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POLITICA INTERNAZIONALE
tratto dal n. 10 - 2005

LA PROLIFERAZIONE NUCLEARE. Parla Robert McNamara

Le atomiche sono immorali


«L’attuale politica nucleare degli Stati Uniti è immorale, illegale, militarmente non necessaria e terribilmente pericolosa». In Corea del Nord e in Iran temono un cambio di regime imposto dall’esterno «perciò dobbiamo impegnarci in negoziati di alto livello perché questa paura sia rimossa». Intervista con l’ex segretario della Difesa Usa, che negli anni Sessanta ideò il sistema di difesa nucleare americano


intervista con Robert McNamara di Giovanni Cubeddu


Robert McNamara

Robert McNamara

Robert McNamara è stato segretario della Difesa statunitense dal 1961 al 1968. Le sue posizioni da falco nella guerra del Vietnam gli valsero notorietà, ma alla sua visione netta già non mancava quella dose di realismo con cui egli fece intendere al presidente Lyndon Johnson che gli Stati Uniti (che a un certo momento non esclusero l’uso dell’atomica) quella guerra forse non l’avrebbero mai vinta. Dal 1968 al 1981 McNamara è stato presidente della Banca mondiale e, come ci dirà lui stesso, chiuso il periodo degli incarichi istituzionali, iniziò a rendere pubblica in modo militante quella convinzione che negli anni gli era maturata dentro: ridurre gli armamenti, a partire da quelli nucleari. In un momento in cui questa politica lungimirante di disarmo non trova molti seguaci, è stato un conforto udire recentemente ancora la voce di McNamara (su Foreign Policy in maggio) indicare i pericoli della proliferazione nucleare e di una deterrenza che fa da alibi al riarmo.
Oggi il numero delle testate atomiche prodotto è minore che in passato, il rischio di uno scontro atomico tra le due grandi potenze della guerra fredda è limitato, e l’Occidente è più preoccupato dalle “medie potenze nucleari”, aperte all’ipotesi nucleare per risolvere controversie regionali oppure disposte a usare l’ultima carta prima di soccombere definitivamente di fronte alla minaccia di un cambio di regime, imposto dall’esterno per “esportare democrazia”…
Ma c’è una grande ipocrisia oggi sottostante al dibattito su chi possa o non possa avere tecnologia nucleare, e che bene si evince dalle parole di McNamara.
Il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes 81, ha espresso in modo cristallino il giudizio della Chiesa cattolica: «E mentre si spendono enormi ricchezze per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente […]. È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c'è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i mezzi».
Intanto, neanche all’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo per i sessant’anni delle Nazioni Unite si è riusciti a menzionare nel testo finale un impegno, neppure generico, alla non proliferazione. Da questa triste impasse parte il colloquio con McNa­mara.

Robert McNamara: Quando nel 1968 abbiamo negoziato il Trattato di non proliferazione nucleare, l’Npt [Non-Proliferation Treaty, ndr], ci siamo impegnati a lavorare in buona fede per la definitiva eliminazione degli arsenali nucleari. Lo scorso maggio i diplomatici di oltre 180 Paesi si sono riuniti a New York per rivedere il Trattato e valutare se i firmatari avessero ottemperato agli accordi. Gli Stati Uniti, per comprensibili ragioni, si sono concentrati a persuadere la Corea del Nord a rientrare nell’Npt, e a negoziare delle condizioni più restrittive alle ambizioni nucleari dell’Iran. Ma l’attenzione di molte nazioni, compresi alcuni Paesi potenziali nuovi possessori di armi nucleari, era a sua volta puntata sugli Stati Uniti. Avere un così grande numero di tali armi e mantenerle in stato di allerta immediata è un chiaro segno che gli Stati Uniti non stanno lavorando seriamente all’eliminazione dei propri arsenali e fa sorgere domande scomode sul perché gli altri Stati dovrebbero invece limitare le proprie ambizioni nucleari.
Certo il fallimento di quella Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione è stato amaro ed evidente. Perché, secondo lei? Quel Trattato è un relitto della guerra fredda?
McNamara: Beh, c’è da dire una cosa fondamentale. Il Trattato di non proliferazione aveva la natura di un compromesso. I cinque Stati dichiaratamente nucleari affermarono che se le nazioni che ancora non possedevano armi nucleari si fossero impegnate a non acquisirle, allora essi avrebbero rinunciato alle loro. Questo è il cosiddetto articolo 6 del Trattato. I cinque Paesi nucleari non si sono mossi in direzione di una tale rinuncia. Perciò le altre nazioni non accettano che si dica che invece loro dovrebbero farlo: devono confrontarsi con avversari militarmente forti, magari con le stesse potenze nucleari. Le potenze nucleari, d’altronde, pur disponendo di grandi forze convenzionali, dicono di aver bisogno dell’armamento nucleare per salvaguardare i loro Paesi, e dicono che le nazioni senza armi nucleari non sarebbero autorizzate ad averle. Questo viola l’accordo che è alla base del Trattato di non proliferazione.
Il presidente John F. Kennedy durante una riunione alla Casa Bianca con il segretario della Difesa Robert McNamara (al centro) e il vicepresidente Lyndon Johnson (a destra), il 16 marzo 1961

