellica e nella ascesa dell’Italia nel G7 o G8 che dir si voglia.
Occidentale per convinzione, cultura e interessi, Agnelli fu però aperto a collaborazioni in aree esterne non indifferenti: dal rapporto con l’Unione Sovietica all’apertura finanziaria verso i libici (che del resto investirono in Fiat i loro capitali). Ricordo la visita del presidente dell’Urss Podgorny in Italia: come ministro dell’Industria lo accompagnai a Torino e vidi Agnelli quasi divertito dal disagio della Commissione interna per il discorso dell’ospite. Che non solo tesseva l’elogio di Valletta, ma richiamava con soddisfazione i rapporti che la Fiat aveva avuto con loro anche durante il "ventennio".
Credo non vi sia stato né vi sia un altro italiano con una rete di relazioni personali come Gianni Agnelli in tutti i continenti e negli ambienti più diversi. Il Figaro ha dato notizia del decesso con un titolo emblematico: Giovanni Agnelli, la morte di un gigante. Anche sotto questo aspetto è una grave perdita per la possibilità di spiegare agli stranieri i risvolti non sempre facili delle nostre vicissitudini interne. Da undici anni Agnelli era in Senato, dove erano già stati Umberto e, più a lungo, la straordinaria Susanna. In una intervista dei giorni scorsi il presidente Mancino ha ricordato che nel suo ottantesimo compleanno l’Avvocato non volle quella piccola cerimonia augurale che usa a Palazzo Madama. Ricevette la medaglia celebrativa in una piccola udienza soltanto con i suoi familiari. Ma ricordò con commozione e fierezza un altro Giovanni Agnelli senatore: suo nonno.
Tornando al commiato del 26 gennaio, non doveva stupire il profondo clima religioso dell’evento. Torino non è solo l’antica capitale storicamente in polemica con la Roma dei papi e neppure solo il più grande centro produttivo delle nostre industrie. Torino è la città di don Bosco, del Cottolengo, di san Giuseppe Cafasso, di Pier Giorgio Frassati. Fuori da questo quadro forse non si comprende lo spirito di una città e di un uomo che di essa fu eccezionale espressione.


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