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ITALIA REFERENDUM
tratto dal n. 05 - 2005

Parla Angelo Vescovi, fra i massimi studiosi delle cellule staminali

Le regole non bloccano la ricerca



Intervista con Angelo Vescovi di Tommaso Marrone


Sopra un contenitore di azoto liquido dove vengono conservati embrioni congelati; sotto, un medico impianta 
un embrione fecondato in vitro

Sopra un contenitore di azoto liquido dove vengono conservati embrioni congelati; sotto, un medico impianta un embrione fecondato in vitro

Il referendum è sempre più vicino. Il prossimo 12 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere sull’abrogazione parziale di alcuni significativi passaggi della Legge 40 del 2004 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. Sull’importanza di una scelta responsabile sembrano tutti d’accordo, vista soprattutto la delicatezza della questione affrontata. Ma il dibattito sempre più acceso tra “promotori”, “contrari” e “astensionisti” – la forma, quest’ultima, più radicale di “contrariato”, che pone in discussione la possibilità stessa di attivare un referendum su tale materia – continua a riempire gli spazi televisivi e i giornali di tutta Italia, rischiando di far ancora meno chiarezza sulle effettive dimensioni del problema. Chi o che cosa tutela effettivamente la Legge 40? E soprattutto a che cosa si potrebbe andare incontro nel caso di una vittoria del “sì”? Ne abbiamo parlato col professore Angelo Vescovi, dell’Università di Milano-Bicocca, condirettore dell’Istituto di ricerca sulle cellule staminali, uno dei più grandi esperti in materia, anche a livello internazionale.
«Innanzitutto, un chiarimento doveroso. Molti ricercatori vedono in modo incontrovertibile che la vita umana inizia all’atto della fecondazione. È un dato di fatto che può essere oggettivato anche a livello di analisi termodinamica, di scienze esatte, non solo con una scienza non esatta come la medicina o la biologia. All’atto della fecondazione si viene a formare il primo stadio di un continuum che termina con la morte dell’individuo che si chiama vita umana. Prima non c’era, all’atto si forma e termina con la morte. Se la vita umana inizia con la fecondazione, tutti gli stati che seguono, come l’embrione o il feto, sono vita umana. Io non riesco a capire né su che base biologica, né su che base di etica della specie possa essere sostenibile che il diritto alla sopravvivenza di questa vita umana debba essere subordinato a un supposto diritto alla procreazione. Non esiste un diritto alla procreazione. E se esistesse, come afferma giustamente Norberto Bobbio, sarebbe sempre subordinato al diritto alla vita».