Il presidente John F. Kennedy durante una riunione alla Casa Bianca con il segretario della Difesa Robert McNamara (al centro) e il vicepresidente Lyndon Johnson (a destra), il 16 marzo 1961

Secondo il Dipartimento di Stato americano, anche se la Conferenza di revisione è sostanzialmente fallita, il Trattato è tuttora vigente…
McNamara: Non vedo come. Guardi, ci sono l’Iran e la Corea del Nord, per esempio, che vanno chiaramente contro l’Npt, e abbiamo un ex segretario della Difesa americano, William Perry – che è stato un ministro assai saggio, non una cassandra, è uno scienziato, il capo del Programma di sicurezza dell’Università di Stanford –, che qui a Washington, lo scorso agosto, ha detto che esiste più del 50 per cento di probabilità di un’esplosione nucleare sul territorio americano entro dieci anni, e questo certamente indica che la non proliferazione non sta avendo successo.
Lei ha detto recentemente che «per gli Stati Uniti è ormai tempo (e lo è da un pezzo) di smetterla, con uno stile da guerra fredda, di appoggiarsi sulle armi nucleari come strumento di politica estera».
McNamara: Anche rischiando di apparire semplicistico e provocatorio, definirei l’attuale politica nucleare degli Stati Uniti come immorale, illegale, militarmente non necessaria e terribilmente pericolosa. Il rischio di un lancio nucleare accidentale o involontario è inaccettabilmente alto. Lungi dall’operare per la riduzione di tali rischi, questa amministrazione è impegnata a mantenere l’arsenale nucleare americano come un puntello del suo potere militare – un impegno che sta fra l’altro erodendo le norme internazionali che hanno limitato la diffusione di armi nucleari e di materiale fissile per cinquant’anni.
È sorprendente ascoltare tale giudizio proprio da lei, un ex segretario della Difesa del governo americano…
McNamara: Mi lasci dire una cosa. La Convenzione di Ginevra ha rappresentato un accordo tra le nazioni in base al quale la forza militare avrebbe dovuto essere conforme a dei principi e proporzionata, il che sta a dire che se una nazione fa uso della forza militare contro un’altra, ciò non dovrà eccedere quanto il suo avversario ha fatto o intende fare. E questo uso deve essere inoltre discriminante, cioè i civili devono essere esclusi dall’uso della forza militare. È chiaro che l’uso di armi nucleari fatto da una potenza nucleare non può soddisfare nessuna di queste condizioni, ed è per questo che affermo che esso è sia immorale che illegale. È un dato di fatto che la maggioranza dei giudici di una corte internazionale che ha esaminato la legalità delle armi nucleari ha deciso per la loro illegalità.
Quest’anno ha segnato il sessantesimo anniversario del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. La rivista Time ha affermato che quell’atto bellico, con cui gli Stati Uniti hanno colpito dei civili considerandoli legittimi bersagli di guerra, ha oltrepassato «la soglia della morale».
McNamara: Difatti anch’io lo giudico immorale. Non credo che gli Stati Uniti intendessero usare armi nucleari per colpire i civili, ma di certo avrebbero dovuto prevedere che sarebbe stato ucciso un grande numero di civili. Così, sia che lo si chiami prendere di mira i civili oppure no, è chiaro che gli Stati Uniti avrebbero dovuto aspettarsi un eccidio di civili.
Certo, quando l’atomica fu usata, l’assassinio di civili tramite bombardamenti nella Seconda guerra mondiale era già stato intrapreso da tutte le grandi potenze, come con l’attacco britannico su Dresda, ad esempio. Non sto giustificando l’uso della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, non mi fraintenda, sto solo dicendo che stragi di civili erano già state provocate dalle campagne di bombardamento della Seconda guerra mondiale.
