NOVA ET VETERA
tratto dal n. 04/05 - 2011

Copertina

Introduzione


Ripubblichiamo il bell’articolo del febbraio 2003 di Massimo Borghesi, Il patto con il Serpente, sull’onda di avvenimenti di cronaca nazionale e internazionale in cui ciò che colpisce non è solo la perversità degli atti, quanto quella che sembra quasi una loro eccedenza rispetto all’umana libertà e l’odiosa connessione con la religione cristiana


di Lorenzo Cappelletti


Ripubblichiamo il bell’articolo del febbraio 2003 di Massimo Borghesi, Il patto con il Serpente, sull’onda di avvenimenti di cronaca nazionale e internazionale in cui ciò che colpisce non è solo la perversità degli atti, quanto quella che sembra quasi una loro eccedenza rispetto all’umana libertà e l’odiosa connessione con la religione cristiana. Come insegna la storia della Chiesa antica e recente, è stata sempre un’ansia e una frenesia nutrita di simboli e credenze religiose che, dentro e fuori la Chiesa, ha prodotto l’odio alla fede cristiana.
A questo proposito ritorna alla mente uno degli ultimi colloqui privati che don Giussani ebbe con papa Giovanni Paolo II nei primi anni Novanta e che lui stesso raccontò così: al Papa che gli diceva che l’agnosticismo, sintetizzato nella formula “Dio seppure c’è non c’entra con la vita”, era il sommo pericolo per la fede – cosa che don Giussani stesso più volte aveva insegnato – Giussani rispondeva con la libertà dei figli di Dio (che della fede è una delle espressioni umanamente più affascinanti): «No, Santità, non l’agnosticismo, ma lo gnosticismo è il pericolo per la fede cristiana!».
A distanza ormai di un ventennio ci si può rendere conto di quanto sia stata anticipatrice quella svolta di don Giussani. Svolta che può essere documentata anche dall’intervista, rilasciata nell’aprile 1992, in cui don Giussani parla della persecuzione nei confronti di quelli «che si muovono nella semplicità della Tradizione». Alla domanda dell’intervistatore: «Una persecuzione vera?», don Giussani risponde: «È così. L’ira del mondo oggi non si alza dinanzi alla parola Chiesa, sta quieta anche dinanzi all’idea che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità morale. Anzi c’è un ossequio formale, addirittura sincero. L’odio si scatena – a mala pena contenuto, ma presto tracimerà – dinanzi a cattolici che si pongono per tali, cattolici che si muovono nella semplicità della Tradizione» (Luigi Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia – introduzione del cardinale Joseph Ratzinger – Edit-Il Sabato, Roma 1993, p. 104).
In una delle sue ultime pubblicazioni prima di essere eletto successore di Pietro (Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, raccolta ragionata del giugno 2003 di suoi precedenti articoli sul tema), proprio nelle pagine di collegamento aggiunte ex novo, Joseph Ratzinger notava: «Il male non è affatto – come reputava Hegel, e Goethe vuole mostrarci nel Faust – una parte del tutto di cui abbiamo bisogno, bensì la distruzione dell’Essere. Non lo si può rappresentare, come fa il Mefistofele nel Faust con le parole: “io sono parte di quella forza che perennemente vuole il male e perennemente crea il bene”».
Pur essendo molto dotto e ricco di citazioni, l’articolo di Borghesi si legge d’un fiato. Ha infatti una struttura molto semplice, sottolineata dai titoletti dei paragrafi che mostrano prima il crescere del fascino del male nell’epoca contemporanea, avvertito sempre più come l’energia liberatrice dell’uomo; poi la sua opposizione prometeica al Dio buono e misericordioso; e infine il suo essere concepito non in opposizione ma come principio interno a Dio stesso, proprio secondo le più sottili e perverse favole gnostiche.



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