Nello spiegare le ragioni del “sì” ai quesiti referendari, si sottolinea senza mezzi termini che l’autodeterminazione e la tutela della salute della donna passano attraverso l’affermazione del principio di non equivalenza tra diritti delle persone già nate e i diritti dell’embrione. Si tratta di un’affermazione sostenibile?
ANGELO VESCOVI: Nessuno vuole danneggiare la salute della donna con la fecondazione assistita. Innanzitutto è la donna che si sottopone a questa procedura, non c’è nessun elemento di costrizione nemmeno psicologico. È un problema personale dell’individuo che non può essere esteso come valore generico della specie e quindi portato a livello di diritto. È un’esigenza psicologica ma non un elemento oggettivante del diritto. Nel momento in cui si dovesse riconoscere questo diritto, subordinato, comunque, al rispetto della vita, la scienza medica dà delle possibilità. Nel momento in cui la scienza medica ti mette a disposizione dei mezzi per farlo, è chiaro che ci deve essere un’etica sull’utilizzazione di questi metodi. Non si può pensare che una cosa possibile da un punto di vista tecnico sia poi automaticamente permissibile da un punto di vista etico. Qui entriamo nel problema della creazione di embrioni soprannumerari: ti riconosco il diritto ad avere dei figli, ma per questo non puoi violare qualsiasi regola. Produci, come faresti nell’atto del concepimento, degli embrioni che si impiantano. Non puoi pensare di produrre degli embrioni soprannumerari che poi congeli per tua comodità. È proprio questo il punto discriminante: una questione di comodità, non tanto per la donna, ma per coloro che operano la procreazione assistita. Tutti dicono: bisogna creare più embrioni per proteggere la salute della donna, dobbiamo produrre embrioni che poi congeliamo! Non è assolutamente vero: si possono congelare gli ovociti. E per quanto ne dicano coloro che interpretano i dati della letteratura scientifica in modo molto aleatorio, il congelamento degli ovociti e il congelamento degli embrioni hanno delle rese del tutto uguali. E il concepimento, usando un numero di embrioni limitato, non è per niente dimostrato essere meno efficiente del concepimento con l’introduzione di più embrioni. Il fatto che così facendo si cerchi di proteggere la salute della donna è un fatto altamente questionabile. I dati della letteratura scientifica dicono che qua si cerca di proteggere interessi secondari, magari di natura economica. La salute della donna è ben poco a rischio. Una tecnica di fertilizzazione in vitro effettuata con il congelamento, non degli embrioni, ma degli ovociti, sottopone la donna allo stesso tipo di stress.
Si sostiene ancora, da parte dei promotori, che per consentire il perfezionamento di nuove cure capaci di debellare gravi e diffuse malattie come l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi, il diabete e altre allarmanti patologie, la Legge 40 debba essere modificata sostanzialmente, sopprimendo le parti che limitano la ricerca clinica e sperimentale: si tornerebbe, quindi, a poter congelare liberamente gli embrioni e a servirsene come materia di studio? L’embrione è come una cavia di laboratorio?
Vescovi: La legge ha avuto il merito di fermare quello che è un massacro silenzioso di embrioni che, non potendo gridare che ci tengono a vivere, sono stati creati per poi essere utilizzati come si voleva. E chiunque avrebbe potuto farlo. Si tornerebbe a ridurre gli embrioni a schiavi. Adesso il problema non è che la vita inizi all’atto del concepimento, ma che quella vita umana sia una persona. Esiste un tipo di vita umana che non è persona e come tale può essere sacrificata? Questo elemento di di­scriminazione si ritrova in tutte quelle culture che hanno considerato la schiavitù come pratica corrente del tutto lecita. È un essere umano ma non è una persona. Questo è un atteggiamento di razzismo estremamente pericoloso. Altre affermazioni con una presunta valenza scientifica sono altrettanto pericolose. Ad esempio: l’embrione non è una persona perché non è in grado di elaborare e comunicare qualsiasi attività cognitiva. In altre parole, non pensa! Questo elemento cosiddetto oggettivo, che dovrebbe operare una distinzione tra vita e non vita, lo si può applicare ad esempio a un paziente affetto da Alzheimer. Il parametro è opinabile e costruito in maniera strumentale: rischia di creare una categoria di sottopersone che noi invece riconosciamo come persone. Gli stessi pazienti che chi sostiene questo tipo di approccio dice di voler curare. Questa è un’aberrazione spaventosa. Ma adesso siamo arrivati alla negazione del raziocinio. C’è un riduzionismo su basi ideologiche. Ci vogliono costringere a non utilizzare le facoltà tipiche della specie umana, a non ragionare con il pensiero logico e filosofico. Si vuole far passare l’idea che l’embrione non è vita ma un grumo di cellule. Certe affermazioni fanno violenza alla ragione. Ci si dimentica dei fatti oggettivi che la scienza ci presenta.
Sullo specifico e tanto utilizzato argomento delle terapie che la legge impedirebbe, corrisponde a un corretto approccio scientifico al problema considerare una necessità inderogabile il ricorso a staminali embrionali piuttosto che a cellule adulte, o addirittura dello stesso paziente?
Vescovi: Terapie con le embrionali non ce ne sono. Le terapie sono tutte con le staminali adulte. Nella prospettiva della cura delle malattie ci sono sempre le staminali cerebrali umane che stanno andando in trial clinico, in sperimentazione sull’uomo. Queste ce le siamo dimenticate un po’ tutti. Si parla sempre e solo di una potenzialità che non si sa bene quando si potrà concretizzare. Dovremmo batterci per una presunta violazione della libertà di ricerca, sulla base di una futura utilizzazione! Io sono a favore dell’utilizzazione delle staminali embrionali ma non in violazione dell’etica della specie. Bisogna trovare il modo di utilizzare le staminali embrionali, in un futuro lontano, così temo, rispettando però l’etica. Questo è il passo che si deve fare. Non il ragionamento opposto: scavalchiamo il problema etico! Non è questa la soluzione, non si può superare il problema etico. Basterebbe che la ragione vincesse gli interessi economici e si ammettesse, come deve essere, che l’embrione è vita. E poi, ci sono 300mila embrioni congelati: esiste un termine entro il quale l’embrione non si impianta più, è “morto”, ma può essere trapiantato. Bisognerebbe trovare il modo con cui, anche per una convenzione comunemente condivisa, dopo un certo periodo di congelamento questi embrioni possano essere considerati “morti”, e da lì estrarre le cellule. È un concetto che può sembrare brutto e, tra l’altro, è ancora completamente da discutere e da verificare. Ma non ci rendiamo conto che con 300mila embrioni non abbiamo più bisogno di produrne per i prossimi cinquemila anni. Ma non se ne devono creare più! Un’alternativa possibile è quella di generare cellule staminali embrionali senza generare gli embrioni: questa è la vera frontiera della ricerca. I primi passi sono stati fatti. La pressione va in una direzione sbagliata. Sono forzature del dibattito che fanno preoccupare davvero.
Un embrione umano a sette settimane di vita