Io ero in forza alle unità dei B29 ed ero sull’isola di Guam nel marzo 1945, quando il generale LeMay, comandante dei B29, fece partire da lì dei raid incendiari usando i B29 non più per bombardare da alta quota con esplosivi ma da bassa quota con bombe incendiarie. Nel primo attacco su Tokyo – c’ero quella notte del marzo 1945 – credo che morirono circa 80mila civili. Quello fu il primo di 66 attacchi, e certo, non è che ogni volta furono uccise 80, 90 o 100mila persone, ma era comunque sempre un grande, grande numero.
In effetti, la questione importantissima che potrebbe essere sollevata è se era militarmente necessario usare armi nucleari per escludere la necessità di un’invasione di terra delle isole giapponesi più grandi da parte americana, visto che il Giappone, con i raid incendiari, aveva già subito ingenti distruzioni.
Gli Stati Uniti dispiegano attualmente circa 4.500 testate nucleari strategiche offensive. La Russia ne ha circa 3.800. Le forze strategiche di Gran Bretagna, Francia e Cina sono considerevolmente minori, ci sono tra le 200 e le 400 armi nucleari negli arsenali di ciascuno di questi Stati. Le nuove potenze nucleari, Pakistan e India, hanno meno di 100 ordigni ciascuna. La Corea del Nord afferma di essersi dotata di armamenti nucleari, e le agenzie di intelligence statunitensi credono che Pyongyang abbia materiale fissile sufficiente per 2-8 bombe.
Ma oggi, quanto è grande il pericolo nucleare?
McNamara: Gli Stati Uniti dispiegano attualmente circa 4.500 testate nucleari strategiche offensive. La Russia ne ha circa 3.800. Le forze strategiche di Gran Bretagna, Francia e Cina sono considerevolmente minori, ci sono tra le 200 e le 400 armi nucleari negli arsenali di ciascuno di questi Stati. Le nuove potenze nucleari, Pakistan e India, hanno meno di 100 ordigni ciascuna. La Corea del Nord afferma di essersi dotata di armamenti nucleari, e le agenzie di intelligence statunitensi credono che Pyongyang abbia materiale fissile sufficiente per 2-8 bombe. Qual è la potenza distruttiva di tutte queste bombe? La bomba atomica “media” americana ha una potenza di distruzione fin oltre venti volte quella che cadde su Hiroshima. Delle 8mila testate americane attive o operative, duemila sono in stato di allerta immediata, pronte per essere lanciate con un preavviso di quindici minuti. Come sono da usare queste armi? Gli Stati Uniti non hanno mai sostenuto la politica del “colpire per primi”, né durante i sette anni del mio mandato come segretario della Difesa né dopo. Noi siamo stati, e rimaniamo, preparati ad avviare l’uso di armi nucleari – in base alla decisione di una persona, il presidente – contro un nemico, nucleare o meno, ogniqualvolta crediamo che sia nel nostro interesse farlo. Per decenni le forze nucleari americane sono state sufficientemente solide da poter assorbire un primo colpo e poi da infliggere all’avversario un danno “inaccettabile”. Fin quando noi ci troveremo di fronte a un potenziale nemico dotato di armi nucleari, questo è stato e deve continuare a essere il fondamento della nostra deterrenza nucleare.
Ciò che è scioccante è che oggi, a più di un decennio dalla fine della guerra fredda, la base della politica nucleare americana sia immutata. Non s’è adeguata al collasso dell’Unione Sovietica. I piani e le procedure non sono state riviste per far sì che gli Usa o gli altri Stati abbiano meno probabilità di premere il bottone. Come minimo dovremmo rimuovere tutte le armi nucleari strategiche dallo status di allerta immediata, come anche altri hanno raccomandato, incluso il generale Lee Butler, l’ultimo comandante dello Strategic Air Command. Questo semplice mutamento ridurrebbe grandemente il rischio di un lancio nucleare accidentale. Sarebbe altresì un segno per gli altri Paesi che gli Stati Uniti si stanno avviando a ridurre la propria fiducia nelle armi nucleari.
