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ANNIVERSARI
tratto dal n. 07/08 - 2004

1954-2004: cinquant’anni dalla morte di Alcide De Gasperi

Una raccolta di testimonianze




Nel 1964 e nel 1974, rispettivamente a dieci e a venti anni dalla morte di Alcide De Gasperi, il quindicinale Concretezza dedicava due numeri monografici allo statista democristiano, pubblicando interventi di persone, più o meno note, che lo avevano conosciuto. Abbiamo selezionato dei brani di alcuni di quei contributi, per riproporre ai nostri lettori alcuni ricordi e giudizi di tanti, amici e non, che hanno avuto la ventura di vedere De Gasperi da vicino. Con questo non si ha né la pretesa né l’intenzione di riuscire a descrivere una figura come quella di De Gasperi, ma solo di rendere un piccolo, ulteriore omaggio all’uomo e allo statista. Per agevolare la lettura abbiamo suddiviso tali testimonianze, alcune delle quali sono accompagnate da brevi notazioni esplicative, secondo un criterio tematico e cronologico, adottato, data la materia, senza eccedere in rigore.
D.M.


Le copertine di Concretezza dell’agosto 1964 e del maggio 1974 dedicate alla figura di De Gasperi

Le copertine di Concretezza dell’agosto 1964 e del maggio 1974 dedicate alla figura di De Gasperi



La clandestinità e la Resistenza

Cardinale Joaquín Anselmo María Albareda
prefetto della Biblioteca Vaticana

«Io lo conobbi sulla metà del 1936, quando fui chiamato ad assumere la prefettura della Biblioteca Vaticana. Nel descrivere a me, nuovo di essa, il personale delle diverse categorie, l’appena creato cardinale Eugenio Tisserant, al quale succedevo nel governo, mi aveva detto di De Gasperi che aveva un posto soprannumerario e un’occupazione assai modesta, considerate la sua cultura e la sua perfetta conoscenza del tedesco, ma che l’organico della Biblioteca non consentiva di dargli un trattamento diverso. L’occasione si presentò qualche anno dopo, quando si dovette provvedere alla nomina di un nuovo segretario della Biblioteca. Andai in udienza dal papa Pio XI, e gli esposi la circostanza. Mi domandò se avevo in mente qualche persona adatta, e allora io gli parlai di un nostro “impiegato” serio, esperto e di molte qualità. Sorpreso forse dalla misura dell’elogio, mi interruppe con la sua arguta maniera: “…e chi è questa perla d’uomo?”. Dissi il nome, che per me non italiano, e rimasto assente molti anni dall’Italia, non rivestiva notorietà. A sentirlo, Pio XI disse gravemente: “L’abbiamo tirato fuori da Regina Coeli”. Poi si mise le mani alle tempie (ricordo), e aggiunse, quasi per sé: “Cosa diranno quelli dell’altra sponda?”. Ma il provvedimento ebbe il suo corso, qualunque cosa pensassero “quelli” che stavano al di là del Tevere […]. Per ultimo, quando era già passato a tessere le fila del futuro destino, non solo personale, ma del suo Paese, mi diede ancora un segno della sua propria lealtà, conferendomi la facoltà di comunicare in qualunque momento le sue dimissioni, se ciò fosse stato richiesto dall’esigenza di mantenere scevra da ogni compromissione la Santa Sede. Anche in questo gesto è tutto l’uomo, pronto a pagare di persona il prezzo dei suoi ideali».


Mino Cingolani
segretario particolare di De Gasperi dal 1945 e suo fedelissimo collaboratore fino alla morte

«Una domenica combinammo di portarlo ad una partita di calcio. Credo sia una delle rare volte che De Gasperi abbia messo piede in uno stadio. Il caso volle che proprio quel giorno, nei distinti di Campo Testaccio, De Gasperi spettatore avesse di fronte, al di là del prato nella tribuna delle autorità, Mussolini, che era venuto ad assistere all’incontro Roma-Lazio. Tornando quel giorno a casa raccontava come nel fracasso del pubblico, dopo un “goal”, aveva potuto tranquillamente gridare “abbasso Mussolini” senza che nessuno dei vicini avesse avuto qualcosa da ridire: anzi aveva avuto una manata di plauso sulle spalle».


