Rubriche
tratto dal n.09 - 1999


Una biografia di La Malfa


P. J. Cook, Ugo La Malfa, Bologna, Il Mulino, 1999

P. J. Cook, Ugo La Malfa, Bologna, Il Mulino, 1999

Ho conosciuto occasionalmente a San Pietroburgo, durante l’assemblea dell’Osce, lo studioso americano Paul J. Cook, laureato a Bologna ed autore di una monografia su Ugo La Malfa, che sono andato a leggere con la specifica curiosità di vedere come un giovane ricercatore straniero, lavorando sulle carte, ricostruisse l’Italia del dopoguerra e in essa un personaggio complesso ed autorevole della vita repubblicana. Il giudizio è molto positivo, anche se dovrei risentirmi per alcuni giudizi espressi sulla Democrazia cristiana e su un presunto atteggiamento servile di questo partito verso il Vaticano.
Ha colto bene il ruolo particolare di La Malfa in un contesto di classe dirigente poco adusa ai temi economici. I vecchi parlamentari democratici da un lato e Togliatti e compagni dall’altro erano per così dire politici puri, attratti subito dalla competenza finanziaria di questo esponente del Partito d’azione che alla scuola bancaria di Raffaele Mattioli aveva preso dimestichezza con le cifre e con i bilanci sia italiani che stranieri. Ricordo come, nelle riunioni immediatamente successive alla liberazione di Roma, la parola di La Malfa facesse premio sugli altri, insieme a quella di Stefano Siglienti, che però non aveva vocazione alla vita pubblica. La Malfa sì. Con un carattere molto forte e uno spirito inquieto si pose in linea di collisione con le esigenze talvolta accomodanti dei partiti di massa; rompendo anche con i suoi amici e approdando nel Partito repubblicano, di cui fu presto il leader, vincendo lo scontro con Pacciardi e con gli anziani tradizionalisti dell’Edera.
Nei diversi incarichi ministeriali ricoperti cercò di far valere ispirazioni ed obiettivi tecnici; ma non per questo si estraniò dalla vicenda politica generale. Ritengo anzi che alcune posizioni gli fossero dettate proprio da finalità extraeconomiche.
Mi riferisco in particolare alla nazionalizzazione delle industrie elettriche che propugnò con particolare vigore. Convinto assertore del “recupero” dei socialisti, volle dare una mano all’onorevole Nenni che, su suggerimento di Riccardo Lombardi, chiedeva questo “banco di prova” per rendere possibile il suo distacco dai comunisti. Alcuni argomenti obiettivi che svolse in Consiglio dei ministri si dimostrarono fragili, come la necessità di assicurare, statizzando, che non vi fossero in prospettiva ostacoli per costruire centrali nucleari.
Per una analisi di quel periodo, oltre lo scritto del Cook, consiglio la lettura di due saggi – del Gentiloni Silveri e del Nuti – sul ruolo degli Stati Uniti d’America per stimolare la “conversione” dei nenniani e dar vita al centrosinistra.
La Malfa morì improvvisamente nel 1979, mentre stava redigendo il programma economico del governo di cui era stato nominato vicepresidente, dopo una crisi tra le più sofferte del dopoguerra, nel corso della quale aveva avuto lui stesso l’“incarico”, senza raccogliere le necessarie adesioni. Pertini fece un po’ di confusione preannunciando una sera un ministero Saragat con vicepresidenti La Malfa e io stesso. Al mattino, anche per le obiezioni di Zaccagnini, ci ripensò e offrì a Saragat e a La Malfa la vicepresidenza lasciando me a Palazzo Chigi.
La Malfa accettò ma la situazione politica era molto logorata per il ritorno dei comunisti all’opposizione e per il vuoto incolmabile lasciato dall’assassinio di Moro. Forse la repentina fine impedì a Ugo La Malfa una nuova delusione.