Durante la guerra fredda circolava una sorta di “anticomunismo teologico” e alcuni, non solo nell’amministrazione statunitense, erano ansiosi di usare la leva nucleare per risolvere le controversie internazionali. Recentemente lei ha scritto della possibilità di un’imminente “apocalisse”. Voleva forse dire che c’è qualche legame tra religione e politica sul tema?
McNamara: Non ho usato la parola “apocalisse” per la sua connotazione religiosa. Non mi piace questo tipo di interpretazioni religiose distorte. L’ho usata piuttosto perché è di uso comune applicarla a questi eventi terribili. C’è un grande pericolo oggi di un uso involontario o accidentale di armi nucleari e questo sarebbe un evento apocalittico, nel mio linguaggio, senza alcun riferimento religioso.
A questo proposito, ci sono comunque, credo, fattori religiosi che dovrebbero essere presi in considerazione. I vescovi cattolici degli Stati Uniti hanno pubblicato alla fine degli anni Ottanta un rapporto, la cui preparazione fu diretta da un sacerdote del Massachussets, ancora vivo, che è la migliore dichiarazione fatta da non militari che io abbia mai letto sui problemi morali e umani legati all’uso della forza nucleare. Quel rapporto afferma che per la prima volta dal tempo della Genesi la razza umana ha la capacità di autodistruggersi. Dobbiamo evitarlo. Sono davvero dell’idea che dovremmo iniziare a pensare e a discutere seriamente della proliferazione, perché è assolutamente contraria a tutti i principi morali.
Ciò che è scioccante è che oggi, a più di un decennio dalla fine della guerra fredda, la base della politica nucleare americana sia immutata. Non s’è adeguata al collasso dell’Unione Sovietica
Lei ha scritto anche che non ha mai visto «un pezzo di carta che delineasse un piano degli Usa o della Nato per iniziare una guerra nucleare con un qualche vantaggio per gli Usa o per la Nato». Va letto come un messaggio a coloro che oggi sponsorizzano un “limitato uso” di armi nucleari, ad esempio contro i cosiddetti “Stati canaglia”?
McNamara: Ciò che intendo dire è che, dal punto di vista militare, l’arma nucleare non ha oggi alcuna utilità per nessuna nazione, se non quella di essere un deterrente all’uso delle armi nucleari da parte dei propri avversari. E se l’avversario non possiede il nucleare, allora non ha davvero nessuna utilità militare. Questo è il primo punto. Il secondo è che anche se il tuo avversario ha armi nucleari, non c’è alcuna giustificazione per cominciare a usarle: contro un’altra potenza nucleare sarebbe un suicidio. E non c’è alcuna possibile giustificazione per usarle contro un Paese non nucleare, dal momento che sarebbe moralmente riprovevole e politicamente indifendibile. E dunque le potenze nucleari devono riflettere bene su come giustificare il mantenimento del loro arsenale nucleare. Se lo facessero, penso che arriverebbero alla conclusione cui sono giunto anch’io, cioè che andrebbero eliminate tutte o quasi le armi atomiche. Su questo si fonda la mia decisione.
Glielo ripeto: lanciare bombe contro una potenza nucleare avversaria è suicida, farlo contro un nemico non dotato di armi nucleari sarebbe militarmente non necessario, moralmente ripugnante e politicamente indifendibile.
Sono arrivato a queste conclusioni molto presto, una volta diventato segretario della Difesa. Sebbene credo che i presidenti John Kennedy e Lyndon Johnson condividessero il mio punto di vista, per ciascuno di noi fu impossibile rendere pubbliche tali convinzioni poiché esse erano totalmente contrarie alla politica stabilita dalla Nato.
Un’immagine dell’apertura dei negoziati di Pechino sul disarmo nucleare della Corea del Nord, settembre 2005