Vittorino Veronese
presidente dei Laureati cattolici e poi presidente dell’Azione cattolica

«Ho incontrato De Gasperi per la prima volta nel 1942 o 1943 ad un convegno dei laureati in Roma. Era comparso, schivo e solo, ad una riunione di studio ed era andato a sedersi fra gli ultimi banchi di un’aula dell’Angelicum. Durante quella seduta uno dei più accesi esibizionisti, clericofascista, ci aveva, per l’ennesima volta, invitati a tener conto della realtà, a non essere inguaribilmente nostalgici, a partecipare alla passione della Patria, ecc. Ricordo benissimo che mi dominavo con fatica per non suscitare incidenti e lasciar cadere senza offesa l’inopportuno intervento: ma, dal tavolo della presidenza, avevo giusto in faccia a me la rigida e vigilante figura di lui che, con la sua sola compostezza – ignorato dalla maggior parte dei presenti –, rappresentava un esempio e un monito».


Bruno Visentini
tra i fondatori del Partito d’azione, poi esponente di rilievo del Partito repubblicano. Nel 1948 divenne vicepresidente dell’Iri

Conosce De Gasperi poco prima dell’inizio della guerra. Dopo aver accennato a quel primo incontro, rammenta: «Lo rividi con una certa frequenza alcuni anni dopo in casa di un suo amico che riuniva antifascisti di diversi orientamenti politici. In me, ed in altri con me che avevano contribuito a fondare il Partito d’azione, era una fede illuministica nella ragione e quindi nelle ineluttabili conseguenze che le vicende politiche del prefascismo e del fascismo dovevano avere sul postfascismo. De Gasperi ci richiamava alla realtà in una forma che non era in nessun modo di accomodamento, ma che era realismo».


Giuseppe Spataro
segretario della Democrazia cristiana durante la Resistenza, fu sottosegretario agli Interni nel primo governo De Gasperi e ministro dei Lavori pubblici nell’ottavo governo De Gasperi

«Intorno alla Resistenza si è scritto molto, ma non ancora tutto e non sempre con esatto rigore storico; del vero e proprio periodo clandestino – intendo dire dal settembre 1943 all’aprile 1945 – molto ancora si ignora; per averne cognizione esatta sarebbe necessario ricostruire con fedeltà di scrupoloso cronista ogni momento, ogni episodio, ogni colloquio: si vedrebbe De Gasperi quotidianamente al centro delle vicende, sempre vigile e presente alle riunioni – con direttive scritte se non poteva parteciparvi di persona –, costruire fin da allora momento per momento l’edificio della futura democrazia per tutti gli italiani».


Guido Gonella
fondatore del Popolo, durante il regime fascista curò la rubrica Acta diurna per L’Osservatore Romano. È stato ministro della Pubblica istruzione in quasi tutti i governi guidati da De Gasperi e ministro della Giustizia nell’ottavo. Fu segretario della Dc dal ’50 al ’53

Tra il ’30 e il ’40, redattore dell’Osservatore Romano per la politica estera, collabora strettamente con De Gasperi, allora impiegato presso la Biblioteca Vaticana. Rammenta Gonella: «De Gasperi nel pomeriggio lavorava in un baraccone di legno che oggi non esiste più e che era installato in un cortile vaticano. Al suo posto si trova ora l’edificio delle “Poste vaticane”. Egli era molto scrupoloso nel non occuparsi di politica nella Biblioteca Vaticana, ove compiva il suo dovere di segretario, nobile ma malinconica occupazione che gli permetteva di guadagnarsi il pane quotidiano. Ogni pomeriggio, però, essendo segretario della Mostra internazionale della stampa cattolica – una di quelle mostre che non finiscono mai –, ci raccoglieva nel baraccone di legno della segreteria della Mostra, nel quale egli stesso, quando faceva freddo, accendeva una stufetta a carbone. Fu lì che si incominciò a discutere, a progettare, a programmare e infine a vergare le prime linee di quello che doveva essere il programma della Democrazia cristiana […]. La successiva tappa del lavoro preparatorio si ebbe all’epoca dell’occupazione nazista di Roma. Egli si rifugiò prima nel Palazzo di Propaganda Fide, poi al Laterano, poi a Castel Gandolfo. A me era riservato il compito di fattorino; andavo e tornavo da lui a portar carte, e un giorno arrivai all’ultimo piano del Palazzo di Propaganda Fide, in piazza di Spagna, nel quale era rifugiato presso un amico, proprio nel momento in cui avveniva, a poca distanza, il formidabile scoppio di via Rasella che provocò per rappresaglia l’atroce massacro delle Ardeatine. A trecento metri di distanza le case sembravano tremare, e piovevano vetri dalle facciate. De Gasperi mi consegnava i suoi articoli – firmati “Demofilo” – che poi portavo in tipografia per la stampa del Il Popolo clandestino che avevo fondato e dirigevo seguendo le precise direttive di De Gasperi».

