EDITORIALE
tratto dal n. 10 - 2005

Pochi nemici


Una delle “massime eterne” di Mussolini, che mi sembrava particolarmente sbagliata, era il: «Molti nemici molto onore». E di fatto era tanto riuscito nell’intento che l’Italia si trovò per la prima volta nella sua storia in una posizione di totale isolamento internazionale


Giulio Andreotti


Soldati statunitensi in Iraq

Soldati statunitensi in Iraq

Una delle “massime eterne” di Mussolini, che mi sembrava particolarmente sbagliata, era il: «Molti nemici molto onore». E di fatto era tanto riuscito nell’intento che l’Italia si trovò per la prima volta nella sua storia in una posizione di totale isolamento internazionale. Sulla via della ricostruzione ci siamo inseriti nella cordata atlantica (che bloccò le iniziative sovietiche aggressive, pericolose fino alla crisi della stessa Urss) e abbiamo cominciato a costruire l’Europa comunitaria.
In questo quadro va posta la lettura della politica estera italiana, nella quale spicca anche una attenzione particolare al mondo arabo-islamico, dettata sia da una antica tradizione culturale sia dalla nostra collocazione nel Mediterraneo, dove coesistiamo con tanti Paesi di questa estrazione. Certamente non sono mancate e non mancano anche oggi cicliche difficoltà. Agli inizi, attorno ai movimenti di indipendenza di Paesi come l’Algeria e la Tunisia si crearono adesioni di principio che suscitavano complicazioni politico-diplomatiche con la Francia. D’altra parte si aveva l’illogicità di veder motivare la perdita dei territori italiani d’oltremare come sviluppo di modernità democratica, mentre rimanevano intatti i protettorati altrui. In particolare attorno alla lotta di liberazione algerina si concentrò una vasta attenzione contestativa, alla quale successivamente seguì l’interesse per la causa palestinese, tuttora molto vasto e profondo, anche se l’occupazione dell’Iraq ha in parte spostato l’attenzione mondiale.
Nelle ultime settimane, tuttavia, è subentrato un atto di grandissima rilevanza e pericolosità. Con una improvvisa sortita il presidente iraniano Ahmadinejad ha gridato a gran voce che lo Stato d’Israele deve essere cancellato.
Da qualche tempo invettive del genere erano scomparse e all’Onu non c’è più la provocatoria ricorrente richiesta contro il sionismo. Viceversa nel mondo è seguita con attenzione e speranza l’alba di una politica nuova in Palestina, che solo un personaggio non sospettabile di simpatie per i palestinesi come Sharon poteva mettere in campo. L’esodo dei coloni ebrei dalla Striscia di Gaza ha questo enorme significato emblematico. D’altra parte da molti anni i palestinesi hanno cancellato dai loro statuti la demonizzazione dello Stato d’Israele, così come aveva preannunciato Arafat da Roma, nel 1982, auspicando il dialogo, in occasione della Conferenza dell’Unione interparlamentare.
Perché il leader iraniano ha fatto esplodere la bomba che ha scatenato una reazione tutt’altro che facilmente superabile? Voglio escludere l’ipotesi di un collegamento con quei circoli americani che, non ammaestrati dalle vicende irachene, vorrebbero punire un altro “regno del male”
Perché il leader iraniano ha fatto esplodere la bomba che ha scatenato una reazione tutt’altro che facilmente superabile? Voglio escludere l’ipotesi di un collegamento con quei circoli americani che, non ammaestrati dalle vicende irachene, vorrebbero punire un altro “regno del male”. Le ipotesi possibili sono almeno due. Da un lato si teme che una normalizzazione israelo-palestinese possa produrre ampi consensi alla linea di moderazione, contro la quale i khomeinisti irriducibili si pongono con ostinata determinazione. Sotto questo aspetto l’isolamento esterno che si è creato attorno al movimento riformista iraniano di Kathami risulta particolarmente errato e dannoso. So che in un incontro interculturale con americani fu addirittura fatta dell’ironia su alcune riforme, come la piccola elevazione dell’età minima delle donne per andare spose. Ma qui il discorso andrebbe lontano. Il rapporto Usa-Iran è stato sempre difficile. Ricordo un Capodanno passato dal presidente Carter ospite dello scià, con un discorso pubblico in verità molto severo sulla necessità di forti aperture. Sul monito si sorvolò, mentre tutti dettero spazio al fatto della amicizia festeggiante. Non molto tempo dopo lo scià doveva andare in esilio e gli americani non gli consentirono neppure di morire in pace sul proprio territorio.
In un libro di Schlesinger si riporta la cronaca di un non assecondato tentativo, passato per l’Italia, di soluzione della crisi creata con l’occupazione dell’ambasciata statunitense a Teheran. Gli esperti d’oltreoceano fecero affidamento su una disastrosa spedizione di elicotteri, convinti che fosse il segnale per far sollevare la popolazione, a loro avviso rimasta fedelissima all’esiliato. La crisi si risolse subito dopo la sconfitta presidenziale di Carter.
Ma sullo sfondo di tante vicende dell’Iran vi sono emblematiche confusioni. Compresa la convinzione dello stesso scià sulla inconsistenza dei fermenti rivoluzionari. Ebbi modo di parlarne a lui dopo un incontro a Milano con studenti iraniani, che erano divisi tra neomarxisti e fedeli di un ritorno alla natura dopo le corruzioni del modernismo industriale. Mi dette del visionario, dichiarando che nel suo Paese vi era una massima libertà moderna e che lui stesso poteva fare tutti i ricevimenti che voleva anche durante i giorni del Ramadan. Pochi mesi dopo dovette fuggire.

