GUERRA E DROGA. Un rapporto dettagliato dell’Onu
È la guerra l’oppio dei popoli
Negli anni Novanta il tormentato Paese asiatico è stato il primo produttore di oppio nel mondo. Poi, nel 2001 la produzione è crollata. Ma oggi, con la guerra, la coltivazione del papavero da oppio è in grande ripresa
di Davide Malacaria

L’oppio al tempo dei talebani
La coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan non è certo recente. Ma il 1979 può essere considerato un anno di svolta. Così vi si accenna nella relazione: «L’intervento militare dell’Urss in Afghanistan (1979) perturba temporaneamente la produzione e il traffico d’oppio in questo Paese, prima di spronare i mujaheddin [i guerriglieri afghani che combattevano i sovietici, ndr] a far commercio d’oppio o d’eroina per procurarsi i fondi». Dopo la fine della guerra contro i sovietici, il Paese centroasiatico ha continuato ad essere dilaniato da un conflitto civile senza fine, in cui i vari signori della guerra, con coperture ed aiuti di vari Paesi stranieri, hanno continuato a scontrarsi tra loro. Così, nell’indifferenza del mondo, con il passare degli anni, la produzione dell’oppio nel Paese centroasiatico aumenta in maniera esponenziale, tanto che, negli anni Novanta, «diventa il primo [produttore] nel mondo, davanti al Myanmar [ex Birmania, ndr]. La parte dell’Afghanistan nella produzione illecita mondiale di oppio passa dal 31% nel 1985 al 41% nel 1990, infine al 79% nel 1999, dopo una raccolta record di circa 4.600 tonnellate. Le terre coltivate a papavero da oppio occupano più di 90.000 ettari nel 1999, ovvero il 44% in più che nel 1998. Tra il 1996, anno in cui i talebani prendono il controllo di quasi tutto il Paese, e il 1999, la produzione di oppio raddoppia».
Riguardo al consumo di queste sostanze stupefacenti, e al volume d’affari del narcotraffico, viene annotato: «Si può stimare che circa 9 milioni di persone, ovvero due terzi del totale mondiale [dei consumatori, ndr], durante la seconda metà degli anni Novanta abbiano consumato oppiacei di origine afghana […]. La cifra d’affari globale del traffico di oppiacei di origine afghana può essere stimata all’incirca a 25 miliardi di dollari all’anno».

Americani e guerriglieri afghani a Tora Bora, quartier generale di Osama Bin Laden
Ma i trafficanti di droga, almeno nel breve periodo, sono riusciti ad attutire il colpo. Infatti gli esperti dell’Odccp ritengono che «le conseguenze del brusco calo di produzione nel 2001 sono state ritardate grazie all’esistenza di importanti stock» di oppio immagazzinato negli anni precedenti. I relatori traggono questa convinzione da vari indicatori, tra i quali il prezzo dell’eroina e la quantità di stupefacenti derivanti dall’oppio afghano sequestrata lungo i tradizionali canali di transito della stessa. Questi indicatori, infatti, nel corso del 2001 si sono mantenuti all’incirca ai livelli degli anni precedenti.
Se il traffico di stupefacenti di provenienza afghana non ha subito contraccolpi dal deficit di produzione, altrettanto non è accaduto per l’oppio grezzo. Anche questa merce, benché illecita, risponde alla legge della domanda e dell’offerta: più è difficile trovare un prodotto sul mercato, più il suo prezzo sale. Vale la pena a questo proposito leggere i dati riportati nel documento dell’Odccp. Nell’aprile-maggio del 2000 l’oppio costava 28 dollari al kg. Nello stesso periodo dell’anno successivo arriva a costare 300 dollari, fino a «raggiungere circa 450 dollari alla fine del mese di agosto e, in certi casi, 700 dollari proprio prima dell’11 settembre. La settimana successiva all’11 settembre, scende a 180 dollari. Alla fine del mese di settembre non raggiunge i 90 dollari». E ancora: «L’annuncio fatto dai talebani, all’inizio dell’ottobre 2001, della loro intenzione di mantenere questo divieto ha provvisoriamente fatto rialzare i prezzi a circa 330 dollari, ma sono nuovamente scesi alla fine del mese di ottobre […] quando è apparso chiaro che i talebani non avrebbero potuto farlo rispettare».
In conseguenza del divieto imposto dai talebani, conclude la relazione, e dal momento che «non si è avuto, in altre regioni del mondo, un accrescimento di produzione per compensare questa diminuzione», di fatto nel 2001 si è registrata «l’eliminazione di più di due terzi della produzione annuale illecita di oppio nel mondo».
Val la pena forse notare un particolare: il periodo della raccolta del papavero da oppio in Afghanistan varia, secondo le regioni, da marzo ad agosto. Un dato che porta ad escludere una connessione tra calo di produzione e guerra in Afghanistan, dal momento che quest’ultima si è svolta tra l’ottobre e il novembre del 2001. Né, d’altra parte, tale legame trova spazio nel documento.