Emilio Bonomelli
direttore delle Ville pontificie

«Rientrato a mia volta dalla Francia, io avevo ricevuto l’incarico di curare la sistemazione delle Ville pontificie di Castel Gandolfo. Ben presto Castel Gandolfo divenne la meta delle tranquille gite domenicali di De Gasperi accompagnato quasi sempre dall’indimenticabile Longinotti, spesso da Cingolani o Spataro. Si facevano grandi gite nei boschi e interminabili chiacchierate, la sera, attorno al camino. Non di rado si aggiungevano amici di Roma e di fuori, molti dei quali avevano avuto una parte cospicua nel movimento dei cattolici italiani, non pochi scomparsi: Luigi Meda, Giorgio Montini, Bazoli, Iacini, Bresciani, Cappa, Rodinò, Merlin. Non nominiamo i viventi, ché tutti o quasi gli uomini nostri anche della nuova generazione che ebbero poi un posto di primo piano nella politica italiana frequentarono quegli animati convegni. Diventò questo un punto franco dove ci si ritrovava volentieri non per fare congiure, ma per respirare una boccata d’aria libera sotto un cielo più sereno, lontani dal clima greve della capitale […].
15 settembre 1943: a sette giorni dall’armistizio. L’appuntamento con De Gasperi era alle 4 del pomeriggio nella chiesa di San Roberto Bellarmino. Lo trovo sul sagrato, solo. Poco dopo siamo a Castello. Non lo posso portare nella mia abitazione in mezzo a troppa gente di ogni provenienza, rifugiati, sbandati… Lo accompagnai nell’angolo più riposto del Palazzo papale, in un piccolo appartamento seminterrato […]. In quel rifugio, lontano da ogni sguardo indiscreto, visse per quasi tre mesi, fino al dicembre, visitato con estrema prudenza qualche volta dalla consorte, da Peppino Spataro che manteneva il collegamento con i collaboratori in Roma e dallo scrittore di queste note che andava da lui di notte per passaggi segreti […].
11 maggio 1944: nel lasciare il Palazzo papale, vuoto ormai della moltitudine dei rifugiati che l’aveva gremito fino a pochi giorni prima e dove soltanto noi eravamo rimasti nel nostro alloggio di fortuna, s’era attraversato il cortile in un viavai di gente venuta a riprendersi le robe portate qui in salvo al momento del pericolo. Quando rientrammo verso sera, ecco la gradita sorpresa: De Gasperi ci attende sulla terrazza e ci viene incontro con le braccia aperte e gli occhi lustri di commozione dietro le grandi lenti. Conservo ancora viva la memoria di quei momenti. Egli era stato nominato il giorno prima ministro nel nuovo governo Bonomi succeduto a Badoglio. Ministro senza portafoglio; ma già fin d’allora con prestigio e autorità non minori del vecchio deputato socialista che presiedeva il Gabinetto. Si apriva così, con la sua carriera di statista, che durerà un decennio, la fase più luminosa e feconda della sua vita».


Monsignor Aurelio Signora
vescovo di Pompei. Ospitò ripetutamente De Gasperi nella sua dimora a Propaganda Fide

«Si arrivò finalmente alla vigilia della liberazione. Era stata fissata per il 4 giugno 1944 una riunione di particolare importanza al Laterano. Il 4 pomeriggio De Gasperi, incurante di ogni misura prudenziale, decide di lasciare il suo rifugio per recarsi alla riunione, attraversando la città, a piedi. Lo accompagna mio fratello Mario. Un’incursione aerea li obbliga a cercare momentaneo rifugio lungo la via Quattro Fontane. Voci allarmanti informano che il Viminale è bloccato, che non è possibile passare, che altri blocchi stradali sono formati per impedire ogni movimento ai cittadini, tra i quali l’arrivo delle truppe alleate ha diffuso un senso di eccitante attesa. Sono ore decisive, che impongono però maggiori cautele. Proprio in quel giorno Bruno Buozzi, con altri che avevano passato indenni un tempo di gravi pericoli, sono presi e fucilati alla Storta. I rischi sono estremi; le strade di Roma vengono mitragliate dagli aerei, si spara nelle vie. De Gasperi che voleva assolutamente arrivare al Laterano, si lascia con grande difficoltà convincere da mio fratello che sarebbe veramente colpevole correre un simile rischio, agli ultimi momenti dopo tanti sacrifici fatti da lui e dagli altri. Ancora un pomeriggio e una serata febbrili. Poi, il 5 mattina, De Gasperi raggiunge la sede della Confederazione dei vetrai, in piazza del Gesù, che fin dal mattino prima alcuni animosi avevano occupato e dove la Democrazia cristiana pone la sua sede. L’avventura della Resistenza è finita. Nell’animo di chi la visse, ricordo incancellabile, resta il ricordo dell’uomo, del cristiano, del sociologo, dello statista, che al termine di giornate angosciose, spesso tristi, mai disperate, nella semioscurità di una cappella si inginocchiava per una lunga preghiera. Là attingeva la forza serena che gli permise di operare, saggiamente e con la coscienza in pace con Dio, per la grandezza cristiana dell’Italia, una volta conquistata, con duri sacrifici, la anelata libertà».