In casa d’altri


L. Nuti, Gli Stati Uniti 
e l’apertura a sinistra. Importanza e limiti 
della presenza americana 
in Italia, Roma-Bari, 
Laterza, 1999

L. Nuti, Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra. Importanza e limiti della presenza americana in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1999

Già in uno studio del Gentiloni Silveri erano stati pubblicati passi interessanti degli archivi statunitensi sull’attività svolta dagli americani per promuovere in Italia governi di centrosinistra, in un’ottica di grande favore per l’onorevole Pietro Nenni definito il più popolare tra gli uomini politici italiani.
Il professor Leopoldo Nuti ha pubblicato ora, sul tema, un saggio molto ampio e documentato, con rigorose citazioni in nota (Gli Stati Uniti e l’apertura a sinistra, Laterza).
La passione per la cosiddetta Operazione Nenni (il quale nell’indice dei nomi figura ben duecentoventicinque volte) fu in un certo senso paragovernativa perché si imperniò su Arthur Schlesinger, consulente intellettuale della Casa Bianca. Acquisire i socialisti alla politica occidentale era visto come un forte colpo al comunismo e quindi ai sovietici. Emerge però anche un filone per lo meno non di simpatia verso la Democrazia cristiana, ritenuta inidonea alle “riforme” e alla modernizzazione, nonostante le due grandi riforme degli anni Cinquanta.
La sottile trama per convertire Nenni, affrancandolo anche da una asserita dipendenza finanziaria dalle Botteghe Oscure, è descritta con minuzia di particolari. Tra questi la cronaca della preparazione del viaggio di Kennedy a Roma e Napoli. Il proposito di farlo incontrare con il leader del Psi comprendendo nel pranzo di restituzione i segretari dei partiti, esclusi Togliatti e Michelini, fu fatto fallire per l’opposizione del presidente Segni all’ostracismo dei partiti delle estreme. Il pranzo fu annullato e al ricevimento al Quirinale tra i mille e più invitati (senza discriminazione) John Kennedy poté avere anche con Pietro Nenni un fugace colloquio. In luogo del pranzo vi fu una ristretta colazione durante la quale, secondo gli archivi, si sarebbero tenute solo conversazioni insignificanti. Poiché c’ero, non condivido questo punto. Tra l’altro chiesi io stesso al presidente Usa come mai non allacciassero rapporti diplomatici con la Santa Sede; e mi rispose che non poteva farlo nel suo primo quadriennio, ma lo avrebbe fatto dopo la rielezione, che purtroppo non poté esserci. Uno degli astanti mi spiegò al caffè che nella Convenzione democratica Kennedy aveva trovato ostacoli proprio per la sua fede cattolica.
Non ho modo di commentare qui tanti passi del volume, tutti estremamente interessanti; osservo solo che il metodo di acquisire informazioni dai personaggi più vari – importanti e non – e travasarle negli archivi di Washington, comporta il rischio di sopravvalutazioni e sottovalutazioni che deviano dalla ricostruzione obiettiva di eventi e di momenti.
Vi è poi una preoccupante attenzione della Cia per le nostre vicende interne (penso, anche, degli altri Paesi) in alcune fasi anche in difformità dalle linee seguite dal governo e dall’ambasciata in Roma. Non possono però lamentarsene i fautori più convinti del centrosinistra, se in un convegno ufficioso indetto in argomento a Bologna nell’aprile del 1961 dalla rivista Il Mulino, il personaggio più noto venuto dagli Stati Uniti fu proprio un funzionario della Cia.
Da ultimo, registro con stupore, proprio in ordine a questo convegno, il sarcastico commento del console americano a Firenze: «Verbosità stanche, ma eleganti; ovvietà del senatore Medici; inconcludenti divagazioni dell’onorevole La Malfa; retorica cosmica del sindaco La Pira». Forse è la riprova del doppio binario che percorrevano da un lato gli zelatori dell’apertura a sinistra e dall’altra l’apparato ufficiale del Dipartimento di Stato.