Un’immagine dell’apertura dei negoziati di Pechino sul disarmo nucleare della Corea del Nord, settembre 2005

Dopo il mio ritiro dalla vita pubblica, ho deciso di rendere pubbliche alcune informazioni che sapevo sarebbero state oggetto di controversie, ma sentivo che c’era bisogno di iniettare una dose di realismo nelle discussioni sempre più irrealistiche sull’utilità militare delle armi nucleari. Con articoli e conferenze ho criticato l’assunto fondamentalmente viziato secondo cui le armi nucleari con qualche limitazione potrebbero essere utilizzate. Non c’è alcun modo di contenere effettivamente un attacco nucleare, di impedirgli di infliggere una distruzione enorme di vite umane e di beni, e non c’è alcuna garanzia contro l’escalation illimitata che seguirebbe al primo attacco atomico.
Secondo la “Revisione della dottrina nucleare” del 2002 (Nuclear Posture Review), il governo americano è autorizzato a compiere ulteriori ricerche e ulteriori esperimenti nucleari e a costruire più ordigni. Ciò significa che è iniziata una nuova proliferazione atomica statunitense?
McNamara: È proprio così, e secondo me questa Revisione è totalmente sbagliata nelle sue conclusioni e nei suoi giudizi…
Essa promuove la possibilità di una diffusione di armi nucleari più utilizzabili, più semplici da usare.
McNamara: Hanno proposto, credo, almeno due nuove armi atomiche, una che penetra in profondità e una nuova arma nucleare tattica. Sarebbe un errore di valutazione, sarebbe un errore andare avanti su questa strada e spero davvero che il Congresso americano non l’autorizzerà.
È giusto dire che tra i risultati dell’11 settembre c’è anche questa Revisione nucleare? C’è un legame?
McNamara: No, non c’è alcuna connessione, non è fondato, in alcun modo… Gli attacchi dell’11 settembre non influenzano il giudizio sul “se” gli Stati Uniti debbano avere armi nucleari. In realtà io penso sia vero l’opposto, che quegli attacchi in un certo senso hanno confermato l’esistenza di un nuovo potenziale avversario terrorista, e tra le armi che i terroristi vorrebbero utilizzare ci sono le armi nucleari ovvero il materiale fissile, e dobbiamo perciò fare tutto ciò che è in nostro potere per limitare l’ulteriore sviluppo di armi nucleari e di materiale fissile. Ma non lo stiamo facendo a sufficienza.
Lei ha scritto che Fidel Castro ha impartito agli Stati Uniti una lezione…
McNamara: La crisi dei missili di Cuba ha dimostrato che gli Stati Uniti e l’Urss – e di fatto il resto del mondo – sono arrivati a un pelo dal disastro nucleare, nell’ottobre 1962.
Al culmine della crisi le forze sovietiche a Cuba possedevano 162 testate nucleari, incluse almeno 90 armi tattiche. La lezione, se non fosse stato già prima chiaro, fu data a una conferenza sulla crisi tenuta a L’Avana nel 1992, quando per la prima volta noi venimmo a sapere da ex ufficiali sovietici che loro erano pronti alla guerra nucleare nel caso di un’invasione americana di Cuba. Quasi alla fine di quell’incontro, io chiesi a Castro se lui avrebbe raccomandato a Krusciov l’uso delle armi di fronte a un’invasione americana, e se sì, come avrebbe immaginato la reazione degli Stati Uniti. «Siamo partiti dall’assunto che se ci fosse stata l’invasione di Cuba, ne sarebbe scaturita una guerra nucleare», rispose Castro. «Noi eravamo certi… che saremmo stati costretti a pagare il prezzo della nostra scomparsa». Poi continuò: «Sarei stato pronto a usare armi atomiche? Sì, sarei stato d’accordo a utilizzarle». E aggiunse: «Se il signor McNamara o il signor Kennedy fossero stati al nostro posto, e se il loro Paese fosse stato lì lì per subire un’invasione, o un’occupazione… credo che loro avrebbero usato armi nucleari tattiche».
Avendo questo in mente, che cosa prova oggi?
McNamara: Spero che il presidente Kennedy e io non ci saremmo comportati come Castro credeva. La sua decisione avrebbe distrutto il suo Paese. Se avessimo risposto in un modo simile, il danno per gli Stati Uniti sarebbe stato inimmaginabile. Ma gli esseri umani possono sbagliare. In una guerra convenzionale gli errori costano vite umane, talvolta migliaia di vite. Se vi fossero stati errori nel decidere sull’uso della forza nucleare, non vi sarebbe stata alcuna “curva di apprendimento” e sarebbero state distrutte intere nazioni.