Leone Cattani
liberale, membro della Consulta nazionale, ministro dei Lavori pubblici nel primo governo De Gasperi

«Quando, per la guerra etiopica, le sanzioni decise dalla Società delle Nazioni e lo schieramento della flotta britannica nel Mediterraneo fecero credere a molti prossima la fine, dopo un incontro che aveva avuto per mio tramite con Meuccio Ruini, mi espresse tutta la sua angoscia. “Non così potevamo desiderare la fine del fascismo”, mi disse; “io so cosa vuol dire un Paese sconfitto”. A me si è rimproverato, in certi ambienti, di aver consegnato il governo a De Gasperi nel 1945; ma io posso dire che la mia coscienza di liberale, di democratico, e soprattutto di italiano era perfettamente tranquilla quando portai con Brosio a De Gasperi, a Palazzo Chigi, prima di aprire la crisi Parri, la decisione unanime della direzione liberale (Benedetto Croce compreso) di operare in modo che a lui venisse affidata la direzione del nuovo governo. Con qual senso di responsabilità, con quanta intelligenza e con quanta dignità De Gasperi abbia saputo rappresentare e difendere e ridar vita all’Italia è stato già registrato dalla storia e non può essere dimenticato dagli italiani».


Le trattative di pace

Gennaro Cassiani
democristiano, fu presidente dei Laureati cattolici della Calabria. È stato sottosegretario in vari ministeri durante i diversi mandati di De Gasperi

«Nel dicembre 1945 mi recai a Londra per partecipare alla Conferenza internazionale sui problemi del lavoro e in quella occasione ebbi la riprova dell’abisso nel quale era precipitata l’Italia. I compagni della delegazione da me guidata furono cacciati dagli alberghi di Londra perché italiani. Me ne diede notizia, con gli occhi velati di lacrime, l’ambasciatore Carandini. Un evento valso a rendere meno cruda la mia amarezza fu un lungo colloquio con il ministro del Lavoro inglese che, dopo aver descritto la situazione tristissima dell’Italia, mi disse testualmente: “Però voi avete De Gasperi”».


Eugenio Reale
membro del Comitato centrale del Pci prima di essere espulso dal partito. Fu sottosegretario agli Esteri durante il secondo governo Bonomi (sotto De Gasperi) e nel terzo governo De Gasperi

Parigi, 1946. Reale è tra i consiglieri italiani incaricati delle trattative di pace. Viscinskij, in una seduta della Conferenza, aveva insultato pesantemente i soldati italiani. Reale ricorda la successiva riunione della delegazione italiana: «De Gasperi, che non avevo mai visto così preoccupato e addolorato, propose che mi recassi subito da Molotov a protestare per le frasi scioccamente provocatorie del ministro degli Esteri sovietico e a chiedere se non addirittura delle scuse in piena regola per lo meno una mezza smentita. Qualcuno dei partecipanti alla riunione avrebbe preferito un passo collettivo solenne, una dichiarazione ufficiale della delegazione italiana, ma De Gasperi si oppose a tale proposta e dichiarò che era preferibile mandare allo sbaraglio solo me. “Reale e Molotov sono della stessa chiesa”, ricordo che disse, “e potranno trovare un linguaggio comune. Se dovessero mandarlo in Siberia protesteremo poi anche per questo”. Il passo che io feci subito presso Molotov ebbe esito positivo e immediato, l’allora onnipotente presidente del Consiglio andò su tutte le furie e Viscinskij dovette il giorno dopo ritirare le sue calunniose affermazioni».