Metti un posto a tavola


S. Piscitello, Gli inquilini del Quirinale, Milano, Rcs Libri, 1999

S. Piscitello, Gli inquilini del Quirinale, Milano, Rcs Libri, 1999

Vincitore di un concorso nel 1958, il giovane dottore Sergio Piscitello sbarcò da Palermo (suo padre presiedeva quella Corte d’Assise) alla Presidenza della Repubblica e vi rimase per molti anni addetto in particolare al cerimoniale che è un servizio di cui si parla poco quando le cose marciano bene, ma che con qualche errore o disattenzione può suscitare aspre reazioni e persino conflitti diplomatici. È comunque un osservatorio dal quale l’autore de Gli inquilini del Quirinale ha potuto trarre impressioni e notizie, che direttamente coinvolgono i cinque capi di Stato per cui ha lavorato, ma che riflettono – de relato, come usa dirsi – anche le gestioni di De Nicola, Einaudi, Cossiga e Scalfaro.
Nella raccolta di vite, morti e miracoli dei personaggi non poteva sfuggire anche a qualche pettegolezzo; ma non ne abusa, dando anzi spazio ai lati positivi di ognuno, in qualche caso con una singolare benevolenza.
Si tratta, certamente, di cronaca; ma non mancano spunti utili anche ai ricostruttori di storia, magari con tracce da approfondire e sviluppare. Cito, ad esempio, le pagine sul governo Tambroni con il loro condensato di equivoci e di cattiverie. Piscitello, avendo visto abbastanza da vicino le centrali dei partiti, non dissimula il suo giudizio negativo sul sistema, sospirando per la mancata possibilità di correzioni dall’alto (cioè dal Quirinale) del sistema stesso.
Sui punti che posso valutare direttamene di regola constato l’esattezza. Qualche dubbio l’ho sul tentativo di rapimento di Gronchi a San Rossore, che non fu che una spiritosa invenzione di leggiadri giovani che camuffavano come destinati a disegni politici i fondi usati invece per la loro dolce vita in Costa Azzurra.
Interessanti gli accenni alla passione venatoria del presidente Saragat, con due notizie bomba: sulla quantità di cinghiali uccisi nel settennato (4759) e sulle battute in una riserva toscana auspice Licio Gelli.
Di Sandro Pertini, a coronamento di una serie di episodi estemporanei, è detto che «le sue collere erano omeriche e irrefrenabili, ma sbollivano e non lasciavano rancori».




Religiosità popolare


La sacra città, 
a cura di L. M. Lombardi Satriani, Roma, 
Meltemi editore, 1999

La sacra città, a cura di L. M. Lombardi Satriani, Roma, Meltemi editore, 1999

Ero rimasto colpito dal commento del senatore Luigi Lombardi Satriani nella presentazione dell’ultimo libro di Gabriele De Rosa, attorno alla religiosità popolare. Curato dallo stesso collega – che è titolare della cattedra di Etnologia nell’Università romana La Sapienza – è uscito ora un volume con alcune monografie riguardanti la città di Roma. Sono analisi condotte in chiave scientifica, ma di grande accessibilità. Lo stesso Lombardi Satriani analizza la enorme presenza di reliquie nelle basiliche e chiese dell’Urbe, con garbata riserva sulla relativa autenticità.
Suggestiva è la descrizione delle madonnelle presenti in tanti edifici delle strade e delle piazze, particolarmente del centro storico (vi è anche un’ampia riproduzione fotografica). Alcune sono di una qualche validità artistica; e accanto a molte vengono appesi segni di gratitudine ex voto. La diffusione dei furti – con ampio saccheggio delle croci e delle immagini anche nei crocicchi di montagna – dissuade dall’esporre i classici cuori in lamina d’argento, che a migliaia figuravano nella parete esterna del Castro Pretorio come pegno di riconoscenza per la non distruzione della capitale toccata solo marginalmente dai bombardamenti. Non so di chi sia stata l’idea della rimozione; se per preoccupazione antifurto nulla da dire. Lo stesso autore, professor Antonello Ricci, dedica molte pagine alla vecchia tradizione – tuttora vivissima – dei pellegrinaggi a piedi dalla Passeggiata Archeologica al santuario del Divino Amore sulla via Ardeatina. Al ritorno usava fermarsi per moderate bevute nelle rivendite disseminate lungo il pio itinerario. Ricordo io stesso l’innocente gioco di parole sul Divino Amore e amor di vino.
Oggi nel luogo della piccola cappellina storica è sorto un tempio grandioso, consacrato dal Papa agli inizi dell’estate di quest’anno.
Le altre due monografie riguardano: la Scala Santa (professoressa Mariella Combi) e le fontane di Roma (professor Mauro Geraci).
Nella prima si individua nella leggermente faticosa salita in ginocchio una ricerca del divino attraverso l’azione rituale; mentre nella seconda si è aiutati a riflettere sulla varietà e ricchezza delle fontane romane, comprese quelle, relativamente più recenti, della Maternità in via Antonelli e della scena bacchica del Pincio (scultore Giovanni Nicolini). Naturalmente la dovuta attenzione è riservata a quelle monumentali di piazza Navona e di piazza Esedra. Di quest’ultima, opera del bisnonno dell’attuale sindaco, Mario Rutelli, si descrive la complessa storia di “mostra dell’Acqua Marcia” aperta da Pio IX esattamente nove giorni prima della breccia di Porta Pia.
La lettura di queste pagine suscita insieme curiosità e devozione alle tradizioni autentiche di una città che, pur apprezzando il fasto delle grandi opere, avverte il richiamo di antiche, semplici tradizioni. Alla religiosità popolare si ispiravano anche le “canzoncine” che accompagnavano l’insegnamento del catechismo (anzi della dottrina) a noi bambini degli anni Venti. Alcune avevano una vecchia origine, come la meditazione attribuita a san Filippo Neri sulla vanità; altre ripetevano invece l’invocazione popolare riferita al tempo di guerra: «Dio di clemenza, Dio Salvator, salva l’Italia e Roma per il tuo Sacro Cuor».