E la lezione allora?
McNamara: Non c’è alcun modo di ridurre il rischio a livelli accettabili. Salvo quello di eliminare in primo luogo la politica di allerta immediata e subito dopo smantellare tutte o quasi le armi atomiche. Gli Stati Uniti dovrebbero immediatamente muoversi e avviare queste azioni, in collaborazione con la Russia.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) si è occupata, nel suo ultimo rapporto annuale di fine luglio scorso, delle posizioni nordcoreana e iraniana sull’arricchimento dell’uranio, condannando Pyongyang ma valutando con maggiore moderazione il comportamento di Teheran.
Se gli Stati Uniti continueranno troppo a lungo nel loro attuale atteggiamento riguardo alle armi nucleari, ne seguirà quasi certamente una sostanziale proliferazione. Alcune o forse tutte queste nazioni, come l’Egitto, il Giappone, la Corea del Sud, l’Arabia Saudita, la Siria e Taiwan, molto verosimilmente inizieranno dei programmi di armamento nucleare
McNamara: Giudico i programmi nucleari iraniano e nordcoreano entrambi molto, molto pericolosi. Ma non c’è alcuna soluzione militare. Attaccare la Corea del Nord sarebbe per gli Stati Uniti disastroso, perché i nordcoreani potrebbero spazzare via Seoul e un gran numero di truppe americane lì stanziate, e, similmente, sarebbe assurdo per gli Stati Uniti attaccare l’Iran nelle circostanze attuali – non abbiamo abbastanza truppe in Iraq. Perciò, per risolvere quelle due situazioni, dobbiamo basarci sulla diplomazia. Sin qui la diplomazia è stata relativamente inefficace, ma essa deve affrontare i problemi che hanno condotto la Corea del Nord e l’Iran ad assumere l’iniziativa di sviluppare armi nucleari. E uno di questi problemi è la paura che gli Stati Uniti si muovano in direzione di un cambio di regime. Hanno ascoltato il presidente Bush collegare Iraq, Corea del Nord e Iran come “male”, come emissari di un asse del male, e hanno visto gli Stati Uniti intraprendere un cambio di regime in Iraq. Che ci sia gente in Corea del Nord e in Iran che tema il cambio di regime, sono sicuro, perciò dobbiamo impegnarci in negoziati di alto livello perché questa paura sia rimossa.
Se gli Stati Uniti continueranno troppo a lungo nel loro attuale atteggiamento riguardo alle armi nucleari, ne seguirà quasi certamente una sostanziale proliferazione. Alcune o forse tutte queste nazioni, come l’Egitto, il Giappone, la Corea del Sud, l’Arabia Saudita, la Siria e Taiwan, molto verosimilmente inizieranno dei programmi di armamento nucleare, accrescendo sia il rischio dell’uso di armi nucleari che il dirottamento di armi nucleari e materiale fissile nelle mani degli Stati canaglia o dei terroristi.
Né l’amministrazione Bush né il Congresso né il popolo americano né quello di altre nazioni hanno ancora discusso del valore di politiche alternative, per i loro Paesi e per il mondo intero, circa le armi nucleari a lunga gittata. Ma tali dibattiti si sarebbero già dovuti tenere da tempo. Se lo si farà, credo che si arriverà alla conclusione cui anch’io, insieme a un numero crescente di alte autorità militari, di politici e di civili esperti di sicurezza, sono giunto: dobbiamo sollecitamente arrivare all’eliminazione o quasi di tutte le armi nucleari. Per molti c’è ancora la grande tentazione di aggrapparsi alle strategie degli ultimi quarant’anni. Ma comportarci così sarebbe un grave errore che ci porterebbe a rischi inaccettabili per tutte le nazioni.
Lei è stato presidente della Banca mondiale per tredici anni, ha avuto modo di vedere da vicino ciò che la povertà significa, e chi sono i poveri. Che traccia ha lasciato quest’esperienza in lei, che era stato così coinvolto in ingenti spese militari? Non ha avvertito che c’era una contraddizione?
McNamara: Credo di essere riuscito a occuparmi di entrambe le cose...


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