Un embrione umano a sette settimane di vita

Nel suo ultimo libro La cura che viene da dentro lei non sembra aver dubbi nel ribadire – pur partendo da posizioni prettamente scientifiche e con una visione personale della realtà agnostica e razionalista – che la vita umana individuale comincia con la fecondazione all’atto del concepimento. Una così chiara impostazione delle cose può influire sull’atteggiamento da tenere in occasione del prossimo referendum? Possono valere, come lei li chiama in modo suggestivo, gli “occhi della mente”?
Vescovi: Ho molta paura in merito all’atteggiamento che la popolazione terrà in occasione di questo referendum! Il dibattito è complesso. Se tutto fosse oggettivo, sarebbe comunque difficile. E poi è difficile spiegare questi concetti in trasmissioni che durano venti minuti. Sui giornali, poi, si sta facendo un po’ poco per chiarire la cosa. Alcune interviste vengono travisate. La gente, da questa situazione confusa, rischia di non capire che cosa sta succedendo. Che cosa è giusto e che cosa no. Qualcuno ha associato un atteggiamento di voto alla libertà di ricerca e alla salute della donna. Questo messaggio è falso ma chiaramente e immediatamente afferrabile dalla gente, che non è per niente convinta di quello per cui andrà a votare. Mettere delle regole alla ricerca vuol dire stimolarla e non bloccarla. In presenza di una legge che te lo vieta, devi trovare le possibilità alternative. E alla fine le trovi. L’importante è qualificare l’embrione come un essere umano. Si parla di tutela della vita, ma distruggere un embrione è distruggere una vita umana.
La Corte costituzionale, nel motivare la sentenza numero 45 che ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum abrogativo dell’intera legge sulla procreazione medicalmente assistita, ha definito tale legge, nel suo complesso, come costituzionalmente necessaria. Lei condivide, quale scienziato della materia, la necessità per l’ordinamento giuridico di prevedere una disciplina fondamentale al riguardo? E nell’ipotesi di abrogazione parziale, ma su temi così significativi, andrebbe sollecitamente adottata una nuova disciplina legislativa?
Vescovi: È indispensabile che ci sia una legge fondamentale al riguardo, perché stiamo parlando di rispetto della vita umana. Nel dubbio non ci può essere un’assenza di legislazione. La speranza è che non si arrivi al quorum perché la disinformazione al riguardo è sovrana. Il rischio è che la gente vada a votare non conoscendo per niente la materia. Questa legge può essere migliorata, certo, ma eliminarla sarebbe una cosa peggiore. E poi, con i soldi usati per gestire il referendum avremmo potuto fare già alcuni tipi di sperimentazione clinica sull’uomo.


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