Un poeta minore


U. Piazza, Puf. Quarant’anni di «poesie d’angolo», Perugia, E.F.I., 1999

U. Piazza, Puf. Quarant’anni di «poesie d’angolo», Perugia, E.F.I., 1999

Ai più giovani il nome di Ugo Piazza dice poco. Per parecchie generazioni fu invece un fedele compagno di strada con la sua rubrica settimanale di poesia nell’Osservatore Romano della Domenica. Nella Federazione universitaria cattolica, poi, si conservavano i piacevoli numeri di Ricre-Azione Fucina nei quali, in occasione dei congressi nazionali, prendeva acutamente in giro uomini e cose, laici ed ecclesiastici. La firma Puf significava: Piazza Ugo faentino. Tutti sapevano che G.B.M. divenuto papa continuò a vederlo e a leggerlo regolarmente. Ed è consacrato in uno scritto di Paolo VI: «La sua poesia, mi accorgo, ci ha fatto apprezzare e gustare aspetti buoni della nostra vita. È proprio codesta la missione della poesia, indurre a scoprire i valori profondi e belli delle cose e dei fatti, dando voce e respiro e canto ai loro ritmi nascosti. E se poi tale espressione è facile, lieta, cordiale e pia le dobbiamo essere grati come venuta, per magia dell’amicizia, dal nostro stesso spirito. Grazie, caro Ugo».
Con una prefazione del cardinale Silvestrini, sono state ora raccolte, in più di mille pagine, tante poesie di Puf a partire dall’agosto 1935, quando esordì solidarizzando con gli studenti di un ginnasio bulgaro; e arrivando all’ultima (23 novembre 1975), dedicata a un pediatra napoletano, Giovanni Carrattelli, morto in concetto di santità.
Si badi: un critico letterario può anche a buon diritto esprimere un verdetto poco elogiativo sulle singole pagine della voluminosissima antologia. Ma una vena di poesia popolare che si esprime senza soste per quaranta anni, toccando i temi più diversi con una facile spontaneità, merita un giudizio non avaro. Non perché importanti si divenga per usucapione.
Sfogliando la raccolta ho riletto con piacere la risposta satirica che dette all’Unità che aveva sottolineato un certo disagio risorgimentale perché proprio il 20 settembre 1952 era stato nominato senatore a vita il sacerdote Luigi Sturzo: «Nell’UNITÀ risuonano/ le più dolenti note./ L’Italia vede assidersi/ purtroppo un sacerdote/ dal nome immacolato/ sui banchi del Senato./ In gergo pugilistico/ è un colpo da incassare,/ ma quel giornale ha un pubblico/ di tipo singolare/ al quale dà ogni giorno/ un piatto con contorno/ le cui norme dietetiche/ vengono dal Cremlino/ che giornalmente adultera/ il cibo genuino/ mischiandovi a suo modo/ intingoli di frodo».
D’accordo. Niente Premi Nobel alla memoria. Ma un cenno di affettuosa attenzione non è comunque mal posto.


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