Il documento non specifica i motivi del divieto imposto dai talebani. Si potrebbero formulare varie ipotesi: una misura diretta a fini propagandistici, una manovra di facciata in realtà finalizzata a meglio capitalizzare le eccedenze di produzione, un cambiamento di strategia politica. Ma, al di là delle ipotesi, il dato di fatto è la scomparsa di due terzi della produzione mondiale di oppio nel corso dell’anno 2001.
Ritorno all’oppio
Oltre a segnalare il deficit di produzione del 2001, l’agenzia dell’Onu cerca di prevedere la futura evoluzione del narcotraffico, in particolare tenta di capire se la “scomparsa” di questa ingente quantità di oppio sia da ritenersi definitiva, oppure se a breve o medio termine sia prevedibile una ripresa della produzione e in quale misura. E torna in primo piano l’Afghanistan.
Il documento dell’Odccp, dopo aver analizzato la possibilità di un incremento della produzione di oppio in vari Paesi (in particolare il Myanmar e la Colombia), fa notare che «benché i rischi di uno spostamento di luoghi di produzione dell’oppio […] siano reali, la recente evoluzione della situazione in Afghanistan fa pensare che la regione attualmente più suscettibile di compensare la mancanza di produzione sia lo stesso Afghanistan».
La relazione si sofferma sulla situazione venutasi a creare dopo il crollo del regime talebano. Il nuovo governo, guidato da Hamid Karzai, si è detto determinato ad estirpare le coltivazioni del mortifero papavero. Tanto che, il 17 gennaio del 2002, ha emanato un decreto per interdirle. Ma, si evidenzia sul documento, tale provvedimento è giunto quando ormai «i campi erano stati già seminati». La situazione disastrata del Paese, l’estrema povertà della popolazione, i facili guadagni derivanti dalle coltivazioni illecite, non possono che spingere «ancora una volta gli agricoltori a ripiantare papaveri d’oppio».

Il mercato dell’oppio a Kandahar
Ma la previsione paventata dagli esperti dell’Onu, non si basa certo solo su valutazioni di tipo sociopolitico. A mettere in allarme l’agenzia delle Nazioni Unite sono soprattutto le conclusioni di uno studio effettuato in Afghanistan dal 1° al 10 febbraio 2002, ad opera del Pnucid. In base a questa analisi, condotta su alcuni villaggi “campione” del Paese centroasiatico, si stima che nel 2002 «le colture di papavero da oppio in Afghanistan potrebbero estendersi su una superficie compresa tra 45.000 e 65.000 ettari […]. Tenuto conto del rendimento nazionale medio di questi ultimi otto anni, ovvero 41 kg per ettaro coltivato, la produzione di oppio in Afghanistan tra i mesi di marzo e agosto 2002 potrebbe raggiungere una cifra compresa tra le 1.900 e le 2.700 tonnellate». Una produzione certamente più bassa delle 4.565 tonnellate raccolte nel 1999 o delle 3.276 del 2000, ma «comparabile alle cifre raggiunte alla metà degli anni Novanta».
Agli inizi di ottobre è previsto un nuovo documento Onu sulla questione, in base a dati più certi. Dall’Odccp, dove si sta mettendo a punto la nuova relazione, affermano che le informazioni in loro possesso confermerebbero quanto previsto dallo studio del febbraio scorso.
Guerra o pace, i trafficanti di droga continuano a fare affari. Anzi sembra che siano riusciti ad approfittare del conflitto per ridare fiato a un business in debito di ossigeno. Se è vero il legame tra narcotraffico e terrorismo internazionale, sarebbe bene rivedere le strategie di contrasto.