Nicolò Carandini
ambasciatore a Londra durante la Conferenza della pace

Londra, settembre 1945: incontri preliminari con le potenze vincitrici. Carandini rammenta il colloquio con il rappresentante sovietico: «Molotov aveva l’abitudine di parlare in russo, rivolgendosi a chi lo ascoltava come se questi dovesse capirlo e rispondergli con l’intesa degli occhi. Il che mi aveva messo altra volta in un certo disagio. De Gasperi non si scomponeva. Quando l’interprete ebbe finito di tradurre una serie di concetti non esenti da chiamate di responsabilità, addebiti di torti, di sofferenze e di danni che giustamente un vincitore deve rivolgere a un vinto, De Gasperi aprì bocca lui tagliando corto: “Rappresentiamo due Paesi di lavoratori, dobbiamo risolvere gli stessi problemi del bisogno in un avvenire di pace che tutti ci accomuna. Su questo piano potremo stabilire una collaborazione fra i nostri popoli”. E via di questo passo, a tu per tu con la realtà, in un discorso fra eguali. Molotov alla fine lo guardava incuriosito, smosso dalla sua statuaria fissità, come davanti a una strana rivelazione. Il ghiaccio era rotto. La visita al potente delegato dell’Unione sovietica, tenuto conto delle distanze, aveva avuto fra tutte il più notevole e inaspettato successo di avvicinamento».
Il 10 agosto 1946, a Parigi, si svolge la Conferenza plenaria della pace, decisiva per il futuro dell’Italia. De Gasperi deve tenere il suo intervento conclusivo. Rammenta Carandini: «Quando Bidault, dall’alto del seggio presidenziale, invita il capo della delegazione italiana a prendere la parola, fra un improvviso silenzio De Gasperi scende l’emiciclo con cadenzato pesante passo da montanaro che pare scandire lo sforzo con cui vince l’ultima timidezza. Lungo percorso fino all’alta tribuna e poi: “Signori, prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di exnemico, che mi fa considerare come imputato, e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione […]”. Durante tutto lo svolgersi del discorso non un solo delegato aveva lasciato il suo posto. Quando egli stava risalendo l’emiciclo il segretario di Stato americano Byrnes gli stese la mano e quella stretta parve il simbolo di un tributo collettivo».


La Repubblica Italiana

Sergio Fenoaltea
tra i promotori del Partito d’azione, prestigioso esponente della Resistenza romana

«È stato detto da taluni che, nelle discussioni in seno al Comitato di liberazione, De Gasperi facesse da freno, e se ne è dedotto che in sostanza egli si opponesse al mutamento istituzionale. Niente di meno vero. Certo, di fronte a una parte del Comitato che esercitava un’azione propulsiva (e chi vi parla era fra essi), De Gasperi esercitava un’azione di moderatore. Ma quest’azione era la condizione perché il partito che De Gasperi rappresentava non perdesse il contatto con la grande massa dell’opinione moderata del Paese. E questa azione è stata una delle condizioni necessarie perché alla Repubblica potesse arrivarsi e si arrivasse. Chi esercitava allora azione propulsiva e di punta ebbe sempre consapevolezza che la Repubblica non si sarebbe fatta – o, se fatta, non sarebbe vissuta, e avrebbe avuto la sorte tragica della Repubblica spagnuola – senza l’adesione consapevole e l’apporto dei cattolici. La politica di De Gasperi, progressiva nei fini, moderata e cauta nella tattica, fu la condizione di questo apporto. Fu la cauzione e l’avallo che occorrevano perché la Repubblica si facesse».


Epicarmo Corbino
liberale, fu ministro del Tesoro nei primi due governi De Gasperi

Notte tra il 12 e il 13 giugno 1946, dopo i risultati del referendum che aveva decretato la fine della monarchia e la vittoria della repubblica. Ricorda Corbino: «Il Consiglio dei ministri si era riunito al Viminale fin dalla sera del 12, ma ancora a notte avanzata si attendeva che Umberto firmasse la lettera di rinunzia che era stata preparata. Fino a noi erano arrivate voci, forse non del tutto prive di fondamento, di complotti, che avrebbero dovuto portare alla conservazione della monarchia; e noi aspettavamo con una certa ansia che tornasse la persona incaricata di ritirare il documento firmato. Poiché non arrivava nessuno, dopo un po’, si pensò di mandare al Quirinale il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Arpesani. Ma neanche Arpesani tornò indietro, come avrebbe dovuto subito fare. Mano a mano che trascorreva il tempo ragionevole per il viaggio di andata e ritorno, eravamo tutti piuttosto preoccupati, mentre De Gasperi era titubante sulla mossa che, a quel punto, sarebbe stato opportuno di fare. A un certo punto, con sorpresa di tutti, egli ci disse che sarebbe andato lui dal re per risolvere la faccenda. Noi, ignorando le ragioni per le quali Arpesani non tornava, temevamo che la sorte temuta per Arpesani potesse toccare anche a De Gasperi; ma De Gasperi non volle rinunziare al suo proposito; decise di partire, e partì. E dopo cominciò a tardare anche lui! Ricordo che noi, nell’attesa, cercavamo di far passare il tempo in qualsiasi modo, presi, come eravamo, da un notevole nervosismo, che si accentuava con il passare dei quarti d’ora. [...] Quelle due ore dall’una alle tre del mattino furono veramente molto lunghe; ma finalmente De Gasperi tornò, portando con sé anche Arpesani, e dandoci la tranquillità sugli avvenimenti successivi, e cioè sulla partenza del re, che era predisposta (e fu poi effettuata) alle 7 del mattino».