Sulla personalità dello scià il discorso non può essere, tuttavia, semplicistico. Era un personaggio dai molti aspetti. Lo ricordo frivolo al Festival di Venezia e invece molto profondo in un incontro con il nostro Stato maggiore della Difesa sui problemi della sicurezza.
Ma vediamo l’altra ipotesi esplicativa della sortita di Mahmoud Ahmadinejad.
Saltando molte tappe intermedie (compreso il sostegno angloamericano caldissimo per Saddam Hussein quando attaccò l’Iran), giungiamo a una svolta preoccupante. Vi è da tempo il timore che l’Iran voglia dotarsi della bomba atomica (uso il vecchio linguaggio) e questo ovviamente inquieta non solo Israele e l’America ma tutti. In verità l’intento – legittimo – sembra quello di centrali elettriche, e non è ostativo il fatto che l’Iran abbia fortissimi giacimenti petroliferi. I controlli dell’Agenzia di Vienna dovrebbero assicurare questa finalità “civile”, ma il sospetto di aggiramenti può sempre aversi. Di qui le espressioni preoccupate che si sono avute, non solo da parte di Israele. L’ala estremista della rivoluzione iraniana si sarebbe sentita razionalmente offesa da questo veto internazionale e avrebbe reagito con la durezza propria di questi estremisti.
Alla minaccia di morte per Israele ha reagito gran parte del mondo, anche con esplicite minacce di guerra all’Iran. Con pericolosi richiami c’è chi parla degli “errori di Monaco” sollecitando così, contro l’Iran, una azione militare preventiva.
Penso che, a parte l’opinabilità di un giudizio così drastico sulla tregua di Monaco, chi parla di una guerra contro l’Iran segna una pista sciagurata e da respingersi. L’Onu ha altri strumenti per reagire alla provocazione che si è avuta, aiutando anche a isolare i provocatori dal contesto di una popolazione che non è certamente consenziente. Tra l’altro vi è una indisturbata presenza dei cristiani. Ricordo durante una mia visita che il presidente Rafsanjani mi disse: «So che lei si è incontrato ieri con i vescovi cattolici. Con i suoi amici sauditi non le potrebbe accadere».
È un momento, quello odierno, in cui sono necessarie dosi suppletive di riflessione e di distensione degli animi.
Non si può dimenticare che moderazione e prudenza sono virtù, individuali e collettive.




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