1947, il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti

Donato Menichella
direttore generale e poi governatore della Banca d’Italia

Menichella accompagnò De Gasperi negli Stati Uniti. Così ricorda il prestito di 100 milioni di dollari con l’Export-Import Bank: «Era questo il primo prestito a carattere commerciale che l’Italia negoziava in America dopo la guerra e, nelle condizioni in cui eravamo ridotti, ognuno può facilmente immaginare come fosse arduo convincere i dirigenti della banca, tecnici di prim’ordine, che saremmo stati in grado di rimborsare, alle scadenze pattuite, i dollari che domandavamo. Le discussioni si protrassero oltre il previsto e a un certo momento parve che non si sarebbero chiuse entro la data fissata per il nostro ritorno in Italia. Ma De Gasperi, al quale le manifestazioni di cordialità ricevute a Washington e a Cleveland e le commoventi accoglienze di Chicago e specialmente di New York non avevano dato alla testa, non si piegò e dichiarò fermamente al governo americano che non sarebbe ripartito senza la promessa esplicita del prestito. Ed ebbe partita vinta».


Giuseppe Brusasca
democristiano, sottosegretario agli Esteri in quasi tutti i governi De Gasperi. Curò in particolare i rapporti con le ex colonie

«A New York, nel gennaio 1947, una delegazione di pastori protestanti gli chiese quale sarebbe stato il trattamento della Costituzione della Repubblica italiana per le confessioni non cattoliche. La risposta che egli dette fu di piena soddisfazione per tutti i convenuti. Uno di essi particolarmente soddisfatto lasciò uscire gli altri e si congedò da De Gasperi dicendogli: “Presidente, domani lei farà la sfilata d’onore sulla Quinta Strada; dopo la cattedrale di San Patrizio vedrà un piccolo tempio: in esso al suo passaggio un pastore protestante pregherà Dio perché protegga il cattolico capo del governo italiano. De Gasperi mi raccontò questo episodio, esprimendomi anche la profonda impressione che aveva provato quando lesse sulla tomba del Milite ignoto americano nel cimitero di Arlington l’iscrizione: “Ignoto a tutti fuorché a Dio”».


Pietro Campilli
tra i fondatori del Partito popolare, resse cinque diversi dicasteri nei vari governi De Gasperi. Fu l’ideatore della Cassa del Mezzogiorno

«I risultati del viaggio superarono le più ottimistiche aspettative. L’accoglienza fu quanto mai cordiale. Nella sua visita al Congresso e al Senato, senatori e deputati, in piedi, applaudirono lungamente all’Italia e a De Gasperi». Campilli ricorda il commento di De Gasperi: «Le manifestazioni di cordiale considerazione da parte delle autorità statunitensi, le calorose prove di amicizia e di fede nella nuova Italia da parte dell’opinione pubblica americana, l’entusiasmo e l’orgoglio ridestato negli italoamericani dalla riaffermata fiducia nella cooperazione Italia-America, basterebbero da soli a inserire questo viaggio fra i pochi fausti eventi del nostro triste e sconsolato dopoguerra».


1948, l’attentato a Togliatti

Giuseppe Saragat
quinto presidente della Repubblica Italiana, fondatore del Partito socialdemocratico. Fu vicepresidente del Consiglio nel quarto governo De Gasperi, confermato nel quinto, durante il quale resse anche il dicastero della Marina mercantile

«Se si evitò il peggio lo si dovette al coraggio e alla saggezza di De Gasperi. Parlò alla Camera con tutti i ministri presenti e chi gli disse che i deputati comunisti – ed era voce falsa – erano armati e avrebbero sparato su di lui se fosse giunta la notizia della morte di Togliatti, non degnò neppure di una risposta. Mantenne l’ordine del Paese con fermezza, ma nel più rigoroso rispetto della legalità democratica e, favorito dalla fausta circostanza della salvezza di Togliatti, restituì la calma al Paese su cui pesava l’incubo della guerra civile».


GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE E LA GENESI DELLITALIA REPUBBLICANA

Roberto Tremelloni
socialdemocratico, sottosegretario all’Industria nel secondo governo De Gasperi di cui divenne ministro nel quarto. Nel quinto governo De Gasperi fu ministro delegato alla Ricostruzione e alla cooperazione europea

«In quel quinquennio che parte dalla fine della Seconda guerra mondiale si accumularono, per l’Italia, tutti i problemi irrisolti di tre generazioni precedenti e tutti i nuovi temi della generazione postfascista. Un pauroso accavallarsi di scelte da compiere, di decisioni da prendere. Fu grande ventura del Paese che sortissero uomini, come De Gasperi, provvisti di notevole capacità di discernere l’essenziale dal subordinato, di notevole distacco dalle astrattezze ideologiche, e capaci di una relativa severità nell’adempimento del servizio allo Stato, scarsi d’indulgenza verso gli atteggiamenti teatrali così facili negli italiani. Sono queste le qualità che mi parvero affiorare nell’attività intensa di De Gasperi in quel memorabile quinquennio, nel compito difficile di dipanare con pazienza l’aggrovigliata matassa dei temi del dopoguerra. Mi colpì il carattere duro e asciutto dell’uomo politico tipicamente lontano dal profluvio di parole delle quali si compiacevano e si compiacciono i politici, quel suo bisogno di non concedere niente alla loquacità e tanto meno alle trappole della retorica, quella sua padronanza di identificare subito il punto fondamentale del problema, come avviene nel processo diagnostico di un grande clinico. Ciò che distingue il grande politico è infatti la facoltà anzitutto di isolare dal frastuono della giornata l’autentico rumore delle cose reali e fondamentali».


Francesco Bartolotta
capo della Segreteria particolare e poi capogabinetto dell’onorevole De Gasperi

Dopo le elezioni del 1948. «La sua linea politica, in quei giorni, si sviluppò su due direttrici: l’una fu quella di assicurare il popolo italiano e le potenze amiche che nessun pericolo si profilava di un monopolio dei cattolici nel governo; l’altra fu quella di evitare, resistendo alle gracili tentazioni e alle massicce pressioni dell’integralismo, che la Dc portasse il peso del governo da sola».


Giorgio Amendola
dirigente di primo piano del Pci. Per un breve periodo fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel primo governo De Gasperi. Il padre era stato amico e compagno di lotte dello statista trentino

«Egli protestò sempre vivamente contro il patto di unità di azione tra Pci e Psi, e contro i patti tripartiti di sinistra (Psi, Pci e Partito d’azione), contro, cioè, tutto quello che poteva rappresentare la premessa per una direzione di sinistra che spingesse la Dc a destra e le attribuisse la funzione di un partito conservatore [...]. Io potei apprezzare le sue qualità personali, sia come suo collaboratore, quando gli fui accanto nel Cln centrale e poi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sia come suo avversario, spesso aspro e veemente. Vi furono, in quegli anni, momenti di sdegno e di passione indimenticabili […]. Momenti di passione, contrasti nei quali sembrava dovesse sciogliersi per sempre il patrimonio di ricordi della comune lotta unitaria antifascista. E, tuttavia, era sempre evidente, nella sua condotta e nei suoi rapporti personali, la coscienza che l’accordo e lo scontro dipendevano da motivi politici. Ed egli manteneva così naturalmente un rapporto umano, riservato, ma sempre cortese».


Bruno Visentini

«Dopo le elezioni del 1948 una Democrazia cristiana diversa da quella guidata da Alcide De Gasperi avrebbe potuto far valere volontà integraliste, anche con la facile acquisizione delle forze di destra emerse, con qualificazioni qualunquistiche e monarchiche, dalle elezioni del 1948. De Gasperi e la Democrazia cristiana da lui indirizzata scelsero invece con tenacia la collaborazione con le forze democratiche – con il Partito socialdemocratico, con i liberali e con il Partito repubblicano – anche se parlamentarmente ciò non era indispensabile. Fu una scelta fondamentale per tutto il successivo svolgimento della vita politica del nostro Paese».


Giustino Arpesani
liberale, fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel primo governo De Gasperi

Problema ineludibile e pressante del dopoguerra era quello di sfamare una popolazione ridotta allo stremo. Ricorda Arpesani: «I campi devastati dalla guerra non avrebbero dato per vari anni all’Italia il pane necessario ai suoi figli; nell’aprile del 1946 fu commovente ascoltare la comunicazione telefonica di De Gasperi con il sindaco di New York, Fiorello La Guardia, di origine italiana: il presidente del Consiglio aveva saputo toccare le corde sensibili del figlio emigrato dalla penisola, ottenendo l’assicurazione dell’ulteriore suo appoggio per quegli aiuti che generosamente e largamente gli Stati Uniti avrebbero dato».


Gennaro Cassiani

«Ricordo il viaggio in Calabria per l’inizio della riforma fondiaria. De Gasperi non immaginava che l’avrebbero accolto folle deliranti. All’inizio si sentì quasi smarrito. Gli è che la riforma frantumava il latifondo terriero e perciò il feudalesimo politico. Si realizzava un vero fatto rivoluzionario per l’ingresso nella vita della nazione dei ceti rurali. Era uno di quei casi per cui la politica non è quella espressa dai governi o dai partiti, ma è quella che prorompe come anelito dalla coscienza pubblica. De Gasperi avvertiva che la riforma veniva incontro alle attese secolari dei lavoratori dei campi. In mezzo ai contadini dell’altopiano della Sila, a duemila metri di altezza, De Gasperi mi apparve più di sempre, nella sua figura di montanaro: magro, immobile, quasi legnoso, egli che aveva una fiamma perenne che gli ardeva dentro».


Beniamino Leoni
magistrato, resse a lungo l’ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio

Leoni ricorda l’intenso, e fondamentale, lavoro legislativo svolto nel primo governo De Gasperi, che doveva attuare i dettati costituzionali: «Può comunque affermarsi che tutti i provvedimenti attuativi della Costituzione concepiti e promossi in quel periodo recano il segno inconfondibile della concezione degasperiana, ispirata insieme alla strenua difesa della libertà e ai grandi principi di solidarietà e di giustizia sociale. Sotto questo aspetto, ed anche per avere egli in ogni circostanza tutelato l’autonomia della Repubblica, con equilibrio e dignità del tutto estranei a certo laicismo di maniera, De Gasperi ci appare come autentico interprete e rappresentante del moderno Stato di diritto, promotore di sempre più ampie riforme e conquiste sociali, ma al tempo stesso energico tutore di tutte le libertà nell’ambito sovrano della legge».


Pietro Campilli

«La decisione di istituire la Cassa per il Mezzogiorno non fu un normale provvedimento di governo, ma richiese una meditata preparazione e un deciso atto di coraggio. Furono affacciate da più parti difficoltà, dubbi, incertezze. In particolare si prospettò a De Gasperi il rischio che si sarebbe venuto ad assumere sul piano politico rompendo una situazione che si presentava in una condizione di stasi, anche se penosa, e che al primo tentativo di rimozione avrebbe potuto esplodere con incalcolabili conseguenze. Inoltre si doveva tener conto che la gravità e complessità del problema meridionale richiedeva, per essere superata, anni di intervento e ingenti mezzi in un momento in cui ingenti mezzi erano pure richiesti per portare a termine il risanamento delle rovine e dei danni prodotti dalla guerra, specie nelle regioni centrosettentrionali. De Gasperi parlò in particolare di questi rilievi con Vanoni e con me, rifletté, meditò, ma decise senza titubanze: “Quando in politica c’è da assumere un rischio relativo a decisioni imposte da esigenze di giustizia e di umanità non si debbono avere incertezze: prepariamo il disegno di legge e andiamo avanti”».


Ferdinando Carbone
segretario particolare della Presidenza della Repubblica con Luigi Einaudi

«Quello che poteva apparire scarso suo interesse per problemi di amministrazione, anche di alta amministrazione, non era, invece, che un riflesso della fine sensibilità, con cui sapeva quasi istintivamente tra amministrazione e governo distinguere, in vista di evitare che la unione nella stessa persona delle funzioni di governo e di quelle di direzione dell’amministrazione potesse ingenerare, tra le une e le altre, una inammissibile e, in ogni modo, dannosa confusione».


Ivan Matteo Lombardo
socialdemocratico, fu sottosegretario all’Industria nel primo governo De Gasperi. Resse lo stesso dicastero nel quinto governo De Gasperi e il ministero per il Commercio con l’estero nel sesto

«De Gasperi non ha mai governato alla giornata, ma ha sempre operato con consapevolezza e antiveggenza per il futuro del Paese, nel suo ordinato progresso civile. Ha insegnato che democrazia significa accumulazione di forze costruttive, esercizio del potere popolare, che non può ammettere impotenza di governo, né prepotenza istituzionalizzata di minoranze. Esempio luminoso di probità intellettuale, espressione incomparabile di una felice sintesi d’idealismo e di reali


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